Il calcolo del valore stimato delle concessioni deve utilizzare quale parametro il fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio. 

13.02.2017

Consiglio di Stato, sez. III, 18.10.2016 n. 4343

Una nota azienda di distributori automatici proponeva ricorso avverso una ASL, impugnando un bando di gara per l’affidamento in concessione del servizio di ristoro a mezzo distributori automatici di alimenti e bevande e ogni atto con il quale la ASL aveva stabilito il valore della concessione, in quanto la ditta aveva chiesto chiarimenti in merito alle modalità relative al calcolo del valore della concessione senza ottenere risposta e ritenendo di non essere in condizione di poter presentare l’offerta. Dinanzi al TAR, la ASL rendeva i chiarimenti richiesti: il valore della concessione era stato parametrato al canone concessorio e i dati economici riportati negli atti di gara dovevano ritenersi esaustivi per la determinazione del canone, riguardando il numero, la tipologia e l’ubicazione dei distributori, considerando che era stato previsto un sopralluogo presso le strutture. Il ricorso di primo grado era stato respinto.

Avverso tale decisione la ditta proponeva appello lamentando la violazione degli artt. 29 e 30 del D.Lgs. n. 163/06, della direttiva 2014/23/UE del 26/02/2014, e l’eccesso di potere. La ricorrente sosteneva di non aver potuto formulare un’offerta tale da garantire il rientro dell’investimento. Lamentava l’omessa indicazione negli atti di gara del diritto di esclusiva e censurava l’inserimento del criterio della “doppia leva”, cioè del rialzo sul canone offerto per distributore e del ribasso sui prezzi al pubblico dei prodotti. La controversia riguardava la legittimità della commisurazione del valore della concessione al canone concessorio, anziché al fatturato generato per la durata del contratto. Tale circostanza avrebbe impedito alla ditta di formulare un’offerta ponderata e di partecipare, pertanto, alla gara.

Il Consiglio di Stato in primo luogo ha affermato che sussisteva la legittimazione e l’interesse al ricorso della società. L’adeguata ponderazione, espressione del principio di serietà dell’offerta, costituisce strumento posto a tutela dell’esigenza pubblicistica dell’individuazione del giusto contraente. Nel momento in cui la lex specialis della gara presenta caratteristiche che rendono difficile un’esatta ponderazione dell’offerta, essa assume carattere direttamente lesivo della sfera delle potenziali concorrenti, potendo costituire oggetto di legittima impugnativa da parte delle stesse. Secondo la società l’erroneità del criterio utilizzato per stimare il valore della concessione aveva leso la possibilità di ponderazione dell’offerta.

Nei propri chiarimenti l’Amministrazione aveva precisato che: l’importo a base di gara era stato stimato sulla base dei dati storici relativi ai canoni di aggiudicazione di precedenti gestioni, ed erano stati forniti, nel capitolato, tutti gli elementi per l’individuazione del potenziale fatturato generato dalla gestione del servizio: il canone a carico del concessionario, i dati informativi relativi all’utenza, la descrizione del servizio, il numero dei distributori e la loro ubicazione.

Il Consiglio di Sato, invece, ha richiamato alcune deliberazioni dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici in materia (deliberazioni nn. 40/2013, 10/2013, 1/2014, 8/2014). L’AVCP aveva rilevato che sebbene sia difficoltoso per le stazioni appaltanti stimare i proventi del servizio, nondimeno l’esatta determinazione del valore dell’affidamento assume rilievo sotto molti aspetti: è indispensabile per poter fornire una corretta informazione agli operatori economici, ad individuare la forma di pubblicità idonea, per determinare l’ammontare delle cauzioni e del contributo all’Autorità. La stessa aveva precisato che, ai sensi dell’art. 29, comma 1, del D.Lgs. 163/2016, il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull’importo totale pagabile al netto dell’IVA, valutato dalle stazioni appaltanti e tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresi

opzioni o rinnovi del contratto. Per le concessioni in particolare, nella definizione di importo totale pagabile è da ricomprendere il flusso dei corrispettivi versati dagli utenti per i servizi in concessione. Così come nella stessa nozione è ricompreso il corrispettivo pagato dalla stazione appaltante nel caso di appalto, qualora si tratti di una concessione, non essendovi un prezzo pagato dalla stazione appaltante, ma solo quello versato dagli clienti, sarà questo a costituire parte integrante dell’importo totale pagabile. Il canone a carico del concessionario potrà essere computato ove previsto, ma in quanto eventuale non può considerarsi la sola voce indicativa del valore della concessione. La mancata indicazione del valore stimato degli appalti mette le ditte partecipanti alla gara in una situazione di incertezza nella formulazione dell’offerta. Il calcolo relativo alla determinazione dell’importo del servizio oggetto di concessione deve essere effettuato secondo quanto previsto dall’art. 29, comma 1 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, tenendo conto dei ricavi ipotizzabili in relazione alla futura gestione. L’esatta valutazione del valore del contratto assume rilevanza anche per garantire condizioni di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, che si concretizzano nell’informare il mercato sulle complessive condizioni di gara. Il valore della concessione non può essere computato con riferimento al costo della concessione, che è un elemento eventuale, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti.

La correttezza di detto criterio, secondo il Consiglio di Stato, risulta confermata dalla previsione contenuta nella direttiva 2014/23/UE, recepita, da ultimo, nell’art. 167 del D.Lgs. n. 50/2016 (non applicabile al caso di specie ratione temporis), che ha stabilito all’art. 8 che il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale della concessionaria generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie, valido al momento dell’invio del bando. Il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo, specificato nei documenti della concessione, indicando poi gli stessi elementi di valutazione, consentendo alle ditte di poter verificare i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione.

Il valore della concessione non può essere basato su un parametro, quello del canone di concessione, non rispondente all’art. 29 del D.Lgs. 163/06, né la stima del fatturato può essere rinviata al concorrente, né essere dedotta sulla base degli elementi contenuti nel capitolato, perché è difficile dall’esterno compiere credibili stime, in quanto i fattori che incidono sugli incassi dipendono da una varietà di condizioni: quali l’ubicazione delle strutture, la collocazione dei distributori, le abitudini dell’utenza, la localizzazione di altri punti di ristoro, l’accesso di utenti esterni, tali da non consentire ai concorrenti di valutare in modo verosimile il fatturato sulla base dei soli elementi indicati nel capitolato.

Il Consiglio di Stato, pertanto, ha accolto l’appello con conseguente annullamento degli atti di gara impugnati (si vedano anche: Tar Umbria, 07.04.2016 sent. n. 57, TAR Roma, 25.07.2016 n. 8439, Tar Umbria, 19.10.2016 sent. n. 653).

a cura di Annalisa Maccarelli