Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 gennaio 2013 n. 2 sull’attuale fisionomia del giudizio di ottemperanza

05.05.2014

La sentenza in commento si occupa di delineare l’attuale configurazione del giudizio di ottemperanza quale risulta, non solo dalle recenti acquisizioni giurisprudenziali, ma soprattutto dall’attuale assetto normativo disposto dal codice del processo amministrativo.

La decisione nasce dalla rimessione da parte del Consiglio di Stato – Sez. VI, ord. n 2024 del 2012 –     di due giudizi riuniti: il primo volto a fare dichiarare la nullità degli atti – adottati dalla P.A. a seguito di precedente giudizio – in quanto elusivi e violativi del giudicato e l’altro finalizzato ad impugnare gli stessi atti in sede di cognizione al fine di ottenere una sentenza di annullamento.

L’Adunanza Plenaria, nel confermare la giustezza della riunione operata dal giudice remittente, rileva che l’instaurazione di due distinti giudizi – volti a definire con precisione se l’atto adottato successivamente alla statuizione del giudice amministrativo debba essere considerato nullo per violazione ed elusione del giudicato ovvero illegittimo per vizi propri e per la prima volta rilevabili – non incide sull’unitarietà della domanda giudiziale e presuppone anche la richiesta di qualificare esattamente la tipologia dell’azione oltre a quella di esaminare la natura della patologia dell’atto.

Secondo l’Adunanza Plenaria, tale potere si giustifica richiamando il principio di effettività della tutela giurisdizionale e l’art. 24 Cost.: in sostanza, poiché il giudice dell’ottemperanza è il giudice naturale sia dell’esecuzione della sentenza sia dell’esame del vizio più grave rappresentato dalla nullità, è permesso che le doglianze sollevate dall’interessato nei confronti della riedizione del potere amministrativo siano trattate in modo unitario.

Così, nel caso in cui il giudice di ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento costituisca violazione od elusione del giudicato, provvederà a dichiararne la nullità e la seconda domanda di annullamento diventerà improcedibile per carenza di interesse; diversamente, nel caso in cui il giudice rigetti la domanda di nullità potrà disporre la conversione dell’azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente, ai sensi dell’art. 32 co. 2 c.p.a.

Unico presupposto della conversione – che può essere disposta solo dal giudice dell’ottemperanza, e non viceversa, perché solo il giudice ex art. 113 c.p.a. ha la competenza a conoscere dell’adeguamento dell’attività amministrativa a seguito di una sentenza passata in giudicato – è rappresentato dal rispetto del termine di decadenza previsto dall’art. 41 c.p.a. e può essere.

L’Adunanza Plenaria, una volta accertata l’ammissibilità della domanda dell’interessato e la giustezza della riunione dei giudizi, si sofferma sull’attuale “polisemicità” del giudizio di ottemperanza in cui si raccolgono azioni diverse, alcune chiaramente esecutive (ex: art 112 co. 2 c.p.a.) ed altre di natura cognitoria (ex: art 114 co. 4 c.p.a.), il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza di una sentenza passata in giudicato. In sostanza il giudizio di ottemperanza ricomprende tutte quelle azioni differenti volte alla conformazione successiva al giudicato dell’azione amministrativa e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono.

La peculiare natura del giudizio ha delle conseguenze anche sul giudicato amministrativo che si presenta in “modo poliforme” a seconda delle situazioni giuridiche che sono coinvolte: così diversa sarà la sua estensione a seconda che esso abbia ad oggetto una situazione oppositiva o una vera pretesa nonché a seconda del vizio accolto.

Nell’analizzare l’attuale configurazione del giudizio di ottemperanza, l’Adunanza Plenaria richiama la dibattuta questione sull’annoverabilità nel giudizio amministrativo non solo del “dedotto” ma anche del deducibile”. Sul punto si sono formate due differenti teorie: secondo una prima impostazione, successivamente al  dictum del giudice, non residuerebbero spazi di riesercizio del potere in capo alla P.A.; diversamente, secondo una diversa interpretazione – cui aderisce la stessa Adunanza Plenaria – la P.A. manterrebbe comunque salva una sfera di autonomia relativamente a tutti quegli aspetti non esplicitamente trattati in sentenza dal giudice.

In quest’ultima ipotesi, tuttavia, la sfera di riesercizio di potere non sarà del tutto libera ma assoggettata a precisi limiti e vincoli.

Secondo i giudice dell’Adunanza Plenaria, risulterà innanzitutto vincolante per l’amministrazione l’accertamento del fatto compiuto dal giudice amministrativo. Tale vincolo imposto alla P.A. è, d’altronde, in linea con l’evoluzione del giudizio amministrativo che da giudizio sull’atto si atteggia sempre più come giudizio sul rapporto e sul fatto, con contestuale possibilità per il G.A. di accertare con definitività la sussistenza di determinati presupposti relativi alla pretesa del ricorrente.

In secondo luogo, qualora non siano i fatti ad essere posti in discussione, ma la loro valutazione, la P.A. sarà comunque gravata dall’obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso, evitando di porre in essere atteggiamenti elusivi, ondivaghi e contradditori. Questo obbligo di cooperazione per soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso discenderebbe direttamente dal combinato disposto degli artt. 112 co. 1 c.p.a., che impone alla P.A. di dare esecuzione alle sentenza non auto esecutive, e 97 Cost..

 

In conclusione, con una sentenza che si caratterizza per chiarezza e semplicità, l’Adunanza Plenaria illustra la conformazione assunta attualmente dal giudizio di ottemperanza in relazione alla diversa estensione che può assumere il giudicato amministrativo. Non è escluso infatti che, anche a seguito del dictum giudiziale, la P.A. possa essere ancora titolare di uno spazio di autonomia in cui riesprimere il proprio potere. In questi casi però, il potere amministrativo non potrà comunque essere del tutto libero onde evitare di eludere l’effettività della tutela amministrativa e la portata decisionale della sentenza del G.A. e, di conseguenza, frustrare il soddisfacimento della pretesa qualificata dell’interessato vittorioso.

a cura di Flaminia D'angelo


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