Alfonso Del Giudice, Social Impact Bond, Milano, Franco Angeli, 2015

28.03.2016

La recente pubblicazione del volume di A. Del Giudice “I Social Impact Bond” è utile occasione per polarizzare l’attenzione su questo (promettente ma complesso) strumento di “amministrazione pubblica per negozio” (mutuo l’espressione da un altrettanto recente saggio, avente medesimo oggetto, di Andrea Blasini[1]). Siamo davanti ad una embricazione tra moduli della sfera pubblica (l’impatto sociale e la presenza nel contesto generale dello strumento di una amministrazione preposta alla cura funzionale di interessi meta-individuali) e della sfera privatistica (nel caso di specie, strumenti finanziari; i bond).

I SIB presentano dei profili innovativi poiché promuovono un ambizioso tentativo di massimizzazione delle capacità (anche etiche) del privato mediante l’incentivo finanziario (ma non solo), per addivenire a finalità tipologicamente ascrivibili al potere pubblico.

Con il SIB infatti è evidente che il privato, pur incentivato da un premio finanziario, non agisce sin dall’origine per motivazioni meramente egotiche (in quanto dettate dal profitto), poiché l’intero progetto sociale legato allo strumento in questione deve essere incastonato in una cornice connotata da un certo grado di alea, e quindi a muovere il finanziatore è anche una considerazione di ordine sociale e lato sensu morale. Lo strumento stesso, volendo riprendere una nota partizione teorica di Sabino Cassese, può essere considerato frutto di una rinnovata vitalità sociale in grado di trasvalutare la concezione “classica” di funzione[2].

Il volume di Del Giudice ha il prezioso merito di trattare in via estensiva, ed analitica, non solo la morfologia e la storia di questo strumento, ma anche alcune delle più rilevanti problematiche ad esso connesse; la natura economica delle operazioni nel più generale quadro della finanza sociale, l’impact investing, il ruolo della Pubblica Amministrazione nella redazione delle convenzioni e dei protocolli, l’emersione del SIB nel contesto italiano (significative esperienze hanno preso avvio per il compostaggio dei rifiuti a Napoli e per il reinserimento sociale dei detenuti nella Provincia di Brescia), la valutazione ed il monitoraggio dei risultati ottenuti.

Il SIB nasce nel Regno Unito tra il 2007 e il 2010, ad opera della impresa sociale Social Finance ltd, su impulso del Council for Social Action (negli Stati Uniti invece i SIB sono stati inquadrati nel modello generale delle privatizzazioni government by bounty: Del Giudice si sofferma sulla esperienza del carcere minorile di Rikers Island, a New York), onde coniugare , per la realizzazione di politiche sociali, amministrazione pubblica, finanziamenti privati e terzo settore.

Il primo caso di sviluppo di un SIB è stato quello che ha visto coinvolto il carcere della città di Peterborough; nel 2010, la già citata Social Finance e il Ministero di Giustizia hanno sottoscritto un accordo con la specifica finalità di ridurre il tasso di recidiva, prendendo come campione i condannati a lievi pene detentive. Il programma è stato finanziato con cinque milioni di sterline provenienti in via principale da fondazioni e charities ed è stato rivolto ad un campione di alcune migliaia di uomini, i quali sono stati assistiti da un consorzio di sei organizzazioni specializzate nel reinserimento sociale dei detenuti.

Lo schema tipologico di un SIB è sommariamente riassumibile nel modo che segue; uno o più investitori privati, coordinati da un promotore finanziario, finanziano attività di interesse/impatto sociale secondo un programma/convenzione con una amministrazione pubblica la quale si impegna a remunerare i servizi resi nella sola ipotesi che l’attività abbia raggiunto i risultati puntualmente definiti nel protocollo convenzionale. Vi devono essere cinque soggetti; investitore, pubblica amministrazione, broker finanziario, erogatore di servizi sociali e organismo che garantisca la neutralità della valutazione delle prestazioni rese e dei risultati raggiunti.

Molte questioni, naturalmente, restano sul campo, non ultima proprio la qualificazione giuridica dell’istituto (da alcuni ricondotta nell’alveo dei derivati[3], da altri invece in quello di un peculiare genus di partenariato pubblico-privato[4]), qualificazione da cui derivano stringenti conseguenze di ordine pratico (come noto, e ad esempio, dal 2008, ex articolo 62 legge 6 Agosto 2008, n. 133 vige per gli enti locali divieto di stipulare strumenti finanziari derivati, un divieto confermato, pur se con alcune opacità, dalla legge 24 dicembre 2013, n. 147, Legge di Stabilità per il 2014). Altra questione spinosa è la elaborazione di modalità valutative il più oggettive possibili, soprattutto se consideriamo che le aree di intervento sono forse tra quelle più difficilmente valutabili in termini economici. Terreno scivoloso ma affascinante e sicuramente da esplorare.

[1]  A. Blasini “Nuove forme di amministrazione pubblica per negozio: i social impact bonds”, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/2015, pp. 69 e ss.

[2] S. Cassese – L. Torchia “Diritto amministrativo – una conversazione”, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 102

[3] M. Ljang, B. Mansberger e A.C. Spieler “An overview of social impact bonds”, in The Journal of International Business & Law, 2013, p. 271, i quali comunque sottolineano alcune peculiarità di questi strumenti finanziari, ad esempio il rischio collegato al SIB non corrisponde al rischio di default corso dal debitore se diviene insolvente.

[4] A. Blasini, “Nuove forme di amministrazione pubblica per negozio: i social impact bonds”, op. cit. p. 77

Recensione a cura di Andrea Venanzoni