Sulla giurisdizione amministrativa in caso di impugnazione contestuale dell’informativa antimafia e degli atti conseguenti, sui presupposti per l’emanazione del provvedimento interdittivo e i limiti del sindacato giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. III, 7 maggio 2015, n. 2284)

07.07.2015

 

a cura di Filippo Lacava

Il Consiglio di Stato ribadisce, anche in relazione agli appalti dell’EXPO, la giurisdizione amministrativa in caso di contestuale impugnativa dell’informativa prefettizia interdittiva e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada, collocandosi nel solco dell’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza amministrativa (si vedano, in particolare, l’ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 17 del 31 luglio 2014, ribadita dalla n. 29 del 7 novembre dello stesso anno) hanno affermato la vis attractiva della competenza sulla domanda principale anche sulla domanda accessoria, per il particolare legame dei provvedimenti impugnati e per il loro nesso di dipendenza logico-giuridica, individuando, in caso di contestuale impugnativa dell’informativa prefettizia interdittiva e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, il giudice competente nel T.A.R. nella cui circoscrizione si trova la Prefettura che ha adottato l’informativa e, quindi, nel caso di specie, il T.A.R. Milano .

Secondo il Consiglio di Stato, tale intimo e stretto collegamento nel caso di specie trova ancor più supporti nella natura di organismo di diritto pubblico dell’EXPO ai sensi dell’art. 3, c. 26, del d.lgs. n. 163/2006 e nell’oggetto dell’appalto volto a soddisfare esigenze di interesse pubblico generale, che giustificano la giurisdizione del giudice amministrativo anche in sintonia con il diritto comunitario che privilegia in tal caso la trattazione unitaria di quei provvedimenti (cfr. sul punto anche Cons. Stato – Sezione IV n. 552/2015, relativa proprio ad appalto dell’Expo).

L’altro punto di particolare interesse della pronuncia in esame riguarda un’interpretazione dei presupposti dell’interdittiva e dei limiti del sindacato giurisdizionale coerente con la funzione preventiva e cautelare del provvedimento in esame.

Secondo il Collegio, infatti, l’informativa in questione, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di infiltrazioni o collegamenti con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste, per cui gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico bensì nel loro insieme ed unitamente esplicitandosi in una valutazione nella quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri, non con finalità di accertamento di responsabilità, ma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là delle individuazioni delle responsabilità penali.

Ne consegue che la valutazione relativa al pericolo di infiltrazione mafiosa si configura quale tutela avanzata nei riguardi di tale criminalità organizzata, tanto da operare anche quando non si sono ancora concretizzati elementi certi di collusione o di cointeressenza, proprio per la funzione di deterrenza anticipata, ma inevitabile, che questo tipo di valutazione viene a svolgere nell’ambito ordinamentale.

In sostanza, va, quindi, sottolineato che si tratta, come detto, del più avanzato livello di protezione dell’ordinamento da fenomeni particolarmente pericolosi ed aggressivi per la vita della collettività, rimesso alla valutazione prefettizia sulla base delle informative rese dalle forze di polizia e che, proprio per tale sua connotazione, non necessita del supporto di elementi contraddistinti da certezza ed univocità, operando in un ambito di prevenzione che, in quanto tale, deve potersi fondare anche sui meri elementi indiziari non assurgenti al rango di prova.

 

 

f.lacava