La pubblicazione sui social network di dichiarazioni diffamatorie contenenti messaggi discriminatori costituisce reato di diffamazione aggravata. (Tribunale penale di Trento, 14-07-2014, n. 508)

15.05.2014

A cura di Anita Leonetti e Valeria Villella

 

Il Tribunale penale di Trento condanna un consigliere circoscrizionale – il sig. Serafini Paolo – per il reato di diffamazione aggravata dalla finalità di discriminazione razziale, di cui all’art. 595 c.p., commi 1 e 3, ed art. 3, D.L. 26.04.1993, n. 122, convertito nella L. 25 giugno 1993, n. 205, per aver pubblicato sul proprio profilo Facebook un messaggio gravemente lesivo dell’onore e della reputazione dell’ex Ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge.

In particolare, il sig. Serafini aveva rivolto all’ex Ministra la seguente frase: “…se ne torni nella giungla dalla quale è uscita”, optando per la modalità cosiddetta “pubblica”, che permette la visualizzazione del suddetto post a qualunque utente del social network.

Il Collegio respinge la tesi difensiva del sig. Serafini – secondo cui tali affermazioni sarebbero rientrate nell’esercizio del diritto costituzionalmente garantito di libera manifestazione del pensiero, con particolare riferimento al diritto di cronaca e di critica – e ricorda come in tale circostanza l’imputato abbia superato i limiti all’esercizio di tali diritti, individuati da una costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, a partire dalla nota sentenza “decalogo”.

Alessandroa.baroni