Cons. St. Ad. Pl., 20 giugno 2014 n. 14 sulla possibilità per la PA di procedere alla revoca ex art. 21 quinquies L. 241/90 del contratto di appalto durante la sua fase di esecuzione e gestione.

02.07.2015

a cura di Flaminia D’Angelo

La sentenza in oggetto esamina la dibattuta questione circa la possibilità di revocare ex art. 21 quinquies L. 241/90 durante la sua fase di esecuzione – anziché procedere con il recesso ex art. 134 dlgs 163/06 – il contratto d’appalto stipulato a seguito di una procedura ad evidenza pubblica

Al fine della soluzione della questione, l’Adunanza Plenaria ha innanzitutto compiuto un richiamo ala normativa rilevante in materia evidenziando come «si riscontra anzitutto un elemento di contraddittorietà tra i commi 1 e 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché, per il primo, la revoca può incidere soltanto su atti “ad efficacia durevole”, mentre, per il secondo, l’atto revocato può anche essere “ad efficacia istantanea” se incidente su “rapporti negoziali”, con un possibile effetto retroattivo che avvicina l’istituto a quello dell’annullamento d’ufficio per illegittimità, convergendo, in questo senso, anche l’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, per il quale l’annullamento volto a “conseguire risparmi o minori oneri finanziari” regola il caso in cui incida “su rapporti contrattuali o convenzionali con privati”; potere quest’ultimo che, al di là del nomen dell’atto, appare peraltro vicino allo schema della revoca sul presupposto della rivalutazione della convenienza di contratti già stipulati. La normativa richiamata deve essere a sua volta esaminata insieme con quella dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990, per cui è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.», senza contare, inoltre, che il  quadro normativo è reso ancora più complesso «dall’art. 11 della legge n. 241 del 1990, che fa salvo il potere di recesso dell’amministrazione “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse” in caso di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, e degli articoli 121 e 122 c.p.a. quanto ai poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto».

Secondo il Collegio, la presenza di plurime disposizioni normative simili rende dunque necessario definire «se con il potere attribuito dall’art. 21-quinquies e dalla legge n. 311 del 2004 si possa incidere sul contratto stipulato e come ciò si concilii con il carattere paritetico delle posizioni fondate su di esso, di cui è espressione la generalizzazione dell’istituto del recesso ex art. 21-sexies, cui si correla la previsione specifica dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici che, per gli appalti di lavori pubblici, attribuisce all’amministrazione “il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto”, con effetto economico più oneroso, però, di quanto previsto dal comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, poiché non limitato alla dimensione indennitaria ma comprendente il ristoro dei lavori eseguiti e dei materiali utili in cantiere oltre al decimo delle opere non eseguite» .

Sulla base delle considerazioni avanzate dalla Sezione rimettente, l’Adunanza Plenaria ha quindi affermato che una volta «intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l’esercizio del diritto di recesso» e questo sulla base di diverse considerazioni.

In primo luogo, ha rilevato il Collegio come la giurisprudenza abbia ormai costantemente affermato «che la fase conclusa con l’aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza, mentre quella che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale ha carattere privatistico ed è quindi retta dalle norme civilistiche. Nella fase privatistica l’amministrazione si pone quindi con la controparte in posizione di parità che però, è stato anche precisato, è “tendenziale” (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del 2011 citate), con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica (Ad. Plen. n. 6 del 2014); ciò, evidentemente, perché l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte».

L’Adunanza Plenaria ha quindi rilevato che nel Codice dei contratti pubblici esistono diverse disposizioni con tratti di specialità che riguardano proprio la fase dell’esecuzione del contratto per la realizzazione di lavori pubblici, quali, ad esempio, la disciplina del recesso dal contratto e della sua risoluzione, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 134 – 136 del codice (collocate nel Capo II del Titolo III e perciò riferite agli appalti di lavori pubblici ex art. 126 del codice), della risoluzione per inadempimento e, specificamente, della revoca delle concessioni di lavori pubblici in finanza di progetto ai sensi dell’art. 158 del medesimo codice, ovvero della sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 158 e seguenti del regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207). Da ciò si evincerebbe come «la specialità della disciplina del recesso emerge non soltanto perché, a fronte della generale previsione civilistica (art. 1373 c.c.), il legislatore ne ha ritenuto necessaria una specifica nella legge sul procedimento (art. 21-sexies) ma in particolare perché l’art. 134, nel concretare il caso applicativo di tale previsione, lo regola in modo diverso rispetto all’art. 1671 c.c., prevedendo il preavviso all’appaltatore e, quanto agli oneri, la forfetizzazione del lucro cessante nel dieci per cento delle opere non eseguite e la commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori eseguiti, al “valore dei materiali utili esistenti in cantiere” mentre, per il citato art. 1671 c.c., il lucro cessante è dovuto per intero (“il mancato guadagno”) e per il danno emergente vanno rimborsate tutte le spese sostenute».

Sulla base di questi rilievi, l’Adunanza Plenaria ha dunque evidenziato come la posizione della P.A. nella fase del procedimento di affidamento del contratto d’appalto che si apre a seguito della stipulazione del contratto pubblico è retta sia da norme comuni, individuate nel codice civile, che da quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, e che, in forza di quest’ultime, l’amministrazione opera in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.

Tale la premessa, secondo il Collegio «ne consegue che deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità; la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca. Se infatti, nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice)».

D’altra parte, secondo l’Adunanza Plenaria ragionando diversamente si giungerebbe a considerare la norma sul recesso come sostanzialmente inutile in quanto priva di portata pratica dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno onerosa revoca oppure decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando così nel rapporto una posizione in ogni caso privilegiata.

Alla luce delle considerazioni svolte, il Collegio ha comunque confermato la possibilità per l’amministrazione: «a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso».

 

f.dangelo


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