Sergio Zoppi, Pietre di confine. Personali apprendimenti, Rubbettino, 2015

02.12.2015

Si tratta di un saggio davvero originale per finalità ed impianto, che si aggiunge ai numerosi libri già pubblicati da Zoppi nell’ultimo quarto di secolo per delineare figure considerate significative per il paese, oltre che per la sua formazione, a cominciare dai ritratti di Romolo Murri, Luigi Sturzo e  Alcide De Gasperi. In questo caso l’autore, oltre a scolpire la fisionomia di una persona (Corrado Dami) a cui mostra particolare gratitudine per l’esempio di probità e sensibilità politico-sociale ricevuto negli anni giovanili, offre una ricostruzione efficace del profilo di altri quattordici noti protagonisti a vario titolo della vita pubblica italiana – Giulio Andreotti, Massimo Annesi, Anna De Lauro Matera, Gabriele De Rosa, Amintore Fanfani, Massimo Severo Giannini, Giorgio La Pira, Antonio Maccanico, Giovanni Marongiu, Giulio Pastore, Nicola Pistelli, Manlio Rossi-Doria, Pasquale Saraceno e Giovanni Spadolini -,  incontrati e conosciuti per ragioni ed in periodi diversi durante la  sua intensa vita politica e istituzionale. Da questi rapporti ha tratto appunto “apprendimenti personali”, di cui in vario modo è poi divenuto interprete e testimone nell’esercizio delle sue responsabilità, dapprima come collaboratore assai vicino a Giulio Pastore, poi soprattutto nell’ambito del trentennio di direzione e del ventennio di presidenza del Formez.

Ne esce una sorta di galleria di personaggi che hanno contribuito, spesso in primo piano, alla storia del nostro paese nella seconda metà del Novecento, cui si aggiunge la ricostruzione di una gamma assai vasta di altri interlocutori istituzionali o culturali, ciascuno collocato nel contesto di un rapporto significativo di cui l’autore riesce a fare efficace memoria, con ricordi ricchi di spunti incisivi, valorizzando l’apporto di ciascuno, con riflessioni puntuali, anche sul piano delle relazioni interpersonali. Naturalmente questa sorta di bilancio di un’esperienza di vita assai curiosa ed impegnata, con un  prevalente baricentro sulle questioni di formazione e direzione di organizzazioni complesse, anzitutto  del Mezzogiorno, fa emergere con molta chiarezza le radici culturali ed il profilo alto di studioso e di civil servant di Sergio Zoppi, sottolineando il suo legame specie con alcuni Maestri particolarmente apprezzati.

Tra questi si vuole in questa sede particolarmente menzionare la figura di Giovanni Marongiu, che è stato tra l’altro agli inizi degli anni Novanta copromotore e – fino alla sua prematura scomparsa – primo presidente del Centro Bachelet, del quale questa rivista è espressione. Dal ritratto che Zoppi ne offre emergono a tutto tondo, oltre alla profonda stima, i caratteri salienti di questo protagonista di temperamento riservato, ma sempre lucido e profondo, che abbinava la sua competenza di giurista e cultore di studi sull’amministrazione pubblica – assai legato a Vittorio Bachelet – con una forte passione per la cultura politica e la formazione della classe dirigente. Di qui, da un lato, le sue  ricerche e riflessioni di largo respiro sulla democrazia come problema, svolte con grande capacità di orientamento tra le complesse dinamiche della vita delle istituzioni democratiche, animando anche schiere di giovani ricercatori raccolti soprattutto intorno alla Fondazione Pastore; dall’altro, la sua propensione a misurarsi anche sul campo, assumendo non lievi responsabilità istituzionali ed operative dapprima alla Cassa per il Mezzogiorno, poi al vertice del Formez, infine come ministro per il Mezzogiorno. In sostanza, una figura esemplare – per l’accademia e per il paese – che Sergio Zoppi ha saputo rendere con efficacia e partecipazione. Gliene siamo grati.

Recensione a cura di Gian Candido De Martin