Presentazione del Volume ‘Settant’anni di autonomia siciliana 1946-2016’

15.05.2017

Martedì 28 marzo 2017 si è tenuta a Roma, presso la sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, la presentazione del volume “Settant’anni di autonomia siciliana. 1946-2016”, curato da Gaetano Armao e Marcello Saija, edito da Rubbettino.

 

L’apertura della conferenza è stata affidata al Presidente del Senato Pietro Grasso, che ha ne ha introdotto i temi: la storia dell’autonomia speciale siciliana da un lato, e l’opportunità di una sua rivisitazione nel quadro delle riforme dell’architettura costituzionale nazionale ed europea, e del ruolo strategico della Sicilia come frontiera europea del Mediterraneo, dall’altro. Successivamente, ha rimarcato che lo Statuto siciliano è stato il punto di equilibrio tra il principio di unità e indivisibilità della giovane Repubblica e le aspirazioni autonomistiche di un popolo, e che nacque come risposta politica necessaria per spegnere quelle ambizioni separatiste che all’indomani dello sbarco americano avevano infiammato l’isola. Ha poi sottolineato che rievocare a settant’anni di distanza le tappe fondamentali della storia dell’autonomia siciliana significa analizzare i vari contesti economici, sociali, politici ed istituzionali lungo i quali le vicende di tale autonomia si sono sviluppate, per costruire un futuro migliore nel quale l’autonomia, cosa certamente meravigliosa, deve essere esercitata correttamente. Altrimenti questa, da un lato rischia di trasformarsi esclusivamente in un’elefantiaca distribuzione di clientele e di stipendi; dall’altro lascia inermi i cittadini rispetto ad alcune emergenze come quella idrica o quella riguardante gli incendi boschivi. Infine, il Presidente si è chiesto cosa giustifichi oggi la permanenza della specialità dell’autonomia siciliana, specificando che, in questo senso, l’insularità non basta. Occorre pertanto riflettere su una “ri-significazione” del concetto di autonomia, al fine di recuperare il suo significato originario di responsabilità di una comunità, di valorizzazione della sua storia e della sua identità, e di ottimizzazione della funzione di governo.

 

Successivamente, ha preso la parola Mario Ferrara, Presidente del gruppo “Grandi autonomie e libertà”. Dopo aver esposto una serie di vicende susseguitesi tra la conferenza di Teheran (1943) e quella di Yalta (1945) riguardanti alcuni brillanti pensatori siciliani, tra cui Salvatore Aldisio, Ferrara ha proposto una riflessione sull’origine dello Statuto siciliano. In particolare, si è chiesto perché si tratti dell’unica “Costituzione recente” a non essere mai stata votata. Secondo il decreto del Luogotenente, infatti, lo Statuto avrebbe dovuto essere reso coerente dalla Costituente con la nuova Costituzione. Nella sedicesima norma transitoria viene previsto che gli statuti debbono essere varati con legge costituzionale. In questo quadro, la votazione dello Statuto siciliano venne rimandata ad un secondo momento. Tale votazione, tuttavia, non si tenne perché Scavonetti, Presidente dell’Alta Corte per la Regione siciliana, affermò che lo Statuto, avendo già prodotto i propri effetti – aveva infatti dato luogo ad elezioni – non poteva essere messo in discussione. Si è chiesto, quindi, se lo Statuto siciliano possa essere annoverato tra quelle carte fondamentali di grande valenza storica sulle quali non ebbero un ruolo preponderante gli elettori. È il caso della Costituzione americana, redatta a Filadelfia da undici delegati non votati da nessuno, o della Costituzione francese, elaborata da pochi baroni e poi sottoposta a plebiscito, o di quella spagnola, preparata da Franco prima della sua morte, o della Magna Charta e dello Statuto Albertino, che vennero concessi. Anche alla luce delle due ultime modifiche costituzionali in Italia, varate dal Parlamento ma poi bocciate, Mario Ferrara si è domandato fino a che punto è auspicabile il primato della democrazia. Inoltre, riflettendo sul coinvolgimento degli elettori quando si tratta di varare una carta fondamentale, ha considerato l’opportunità di ricorrere ad una nuova Costituente.

 

È poi intervenuto il moderatore dell’incontro, il giornalista Gaetano Sovatteri, ribadendo il concetto espresso dal Presidente Grasso: l’insularità non è una caratteristica sufficiente a giustificare l’autonomia speciale. Si è poi domandato quale aspetto di questa regione ne può legittimare l’autonomia, ed ha provato ad avanzare una risposta facendo leva sulla specialità dei siciliani come popolo. Anche facendo riferimento alla propria esperienza personale, Sovatteri ha messo in luce come spesso i siciliani si sentano e siano considerati come un popolo a parte. Seppur condividendo questo approccio, il moderatore ne rifiuta le implicazioni rispetto al concetto di democrazia. In altri termini, ha sottolineato come i problemi dell’amministrazione e del governo della Sicilia non dipendano da cause di natura antropologica ma da motivi storici e culturali. Ecco perché, a suo parere, è indispensabile un’analisi storica dell’autonomia, per riscoprirne le ragioni e, soprattutto, il significato.

 

Ha espresso poi la propria opinione il Rettore dell’Università LUMSA di Roma, Francesco Bonini. In prima battuta, ha risposto alla provocazione lanciata da Mario Ferrara sull’intervento del popolo nei processi costituenti, affermando che in ogni caso deve essere previsto un pronunciamento popolare. Il resto del suo intervento si è basato su tre direttrici. La prima ha riguardato lo Statuto siciliano, di cui ha analizzato la radice, l’origine, la storia e la prospettiva: la radice risale al 1860 e al processo di unificazione dello Stato italiano, caratterizzato dai tentativi di costruire un’”unità articolata”; l’origine, invece, si riscontra tra il 1943 e il 1946, periodo di forte confronto politico in cui la Sicilia, per certi versi, elabora dei paradigmi anticipando la costituzione del nuovo Stato; la storia va dal 1946 ad oggi, ed è caratterizzata non soltanto da criticità e problemi endemici, ma anche da momenti virtuosi come la guida di Piersanti Mattarella; la prospettiva riguarda infine l’opportunità di sfruttare a pieno, finalmente, l’occasione storica della conquistata autonomia statutaria.

La seconda questione affrontata è stata quella della classe dirigente. Anche in questo senso, il Prof. Bonini ha voluto mettere in luce più gli aspetti positivi che quelli negativi, in particolare richiamando l’attenzione sulla galleria di personaggi che hanno fatto politica prima in Sicilia e poi a livello nazionale. Ha voluto ricordare, infatti, che il primo Presidente del Consiglio di origine meridionale ma non siciliana ha assunto la carica soltanto dopo più di cinquant’anni dalla costituzione del Regno.

Il terzo problema analizzato è stato quello della governance multilivello del paese, quello riguardante cioè la sua articolazione verticale. Da questo punto di vista, è stato posto innanzitutto il tema dell’”insularità istituzionale”, evidenziando come tutte le grandi isole dell’Europa abbiano una loro identità istituzionale. Nel 1812, infatti, inizia la storia di un modello costituzionale di derivazione britannica che viene adottato da tutte le realtà insulari dell’Europa non napoleonica. Alla luce di questa considerazione si comprende quindi perché si parla di “assetto complesso dell’Italia” in riferimento al suo processo di unificazione. In questo senso, il Prof. Bonini si è soffermato sulle difficoltà riscontrate nel ricomprendere lo Stato italiano in una delle due categorie principali: Stato federale o Stato unitario. Tali problemi, ha sottolineato, sono emersi sia all’indomani dell’unificazione che, soprattutto, nel processo costituente, e sono stati risolti ideando uno Stato intermedio ai due modelli, il cosiddetto “Stato regionale”, nell’ambito del quale sono state riconosciute autonomie più ampie ad alcune regioni. Comparando i processi di istituzionalizzazione delle varie autonomie speciali, quindi, il Rettore ha rimarcato come le altre siano dei fatti molto più circoscritti rispetto a quella siciliana. Quest’ultima, però, non può risolversi, come spesso è successo, nella maladministration, ma deve essere esercitata da una classe politica e da un apparato amministrativo all’altezza. L’autonomia, ha concluso, è certamente un valore fondamentale, ma solo se associata ai concetti di accountability e di buon governo.

 

È poi intervenuto Mario Corso, Professore ordinario di diritto amministrativo dell’Università di Roma Tre. In primo luogo, ha messo in luce il processo di progressivo appiattimento dell’autonomia speciale sullo Statuto delle regioni ordinarie, effetto sia della logica del sistema sia della giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, infatti, si è sviluppata nei quindici anni precedenti all’istituzione delle regioni ordinarie, con il chiaro intento di ridimensionare la portata e le pretese di quelle a Statuto speciale. Ha poi espresso che, a suo parere, il titolo del volume è riduttivo: sia dalla prospettiva dell’ambito occupato, perché in realtà non tratta solo l’autonomia siciliana ma richiama ed analizza anche le altre autonomie speciali italiane, oltre ad affrontare alcuni temi afferenti all’autonomia basca ed argentina; sia dal punto di vista cronologico, in quanto, essendo caratterizzato da una ricchissima documentazione storica, si estende ben oltre il settantennio individuato. In questo senso, ha ricordato il Prof. Corso, il volume evidenzia la continuità della vicenda autonomista tra il Diciannovesimo ed il Ventesimo secolo da un punto di vista giuridico e culturale. Ad esempio, il Professore ha sottolineato che molti dei contenuti dello Statuto speciale del 1946 sono mutuati dal parere del Gran Consiglio di Stato del 1860. Nello stesso senso, è stata poi richiamata la norma dello Statuto siciliano in cui si prevede che debbano essere istituiti in Sicilia una Corte di Cassazione, una sezione del Consiglio di Stato e una sezione della Corte dei conti; questo riflette esattamente un’istanza fatta valere all’interno del parere del Consiglio nel 1860, e cioè l’idea per cui il ciclo della giurisdizione che si apre in Sicilia si chiude anche in Sicilia. Per questo, ha messo in evidenza il relatore, un pregio del volume è quello di mettere in risalto le radici storiche ma anche mitologiche delle varie soluzioni che sono poi penetrate nello Statuto, legate dal filo rosso costituito dall’idea che la Sicilia debba essere una parte dell’Italia caratterizzata da una posizione di autonomia.

Successivamente, il Professore ha comparato l’esperienza autonomista siciliana con quella delle altre regioni a Statuto speciale, mettendo in luce che tutte vengono riconosciute in un momento di tendenziale dissoluzione dello Stato italiano, caratterizzato dalla caduta del fascismo. Questo evento, infatti, dà luogo alla esplosione di varie istanze centrifughe, tra cui, oltre che quella siciliana, va ricordata quella valdostana, in cui si prospettano, addirittura, tre possibilità: il passaggio alla Francia, l’aggregazione alla Svizzera come nuovo cantone o la permanenza nello Stato italiano con un ampio margine di autonomia. La correlazione tra dissoluzione dello Stato e tendenze centrifughe è stata dimostrata poi dal Prof. Corso facendo riferimento ad esperienze estere, richiamando in particolare quella della Jugoslavia. In questo senso, ha ribadito, l’autonomia si propone come una soluzione che contempera l’istanza alla separazione con l’esigenza di conservare l’assetto istituzionale. In altre parole, lo Stato regionale è una scelta che preclude l’esito separatista. Ecco perché questa soluzione riuscì ad aggregare tutta la classe dirigente politica italiana dell’epoca, anche quella parte che non era ideologicamente autonomista come il Partito comunista e quello socialista.

L’intervento si è chiuso con degli interrogativi: il Professore si è chiesto se il concetto di autonomia speciale conserva ancora oggi un senso, e se bisogna giudicarlo un’occasione persa o una risorsa ancora utilizzabile. Per rispondere, occorre premettere che l’autonomia speciale ha funzionato in modo diverso: brillantemente nelle regioni alpine, in modo mediocre in quelle insulari. Questa premessa ha portato il relatore a ragionare su un altro problema, quello dell’’idoneità del popolo siciliano, considerato dal punto di vista antropologico, all’esercizio dell’autonomia. In effetti, affrontando questi temi, non si può trascurare il fatto che il numero dei dipendenti della Regione Sicilia è superiore al numero dei dipendenti della totalità delle regioni del Nord, sia ordinarie che a statuto speciale. Non si può, quindi, far dipendere l’inadeguatezza dell’amministrazione siciliana dalla mancanza di risorse. Anzi, una delle criticità maggiori sta proprio nella pesantezza di questa macchina burocratica. A riguardo, il Prof. Corso ha osservato come il vecchio art. 118 Cost. cercava di porre freno a questo tipo di “degenerazione”: prefigurava, infatti, uno “schema stellare” – secondo la definizione di Feliciano Benvenuti -, in cui la regione esercitava le sue funzioni amministrative normalmente delegando agli enti locali o avvalendosi dei loro uffici. Il relatore, quindi, ha evidenziato, anche richiamandosi alle parole di Costantino Mortati, il fine di questo sistema: evitare che le regioni diventassero una sorta di “carrozzoni” per assumere personale e per risolvere il problema endemico della disoccupazione meridionale. Queste cautele, tuttavia, hanno funzionato solamente rispetto alle regioni a Statuto ordinario. La Sicilia, pertanto, ha utilizzato il grosso delle proprie risorse per alimentare il proprio apparato burocratico. Il prof. Corso ha concluso ribadendo che tutto ciò porta ad un giudizio certamente non brillante sullo stato attuale dell’autonomia insulare, accostando la condizione della Sicilia a quella della Sardegna.

 

Dipoi ha preso la parola il Prof. Esteban Anchustegui dell’Università dei Paesi Baschi, contributore del libro oggetto della presentazione, il quale ha impostato il proprio intervento sull’esperienza dell’autonomia basca a raffronto con quella siciliana. Nelle parole del Professore, l’autonomia è in primo luogo “modo politico di organizzare lo Stato”, nonché strumento di assunzione di responsabilità e di coinvolgimento all’impegno civile al livello più prossimo al cittadino. Il relatore ha descritto la propria regione come una terra popolata da uomini che amano profondamente la propria identità e soprattutto il proprio autogoverno, che pur fra le molte difficoltà è riuscito a dar prova di instancabile solidarietà. Essenza dell’autonomia – nelle parole di Anchustegui – è l’autonomia fiscale, che rileva profondamente nei rapporti fra autogoverno basco e Stato spagnolo. La comunità dei Paesi Baschi, costituita dalle tre province di Alava, Biscaglia e Guipuzcoa, ha negoziato la propria autonomia con lo Stato, all’interno della quale sono rientrati anche i poteri di prelievo e di spesa.

A fronte di un momento di crisi, che vede coinvolto in prima linea il concetto stesso di statualità, spetta in primo luogo alle regioni farsi protagoniste di un processo di integrazione attiva all’interno dell’Unione Europea, che sarà sempre di più un’Europa delle regioni. Le libertà fondamentali del mercato unico ci richiamano in questo senso alla promozione di autentici doveri di solidarietà transfrontaliera; pena il rischio di alimentare un pericoloso acuirsi delle sperequazioni fra paesi ricchi e paesi poveri. A questo pericolo – ha rimarcato il Professore – giova contrapporre un’idea di Europa in grado di valorizzare le identità regionali che la compongono, capaci dal canto loro, se verranno adeguatamente valorizzate nei meccanismi di rappresentanza europea, di essere una valida rete attraverso la quale avvicinare le istituzioni europee ai cittadini. Nello sviluppo di questo intendimento del rapporto fra Europa ed autonomie, un ruolo trainante – conclude – è quello dell’Accademia, che dovrà raccogliere la sfida di diffondere la consapevolezza di questo modo di atteggiarsi delle regioni nei riguardi della costruzione europea.

 

Successivamente è intervenuto il Prof. Marcello Saija, che ha aperto il suo intervento chiedendosi perché la Sicilia ha diritto ad una forma speciale di autonomia. Rispondere a questa domanda, infatti, è fondamentale per comprendere se abbia ancora senso al giorno d’oggi provare a rilanciare un progetto autonomistico in Sicilia, o se non sia più giusto rinunciare del tutto allo Statuto speciale. All’epoca della costituzione della Repubblica, per esempio, i notabili siciliani affermavano la prerogativa dell’autonomia speciale sulla base delle sole caratteristiche geografiche della regione: “perché simu insula”. Altri ritenevano invece che i privilegi autonomistici spettassero ai siciliani come forma di riparazione e di risarcimento per i lunghi anni di conquista e occupazione straniera, prima con il vice regno borbonico e poi con la corona sabauda. Secondo Saija, però, queste non sono ragioni sufficientemente rilevanti per giustificare la specialità siciliana. Ciò che dà diritto alla Sicilia dell’autonomia speciale è piuttosto la sua Storia, una Storia unica e particolarissima che ha unito le più varie tra razze e culture, conferendo al popolo siciliano un’identità forte e distinta.  Questa autonomia deve essere però inscritta nel sistema istituzionale in modo da costituire un valore aggiunto per la democrazia, e non la scusa per i privilegi di pochi. Tutto si risolve dunque in un problema culturale: ciò che manca alla Sicilia, e che è necessario riscoprire, è un forte senso di responsabilità, quello che ha permesso, ad esempio, ai Paesi Baschi di riuscire a difendere a colpi di buon governo le prerogative autonomistiche conquistate nel Medioevo. In Sicilia, invece, le forti spinte autonomistiche presenti nello statuto sono rimaste imbalsamate a causa dei rapporti “malati” tra l’élite isolana e quella nazionale.

 

Dopo l’intervento del Prof. Marcello Saija ha preso la parola l’altro curatore del volume, il Prof. Gaetano Armao, secondo il quale “l’autonomia siciliana si è rotta” e ciò ha portato inevitabilmente alla totale sfiducia dei siciliani nelle istituzioni regionali. Ha sottolineato, quindi, il bisogno di “riparare” queste istituzioni, ridando loro un significato ed uno scopo. Armao ha poi affermato che una delle cause del fallimento del progetto autonomistico siciliano potrebbe risiedere nella storica assenza, in Sicilia, di un cosiddetto partito autonomistico, istituzione caratteristica invece degli esempi più riusciti di autonomia speciale, in Italia così come all’estero (Paesi Baschi, Catalogna, Trentino Alto Adige). H identificato, inoltre, le origini dei problemi dell’autonomia siciliana nel mal funzionamento della sua macchina amministrativa, citando l’ex governatore siciliano Giuseppe Alessi, il quale già nel 1963 affermava che il reclutamento del personale della neonata regione autonoma fu portato avanti in modo frettoloso e disattento, creando larghi spazi per l’illegalità, il protezionismo e il malcostume: humus adatto per la proliferazione di comportamenti mafiosi. Il Professore ha terminato il suo intervento sottolineando le opportunità, sia in termini di potenziali investimenti che di benefici fiscali (fiscalità di sviluppo), che derivano dal riconoscimento dello status insulare della Sicilia in base all’ordinamento europeo e alle sentenze della Corte di giustizia europea.

 

Il convegno si è chiuso con l’intervento di Gianpiero D’Alia, Presidente della Commissione bicamerale per gli Affari regionali. In apertura D’Alia ha precisato che quello della corruzione e della scarsa accountability della classe dirigente non è un problema che riguarda solamente il Meridione e la Sicilia, ma che affligge tutto il sistema istituzionale italiano e che deve essere dunque affrontato a livello nazionale. D’Alia ritiene che non possa esistere una reale autonomia se non è garantita in primo luogo un’autonomia finanziaria e fiscale, così come previsto in Costituzione. Il Presidente ha riportato quindi i risultati di una ricerca commissionata proprio dalla Commissione Affari regionali all’Università la Sapienza di Roma, mostrando come paradossalmente proprio la Sicilia sia una delle regioni che, nonostante lo status speciale, dipende di più sia dal lato economico che da quello finanziario, dalle casse statali. D’Alia ha auspicato dunque un ritorno a una stagione politica, risalente ormai a quasi un decennio fa, in cui il tema del federalismo fiscale è stato affrontato in maniera seria, prima di essere accantonato a causa dello scandalo “rimborsopoli” e degli interventi accentratori che hanno seguito il crack finanziario del 2008. L’intervento si è concluso con un appello alla riforma dello Statuto siciliano, ritenuto ormai anacronistico rispetto all’ambiente socio-economico attuale, caratterizzato da una sempre maggiore importanza dell’ordinamento europeo e dalle sfide di un’economia globalizzata.

a cura di Marco Bertagnin, Samuele Crosetti e Gabriele Gavazzi