Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18 agosto 2017, n. 4030

28.10.2017

Requisito dell’attività prevalente e gestione in house del servizio di igiene urbana dopo la direttiva 2014/24/Ue 

 

Con la sentenza n. 4030 del 18 agosto 2017, la Sezione V del Consiglio di Stato è di nuovo tornata sugli elementi necessari ai fini dell’affidamento diretto di lavori, opere o servizi a società pubbliche, secondo il modello in house.

È stato, infatti, ritenuto illegittimo l’affidamento del servizio pubblico di igiene urbana da parte del Comune di Sulmona ad una propria società partecipata, risultando quest’ultima priva del requisito dell’attività prevalente da svolgere a vantaggio del primo in quanto ente socio (c.d. “secondo requisito Teckal”), necessario per l’individuazione di un genuino rapporto di delegazione interorganica.

Per il Consiglio di Stato – anche sulla base dei chiarimenti espressi a seguito di ordinanza di remissione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea –, tale requisito non risulterebbe configurabile poiché la società in questione svolgeva parte consistente della propria attività (circa il 50%) a favore di soggetti diversi dai soci pubblici. Non è stato, così, ritenuto valido motivo di eccezione il fatto che l’esercizio di attività a vantaggio di parti terze venisse imposto in forza di un atto autoritativo e vincolate – l’autorizzazione integrata ambientale – adottato dalla Regione Abruzzo, risultando, peraltro, anche quest’ultima priva della qualità di socio.

Il percorso argomentativo seguito dal Giudice amministrativo è pertanto coerente con la consolidata giurisprudenza nazionale ed europea in materia, cui affianca un ulteriore elemento di novità dato dalla necessità di intervenire in una situazione di fatto caratterizzata dalla natura vincolata di una parte dell’attività della società affidataria. Peraltro, pur riferendosi al quadro normativo di cui al d.lgs. 163/2006, ormai superato dall’abrogazione avvenuta con d.lgs. 50/2016 di attuazione delle nuove direttive europee del 2014, tale assunto giurisprudenziale trova, per sua espressa indicazione, piena conferma proprio nella nuova disciplina in materia di appalti.

L’articolo 12, paragrafo 5 della direttiva 2014/24/UE, infatti (al pari dell’art. 5 del d.lgs. 50/2016 che ne da attuazione nel nostro ordinamento), nel dettare le modalità di computo dei limiti di fatturato ai fini del requisito dell’attività prevalente, richiama espressamente «[…] il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto». Non è dunque ammissibile, nella ricostruzione della complessiva attività della società, operarne alcuna sostanziale riduzione (ed “alterazione”), scorporando da questa – come suggerito, invece, dal Comune di Sulmona – le prestazioni svolte dalla partecipata nei confronti di parti terze solo perché sottratte (in forza del vincolo imposto dall’autorizzazione integrata ambientale), al regime di libera concorrenza.

Per il Consiglio di Stato, quindi, il secondo requisito Teckal è tale da ricomprendere tutte le prestazioni svolte dalla società, senza possibilità alcuna di ampliare ulteriormente l’area dell’eccezione al principio dell’aggiudicazione all’esito di procedure ad evidenza pubblica. In caso contrario, infatti, se ne

ammetterebbe una ricostruzione del tutto “artificiosa”, anche rispetto ad ipotesi (come quella di specie) nelle quali la dimensione della attività svolte in favore di terzi abbia una consistenza tale da non potersi certo definire marginale. Il tutto, operando un completo “ribaltamento” della stessa logica che pervade la legittimazione del modello in house, ove la sottrazione dell’affidamento al circuito concorrenziale (qui manifestatasi nell’atto autoritativo regionale) diverrebbe non già l’effetto dell’accertata presenza delle condizioni atte a configurare un rapporto di delegazione interorganica, ma la causa prima che giustifichi la presenza di tali elementi strutturali.

In conclusione, con la sentenza in esame, il giudice amministrativo non si limita tanto a chiarire i confini del requisito dell’attività prevalente, peraltro già perfettamente definito in ogni suo elemento costitutivo. Individua, piuttosto, con chiarezza la modalità attraverso cui operarne la ricostruzione – nella duplice dimensione “quantitativa” e “qualitativa”, e ricorrendo a profili di matrice aziendalistica –, definendone altresì la rilevanza all’intero delle dinamiche operative e decisionali che caratterizzano la scelta tra affidamento diretto e modello concorrenziale.

a cura di Alessio Antonelli