La cittadinanza digitale: la riforma del codice dell’amministrazione digitale

22.07.2016

Il 27 maggio 2016, presso la LUISS Guido Carli, si è svolto un incontro del ciclo di seminari sulla riforma della Pubblica Amministrazione, organizzato dalla LUISS School of Government nell’ambito dei Master in “Management e Politiche delle Pubbliche Amministrazioni” e “Parlamento e Politiche Pubbliche”. Il seminario, intitolato “La cittadinanza digitale: la riforma del codice dell’amministrazione digitale”, è stato introdotto, e moderato, della professoressa Melina Decaro, docente di Diritto Pubblico presso la facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli; sono, inoltre, intervenuti il Cons. Pia Marconi, Capo del Dipartimento di Funzione Pubblica – Presidenza del Consiglio; Elio Gullo, Direttore dell’Ufficio per l’Innovazione e la digitalizzazione del Dipartimento della funzione pubblica e Antonio Samaritani, Direttore dell’Agenzia per Italia Digitale.

 

INTERVENTI

Carmela Decaro – Docente di Diritto Pubblico comparato presso la facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli

Il momento è particolarmente fertile e fruttuoso perché l’impegno del Ministro Madia e del Governo Renzi, in questo fronte, ha avuto un’accelerazione notevole. L’aggettivo digitale accostato al termine antico cittadinanza, è il simbolo più evidente del cambiamento di paradigma che le nostre istituzioni, la forma di stato e la convivenza stanno vivendo.

 

Pia Marconi – Capo del Dipartimento di Funzione Pubblica – Presidenza del Consiglio

La riforma della Pubblica Amministrazione ha tra i suoi obiettivi principali quello di realizzare l’amministrazione digitale e di cui il Ministro Madia porta la responsabilità all’interno del Governo. A dimostrazione del fatto che si tratta di uno dei punti fondamentali della riforma, l’art. 1 della legge 124 del 2015 è dedicato alla cittadinanza digitale; questo indica, da un lato, la digitalizzazione come parte integrante del processo di riforma della Pubblica Amministrazione, dall’altro, parlare di cittadinanza digitale esprime un cambio di paradigma, in quanto l’esercizio di questa delega intende capovolgere e cambiare radicalmente, la visione precedente.

La digitalizzazione serve a dare effettività ai diritti di cittadinanza che oggi sono estremamente connessi con l’uso delle tecnologie, collegati all’accesso ai servizi pubblici e all’accesso all’informazione e alla trasparenza, ma anche alla partecipazione alla vita pubblica.

I principi, indicati all’art. 1 della legge delega, sono utilizzati per modificare il compito dell’amministrazione, invertendo e cambiando la visione dei diritti di cittadinanza per cittadini e imprese, rispetto al precedente paradigma, contenuto nell’attuale codice dell’amministrazione digitale, la cui ultima versione risale al 2009.

Il nuovo CAD crea, rinnova e consolida il quadro giuridico che servirà per sviluppare e attuare l’agenda digitale italiana, un’agenda di cui l’AGID, Agenzia per l’Italia Digitale, ha la responsabilità per l’esecuzione e lo sviluppo. Infatti, il Governo ha reso estremamente forte la connessione del binomio riforma PA e digitalizzazione, non solo inserendo il concetto di cittadinanza digitale, ma dando estremo rilievo alla strategia per la crescita digitale e all’agenda digitale italiana.

La linea intrapresa dall’attuale Governo è assolutamente coerente con quanto si verifica in ambito internazionale. Nel 2014, l’OCSE ha emanato delle raccomandazioni sulla strategia per l’amministrazione digitale per indicare in quale modo sostenere i governi nell’affrontare la sfida legata all’integrazione della digitalizzazione della PA e delle politiche di riforma del settore pubblico. Inoltre, la Commissione Europea, pochi giorni fa, ha presentato il nuovo action plan per l’eGovernment 2014-2020 nel quale una delle tre priorità di policy che definiscono i contenuti dello stesso, riguarda l’uso delle tecnologie digitali per la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni. Dunque, la riforma della PA e la digitalizzazione sono al centro delle strategie di rinnovamento istituzionale dell’Unione Europea. Infatti, ogni anno, il Consiglio rivolge ai diversi paesi e anche all’Italia, all’interno del semestre europeo, le raccomandazioni-paese (che consistono in un dispositivo introdotto qualche anno fa per assicurare il coordinamento delle politiche economiche nell’ambito dell’UE rispetto ai processi di riforma dei paesi dell’Unione) proprio su questo tema. In tali raccomandazioni-paese, la riforma della PA e la digitalizzazione sono considerate tra le riforme strutturali necessarie per assicurare lo sviluppo dell’UE. Le stesse politiche europee di coesione, cioè quelle finanziate dall’UE attraverso i Fondi Strutturali, egualmente riconoscono l’importanza a queste due componenti. L’accordo di partenariato che il governo italiano ha stretto con l’Europa, nell’estate 2014, ovvero l’accordo che definisce gli ambiti all’interno dei quali gli investimenti dei Fondi Strutturali e il loro cofinanziamento da parte del governo italiano devono rivolgersi, danno, infatti,  molta importanza al rafforzamento del citato binomio riforma PA – digitalizzazione.

 

Elio Gullo – Direttore dell’Ufficio per l’Innovazione e la digitalizzazione del Dipartimento della Funzione pubblica

È molto importante riprendere il vecchio codice per capire quello che si è realizzato e ciò che, invece, è mancato ma anche per individuare gli aspetti più interessanti che servono a realizzare il nuovo.

Il codice dell’amministrazione digitale è stato promulgando nel 2005 quando ancora internet, dall’amministrazione alle famiglie, si stava diffondendo pienamente. Quel codice era molto lungo rispetto all’attuale; quello del 2016, infatti, è abbastanza asciutto, con pochi principi, ciò è dovuto anche al fatto che l’utilizzo di internet è ormai costante e alcune affermazioni sono state superate e rese superflue dalla prassi. Infatti, il codice dell’amministrazione serve soltanto a rendere possibile, facile e a dare valore di legge ad una serie pratiche che si usano ormai costantemente nella nostra vita quotidiana.

Rispetto ai contenuti, invece, vediamo che il nuovo codice parla di documenti elettronici e firme, ma di questo parlava anche il vecchio codice. Quello che si è provato a fare con il nuovo codice è semplificare questi strumenti, ad esempio rendendo l’uso della firma digitale piùfacile da usare. Il Consiglio di Stato ha criticato molto queste previsioni, ma alla fine si è giunti alla considerazione che il documento elettronico, purché firmato, è considerato valido.

Il secondo aspetto riguarda le PA, gli utenti e anche il mondo privato. È importante sottolineare come internet tocca fortemente l’agire della PA e, gli interventi che sono fatti in tal senso, riguardano il Digital First, in quanto non bisogna più informatizzare l’esistente, ma far nascere le cose direttamente digitali. Applicare il principio del Digital First vuol dire quindi che il digitale diventa lo strumento principale di relazione con l’amministrazione.

Ad esempio, ogni cittadino eleggerà un domicilio digitale e tutte le Amministrazioni saranno obbligate ad utilizzare tale strumento per comunicare.

Il terzo punto riguarda l’obbligo di conservazione dei documenti che oggi grava sui cittadini, con l’evidente peso che questo comporta. Con il nuovo CAD, invece, l’obbligo di conservazione dei documenti diventa un dovere per legge, ma in capo alle amministrazioni. Ogni volta che una PA invierà un documento, avrà l’obbligo anche di conservarlo.

Il quarto punto riguarda l’interoperabilità: il dialogo tra PA e PA diventa obbligatorio. Tale possibilità è estesa anche tra privato e privato.

 

Antonio Samaritani – Direttore dell’Agenzia per Italia Digitale

L’AgID è “l’agenzia per l’Italia digitale”, si occupa della digitalizzazione del paese e definisce la strategia per l’implementazione dell’agenda digitale.

Il Governo ha elaborato due documenti, considerati i pilastri normativi e strategici con i quali si è sviluppata la strategia d’implementazione dell’agenda digitale:

1) la “Strategia italiana banda larga”;

2) la “Strategia per la crescita digitale” (2014-2020).

L’AgID è prevalentemente o totalmente concentrata sul documento della “Strategia per la crescita digitale”, documento che racchiude la strategia digitale, per quanto riguarda i servizi; mentre, l’altro documento, riguarda le infrastrutture digitali.

Il mancato coordinamento fra i due temi è uno dei problemi che ha bloccato maggiormente il paese negli ultimi anni. Dunque, l’obiettivo del Governo è quello di creare un coordinamento tra le due attività in modo tale che, a fronte di azioni di infrastrutturalizzazione, partano anche azioni di miglioramento dei servizi digitali, così da non poter più avere alibi.

Le priorità, per far partire tale macchina, sono la coerenza sul piano normativo e un percorso tecnico adeguato e coordinato.

Gli obiettivi sono chiari: da una parte si salva tutto quello che c’è e che di buono è stato fatto già dai predecessori, tutto questo sarà preso in considerazione e valorizzato; dall’altro, si creano nuovi strumenti per rendere effettivo il passaggio ad una amministrazione digitale e realizzare gli obiettivi di innovazione che mancano.

Uno di questi strumenti è lo SPID (sistema pubblico di autenticazione), il sistema d’identità o meglio di autenticazione, con credenziali sicure, certe e controllate alla fonte, attraverso cui si crea un processo d’identificazione fisica del cittadino. Ciò significa, dal punto di vista della PA, avere un unico sistema d’identificazione e una sola password per tutte le amministrazioni: il cittadino che si reca negli uffici pubblici (es. INPS, INAIL, ecc.) entra con la propria password, ha un solo sistema di accesso e un’unica identità connessa all’anagrafica di tutti i provvedimenti che lo riguardano.

Questo vuol dire realizzare un pezzo di cittadinanza digitale che semplifica radicalmente il sistema e la vita delle persone.

Nella PA, le due figure tecniche identificate per fare ciò sono: l’identity provider che fornisce l’identità e il server provider che riceve le identità.

L’identity provider fornisce servizi al cittadino, ma non appropriazione. Tale punto non è stato capito dalle recenti sentenze del Consiglio di Stato, in quanto assimila uno SPID ad una banale password. Non è una banale password, sia perché si ha, prima, un tempo di autentificazione e sia perché l’identity provider non può fare proliferazione commerciale dei dati. E’ vero che il concetto di privacy sta cambiando e anche molto radicalmente. Fino a qualche tempo fa, la libertà era considerata uguale alla privacy. Oggi, la libertà è uguale a condivisione: far sapere a tutti quello che si fa (influenza dei social network), ma nel caso di SPID l’amministrazione si pone come un soggetto che garantisce l’integrità dei dati e delle informazioni sensibili che riguardano i cittadini. Dunque gli identity provider non potranno fare proliferazione commerciale, non potranno vendere parte della vita dei cittadini e non potranno vendere la navigazione dei cittadini. Questo elemento qualificante è fondamentale poiché produce trust ovvero fiducia nella rete e nell’amministrazione.

Un altro strumento attraverso il quale si vuole realizzare un’amministrazione effettivamente digitale è quello dell’anagrafe unica. Oggi, ciascun comune ha la sua anagrafe e non è presente una base dati centrale. Nel nuovo sistema ciò non accadrà perché l’anagrafe sarà unica per tutti gli enti. L’unico problema sarà quello dell’aggiornamento dei dati, ma questa è una questione da risolvere in via informatica, non per legge. La strategia è creare un unico sistema di utenza, con dati al centro per fare servizi, collegato al sistema dei pagamenti.

L’AgID definisce solo i livelli tecnici e i criteri di operatività e poi, su ciascuno di questi elementi, si traccia poi un percorso operativo insieme alle amministrazioni, che si sostanzia nell’adozione di un piano triennale che definisce tempi, priorità e obiettivi di performance per avere punti di comunanza e di garanzia su tale percorso.

 

 

a cura di Erika Munno e Valeria Noce