Le deleghe della Legge 124/2015. Le leggi di riforma e la loro attuazione: l’uso della delega e i provvedimenti attuativi

30.06.2016

 

Venerdì 6 maggio 2016, presso la LUISS Guido Carli di viale Romania, si è tenuto il quarto incontro del ciclo di seminari concernenti la riforma della Pubblica Amministrazione organizzati dalla LUISS – School of Government ed avente ad oggetto le deleghe legislative contenute all’interno della legge 124/2015, meglio conosciuta come “Legge Madia di Riforma della PA”. Relatori il cons. Paolo Aquilanti, Segretario Generale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il prof. Nicola Lupo, Professore ordinario di Diritto delle Assemblee Elettive presso il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna anche Public Law e
direttore del Master di secondo livello in Parlamento e Politiche Pubbliche (MAPP) presso la medesima Università. Introduce e modera il prof. Bernardo Giorgio Mattarella, professore di diritto amministrativo presso il Dipartimento di giurisprudenza della LUISS Guido Carli e co-direttore del master in Management e Politiche delle Amministrazioni Pubbliche (MAMA) organizzato congiuntamente dalla LUISS Guido Carli e della Scuola nazionale dell’Amministrazione.

Il cons. Aquilanti presenta il proprio intervento inserendolo all’interno della cornice più ampia rappresentata dal tema della legislazione delegata e, nello specifico, di quella produzione legislativa formatasi nel tempo allo scopo di semplificare la legislazione stessa. Sottolinea quindi come proprio l’analisi dell’ipertrofia della produzione normativa e il conseguente disordine normativo abbiano portato alla costituzione di strumenti specifici di semplificazione (sia amministrativa che normativa). I primi interventi legislativi sistematici in materia risalgono ai primi anni ’90. A partire da questo momento si è assistito al moltiplicarsi quasi paradossale anche di questi ultimi tanto che si è giunti al punto di produrre dei testi coordinati proprio sulla semplificazione, dei testi cioè che ordinano in maniera coerente tutte le norme adottate nel tempo in materia di semplificazione.

Non è quindi casuale il fatto che il D.lgs 10/2016 sia il primo decreto emanato in attuazione della c.d. “legge Madia”. Questo intervento, di impatto potenzialmente esteso e rilevante, corrisponde anche ad una esigenza di informazione. Ci si chiede infatti quale sia il grado di implementazione della legislazione quando questa sia affidata a provvedimenti di attuazione ai quali non corrispondono né un obbligo di provvedere giuridicamente sanzionato né tanto meno un termine di decadenza del potere di esercitare tale potestà oltre il termine stabilito dalla legge che li prevede.

Questa situazione ha generato nel tempo un accumulo di provvedimenti di attuazione che non vedono la luce. In alcuni casi questo è determinato da una considerazione di inutilità di certi provvedimenti che si ritiene di non dover adottare per il carattere auto-applicativo della legge di riferimento. In altri casi però la legge non riesce, in assenza di provvedimenti, a produrre gli effetti per come il legislatore li aveva definiti. Questo determina di conseguenza un problema di efficacia dell’azione legislativa ed un problema della stessa legislazione vigente.

Per comprendere al meglio l’impostazione e la novità di metodo utilizzata per il presente provvedimento il cons. Aquilanti propone un raffronto con l’operazione che circa dieci anni fa era stata definita “Taglialeggi”. Sebbene la finalità fosse la medesima, ovvero quella di ridurre lo stock normativo, si decise, anche data l’esperienza fallimentare dei testi unici misti, di optare per una abrogazione sistematica di quelle leggi considerate ormai datate. Tale categoria di leggi comprendeva quelle entrate in vigore prima del 1970, data arbitrariamente e simbolicamente individuata. È infatti in quello stesso periodo che cominciò la produzione legislativa delle neonate regioni a statuto ordinario. L’operazione comportò l’individuazione, da parte del legislatore delegato di alcune eccezioni ovvero quelle norme da conservare in quanto ritenute ancora necessarie e quindi l’abrogazione per la restante parte. Con successivi interventi, in particolare tramite decreti-legge, onde evitare inconvenienti anche rilevanti si produssero degli allegati in cui, a titolo ricognitivo (ma in realtà con effetto abrogativo diretto), si elencavano tutte le leggi o disposizioni di legge espressamente abrogate.

Recentemente, al contrario, data la complessità di individuare le leggi che non possono applicarsi o che si applicano con difficoltà per via della mancanza dei decreti attuativi, si è proceduto al censimento di questi ultimi. L’ufficio per il programma di Governo, istituito presso la Presidenza del Consiglio e che per delega politica fa capo al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, ha il compito precipuo di monitorare costantemente e promuovere l’attuazione dei provvedimenti. Questo lavoro ha di fatto prodotto un notevole incremento del grado di realizzazione dei provvedimenti stessi.

All’epoca della discussione della “legge Madia” si è ritenuto di poter rendere ulteriormente efficace tale azione affidando una delega specifica al Governo al fine di individuare tra le disposizioni di legge che prevedevano atti successivi di attuazione quelle con una persistente validità o necessità così da poterle eventualmente modificare e predisporre gli idonei provvedimenti attuativi.

Per quanto riguarda le disposizioni non necessarie o inattuali non c’è quindi stato, come nel caso della “Taglialeggi”, un effetto caducativo ablativo fondato sulla presunzione dell’anzianità delle leggi ma un esame puntuale al quale hanno partecipato, ciascuna per la propria materia di competenza, tutte le amministrazioni. Questo ha portato a 46 interventi abrogativi e circa 30 interventi di modifica legislativa.

Il cons. Aquilanti sottolinea come anche in Parlamento, ed in particolare all’interno delle commissioni che hanno espresso pareri sullo schema del D.Lgs, si sia salutata positivamente l’operazione del Governo manifestando consenso soprattutto sul metodo di lavoro adottato e sollecitando lo stesso Governo a proseguire sulla strada intrapresa. Quest’ultimo elemento evidenzia come la legislazione che si fondi su presupposti condivisi e su analisi attendibili non è vissuta necessariamente dal Parlamento come una sottrazione di responsabilità o di potestà legislativa. Al contrario, il meccanismo del parere parlamentare dato anche sugli schemi di D.lgs introduce una sorta di compartecipazione (a termini costituzionali certamente non dovuta) degli organi parlamentari (in questo caso le commissioni) alla fase di attuazione della delega.

In conclusione il cons. Aquilanti analizza quelli che sono i motivi più frequenti del rinvio delle leggi ad adempimenti successivi e che spesso causano distorsioni o limiti d’applicazione. Il primo di questi è determinato da carenze propria dell’istruttoria legislativa e rappresenta i casi in cui non è possibile avere, al momento dell’emanazione della legge, esatte o compiute cognizioni sugli effetti attesi da una norma. Il secondo motivo è di ordine politico. Si preferisce in questo caso emanare una norma primaria a carattere generale rimandando la definizione del dettaglio ad una regolazione successiva di rango subordinato. Altre volte invece il rinvio risponde ad una esigenza tecnica imprescindibile. La legge infatti non può farsi carico di disciplinare integralmente una materia laddove l’atto amministrativo o il regolamento siano strumenti di regolazione più efficaci.

La tendenza recente è quindi quella di ridurre il rinvio da norme di legge ad adempimenti amministrativi successivi cercando di rendere coerente ed efficace il drafting legislativo ovvero cercando di definire già all’interno della norma di legge tutto ciò che è necessario per rendere tale legge autosufficiente e rimandando agli adempimenti successivi solamente le definizioni di dettaglio o di carattere squisitamente tecnico. Il D.lgs 10/2016 rappresenta quindi il primo strumento in tal senso dal momento che si propone di effettuare un’operazione ordinata e critica fondata sul discernimento tra casi in cui la legge può definire in modo compiuto la fattispecie da regolare e casi in cui la legge deve rinviare, senza abuso, a provvedimenti di attuazione.

 

A margine dell’intervento del cons. Aquilanti il prof. Mattarella espone due osservazioni complementari. Nella prima sottolinea come sussista una oggettiva difficoltà (essenzialmente procedurale) nell’elaborare i regolamenti e questo fa si che talvolta si appesantiscano gli atti legislativi. Sono infatti spesso gli stessi Ministeri a chiedere che si intervenga con legge sul proprio assetto organizzativo, cioè in materia di loro competenza regolamentare, per evitare di intraprendere un lungo e incerto iter redazionale.

La seconda osservazione riguarda il modus operandi relativo all’elaborazione ed attuazione del D.lgs 10/2016. La Presidenza del Consiglio ha infatti chiesto ai Ministeri, per le rispettive materie di competenza, di collaborare indicando quali norme abrogare o modificare accogliendo varie proposte ed assumendo autonomamente le decisioni finali. Questo schema, che prevede una salda guida centrale che coinvolge puntualmente le amministrazioni di settore (di fatto cioè i soggetti che conoscono la difficoltà relativa all’attuazione delle norme) sembra quindi essere, secondo il prof. Mattarella, esemplare dal punto di vista delle operazioni di riordino e semplificazione normativa.

 

L’intervento del prof. Lupo si focalizza principalmente sul sistema delle fonti e descrive quindi le caratteristiche tipiche della delega legislativa utili per inquadrare correttamente la dialettica tra Governo e Parlamento e non pensarli come soggetti nettamente distinti l’uno dall’altro. Il punto di partenza della sua trattazione è la flessibilità della delega legislativa che si trova alla base di numerosi provvedimenti assunti nel tempo (dalla “Tagliadecreti” ai testi unici misti). La stessa legge 124/2015 contiene ben 14 norme di delega legislativa e altrettante deleghe correttive. Ancora, la maggior parte delle riforme approvate in questa ultima legislatura o che sono in itinere sono state elaborate a partire da deleghe legislative (dagli appalti pubblici al “Jobs act”).

La fonte e la configurazione del procedimento rispondono ad esigenze e motivazioni di matrice fortemente politica. La scelta di non disciplinare direttamente con legge ma di demandare l’attuazione di una certa previsione ad un regolamento successivo è stata un’opzione ricorrente dettata spesso dalla difficoltà di trovare un compromesso in sede di stesura. Stessa difficoltà che inevitabilmente si ripresenterà successivamente rendendo la norma di fatto impossibile da attuare.

Altro esempio dettato da ragioni politiche è quello relativo alla legislatura 2006/2008 dove la difficoltà di ottenere la maggioranza al Senato costringeva il Governo a non caricare eccessivamente il processo legislativo operando prevalentemente tramite decreti ministeriali.

Anche la legge 124/2015 mostra, da questo punto di vista, degli spunti di riflessione interessanti. Ciascuna delle 14 deleghe individua innanzitutto il soggetto responsabile in capo al Governo (generalmente il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione in concerto con altri Ministri) evidenziando significativamente chi detenga l’iniziativa del procedimento. Inoltre ogni delega della legge 124/2015 si sforza di chiarire il rapporto tra la normazione da adottarsi con decreto legislativo e la legislazione in essere. Nella norma di delega infatti si trova sempre indicata, ancor prima della definizione dei principi e dei criteri direttivi, la parola chiave (semplificazione, riordino ecc.) che indica come non si parta quasi mai da un settore completamente nuovo o non si voglia regolare ex novo un intero settore.

Per quanto riguarda i principi e i criteri direttivi questi sono mediamente più precisi rispetto agli standard ma anche in questo caso è possibile notare la flessibilità della delega. È infatti possibile avere principi e criteri che sono pressoché testuali anticipazioni di quello che sarà il contenuto del D.lgs. oppure principi e criteri talmente vaghi da poter dar luogo alle più svariate forme di attuazione.

Relativamente all’oggetto si sono lasciate aperte solamente due questioni importanti: la prima riguarda l’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato ad altre forze di polizia e la seconda riferita al rapporto tra Motorizzazione Civile e PRA (Pubblico Registro Automobilistico). In questi due casi spetterà al legislatore delegato stabilire se accorpare  i vari istituti o meno. La scelta di rinviare al legislatore delegato la decisione rispecchia l’onesta presa d’atto di una difficoltà politica. Questo ultimo elemento, relativo alla mancata definizione dell’oggetto, si pone in qualche misura in contraddizione con lo spirito della delega legislativa e del buon riparto di ruoli tra Governo e Parlamento.

La delega legislativa ha infatti la sua ratio nella definizione di criteri e principi e nella individuazione di un percorso che dovrà essere concluso dal Governo con l’emanazione del D.lgs ma in costante dialogo con il Parlamento. Il parere delle commissioni che, sebbene non previsto dall’art. 76 della Costituzione, è, secondo il prof. Lupo, del tutto in linea con lo spirito dello stesso articolo ed ha la specifica funzione di valutare politicamente, in itinere ed ex post (perché la valutazione è complessiva) lo stesso percorso configurato dalla delega legislativa. Resta fermo il fatto che la decisione finale spetta al Governo ed è per questo che sono ritenuti inammissibili (specialmente all’interno del Senato) emendamenti che prevedano pareri giuridicamente vincolanti in capo alle commissioni parlamentari nell’attuazione di leggi delegate.

Il precedente relativo ai decreti correttivi al codice di procedura penale ha visto l’emanazione di un parere finale vincolante ma affidato ad una commissione bicamerale. Il problema di affidare un parere vincolante a due commissioni permanenti risiede nel fatto che qualora le due commissioni esprimessero un parere difforme questo produrrebbe momenti di stallo che attribuirebbero de facto l’ultima parola al Parlamento (situazione certamente non contemplata nell’art. 76 Cost.).

Il prof. Lupo si sofferma successivamente sul coinvolgimento sistematico del Consiglio di Stato nelle deleghe previste dalla legge 124/2015. Questo si configura come un elemento di novità rispetto alla legislazione in vigore (dal momento che il parere del Consiglio di Stato è previsto solamente per i testi unici e per i codici di settore) e di riconduzione a sistema di una dinamica che si era invece consolidata su base individuale (erano cioè i singoli consiglieri di Stato a svolgere la funzione consultiva). Ora, al contrario, è l’istituzione Consiglio di Stato che, attraverso la sua Sezione consultiva, esprime la sua opinione autorevole.

In conclusione il prof. Lupo esprime alcune considerazioni sulla tempistica dei provvedimenti. In primo luogo ricorda come la mancata osservanza da parte del Governo del parere della commissione parlamentare produce come conseguenza solamente l’obbligo di rimandare il testo alle commissioni, ovvero un allungamento dei tempi. Una situazione simile a quella che potrebbe configurarsi qualora venga approvata la riforma costituzionale. La Camera dei deputati potrà deliberare nel senso opposto rispetto agli emendamenti proposti dal Senato ma questo inevitabilmente produrrà una dilatazione dei tempi. La Camera infatti potrebbe essere indotta a rielaborare il testo o ad abbandonarlo completamente.

Per quanto riguarda i rapporti tra Parlamento e Governo è anche in questo caso possibile che quest’ultimo decida di non attuare la delega ma dal punto di vista politico il fatto stesso di non adempiere ad una delega che lo stesso Governo ha chiesto all’Assemblea legislativa potrebbe avere delle conseguenza (responsabilità politica).

Chiude quindi l’incontro il prof. Mattarella che rimarca il grande investimento di risorse umane effettuato dal Consiglio di Stato nell’attività consultiva, non soltanto sui decreti inattuati, sottolineando come sia di fondamentale importanza che il Consiglio di Stato fondi le radici della propria esistenza (dopo che per molto tempo ha puntato quasi esclusivamente sulla funzione giurisdizionale) e il ruolo di specialità sul ruolo consultivo, un’azione anche culturale come ha fatto ad esempio il Conséil d’Etat francese.

 

 

a cura di Danilo Capitanio, Simone Neri e Stefano Tanda