Sull’interpretazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo Codice dei contratti pubblici ai fini dell’esclusione da procedure di affidamento per «gravi illeciti professionali» (Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955).

25.06.2017

 

Con la sentenza in esame, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato si è pronunciata, in prima applicazione, sulla nuova fattispecie normativa del grave errore professionale prevista dall’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 ai fini dell’esclusione da procedure di affidamento per «gravi illeciti professionali».

Nella fattispecie, la concorrente esclusa dalla gara ricorreva dinanzi al Tar Puglia – Lecce impugnando il provvedimento di esclusione adottato sul presupposto di «gravi illeciti professionali» ex art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo Codice dei contratti pubblici, relativi ad un precedente contratto con altra pubblica amministrazione.

Con sentenza n. 1935/2016 il Tar accoglieva il ricorso statuendo che la citata disposizione del Codice richiede che l’illecito professionale risulti, tra l’altro, confermato «all’esito di un giudizio», mentre nel caso di specie la ricorrente «ha giurisdizionalmente contestato dinanzi al Tribunale Civile – Sezione Imprese di L’Aquila la risoluzione contrattuale» pronunciata nel precedente contratto e «tale giudizio civile è tutt’ora pendente (essendo solo stata rigettata l’istanza cautelare incidentalmente avanzata dalla Società attrice)». Con la stessa pronuncia il giudice di primo grado annullava consequenzialmente anche la proposta di aggiudicazione disposta a favore della controinteressata.

Quindi, la controinteressata – nel frattempo dichiarata aggiudicataria definitiva dell’appalto – proponeva appello al Consiglio di Stato.

Con la sentenza in esame, la Sezione Quinta ha respinto l’appello.

Nel dettaglio, il Consiglio di Stato ha osservato che dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che il presupposto previsto dall’art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo Codice dei contratti pubblici non è stato integrato nel caso di specie.

Infatti, la risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti della società ricorrente in primo grado è stata impugnata sia in sede giurisdizionale ordinaria che amministrativa, rispettivamente dinanzi al Tribunale delle imprese dell’Aquila e al Tar Abruzzo – Pescara.

Entrambi i giudizi sono ancora pendenti nel merito, essendo stata definita soltanto la relativa fase cautelare, dapprima con la decisione sul ricorso ex artt. 669-quater e 700 c.p.c. proposto in corso di causa e, poi, con l’ordinanza resa sul reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.

Ciò posto, la Sezione Quinta ha statuito che l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 consente alle stazioni appaltanti di escludere un concorrente da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di «gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, «significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata», le quali – alternativamente – non siano contestate in giudizio dall’appaltatore privato o siano state confermate all’esito del giudizio.

Sennonché – rileva il Consiglio di Stato – nella fattispecie difetta appunto quest’ultimo presupposto poiché è stata definita solo la fase incidentale, di natura cautelare, del giudizio civile contro l’atto di risoluzione adottato dalla stazione appaltante, mentre rimane tuttora impregiudicato il merito dello giudizio, così come il parallelo contenzioso amministrativo contro lo stesso atto.

Sotto tale profilo, il Consiglio di Stato ha anche disatteso l’interpretazione proposta dall’appellante, secondo cui la disposizione in esame del nuovo Codice dei contratti pubblici sarebbe riproduttiva dell’art. 38, comma 1, lett. f), del codice previgente (d.lgs. n. 163/2006) e dunque consentirebbe alle stazioni appaltanti di valutare discrezionalmente ed in modo autonomo la risoluzione disposta da altra stazione appaltante.

Peraltro, nel confermare la decisione di primo grado il Consiglio di Stato ha respinto sia la questione di compatibilità comunitaria della disposizione in discorso – posta dall’appellante per un presunto contrasto della norma interna con l’art. 57, par. 4, lett. c) e g), della direttiva 2014/24/UE – sia la questione di costituzionalità della stessa norma per contrasto con il canone del buon andamento sancito dall’art. 97 della Costituzione.

Sotto entrambi i profili la Sezione Quinta ha ritenuto assorbente il difetto di interesse dell’appellante connesso all’avvenuto consolidamento dell’aggiudicazione definitiva (per mancata impugnazione da parte della concorrente esclusa) e la conseguente impossibilità per l’appellante di subire alcun pregiudizio dalla conferma dell’annullamento dell’esclusione della società ricorrente in primo grado.

Ciò nonostante, per completezza va segnalato che – mentre con riferimento alla suindicata questione di legittimità comunitaria il Consiglio di Stato ha osservato che, in ogni caso, la causa di esclusione su cui si controverte ha carattere facoltativo – lo stesso giudice d’appello ha ritenuto che la questione di costituzionalità dall’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016, per contrasto con il canone del buon andamento sancito dall’art. 97 della Carta fondamentale, potrebbe astrattamente presentare aspetti di non manifesta infondatezza.

In proposito, ferma restando la suindicata irrilevanza nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha richiamato i rilievi formulati dalla Commissione speciale nel parere n. 2286 del 7 novembre 2016, reso sulle linee guida dell’ANAC recanti l’«indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice» (in particolare al relativo par. 13.2).

a cura di Daniele Majori