Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2014 n. 6 sul riparto di giurisdizione in materia di contributi e agevolazioni pubbliche

12.05.2014

A cura di Flaminia D’Angelo

 

Con la sentenza in commento l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato affronta la questione del riparto di giurisdizione in materia di contributi e agevolazioni pubbliche connesse alle imprese.

La sentenza trae origine dal ricorso presentato da una società beneficiaria di agevolazioni concesse dalla Cassa del Mezzogiorno successivamente revocate, con il provvedimento amministrativo contestato, «a causa della diversità dell’effettiva attività esercitata (servizi di manutenzione) rispetto a quella (produzione in serie di mobili metallici) prevista nel programma d’investimento a suo tempo approvato ai sensi e per gli effetti dell’art. 69 d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno)».

In primo grado, il T.A.R. Lazio ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; i ricorrenti hanno proposto quindi appello in Consiglio di Stato evidenziando come il provvedimento di revoca fosse espressione dell’esercizio del pubblico potere e sia quindi devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo.

La Sesta Sezione, con ordinanza 15 luglio 2013, n. 3789, ha rimesso dunque all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda relativa all’impugnazione della revoca dei contributi o agevolazioni concesse alle imprese.

Ed infatti, nonostante, nell’ordinanza di rimessione sia stata richiamata la consolidata giurisprudenza (delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del Consiglio di Stato) secondo cui «sussiste la cognizione del giudice ordinario quanto alle controversie instaurate per contrastare l’Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo in esame, mentre è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse», il giudice rimettente ha ritenuto che «i principi espressi da tale giurisprudenza circa l’individuazione del giudice competente a pronunciarsi sulla legittimità della revoca  possano essere oggetto di una rimeditazione generale, che valga alla riconduzione sistematica delle diverse questioni alla sola giurisdizione amministrativa».

A sostegno del superamento del precedente indirizzo giurisprudenziale, la Sezione, ha indicato i seguenti argomenti:

«a) il potere di autotutela della P.A., esercitato mediante un atto di revoca (o di decadenza), in base ai principi del contrarius actus, incide di per sé sempre su posizioni d’interesse legittimo (come si evince dalla pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato attinente ai casi in cui una concessione di un bene pubblico o di un servizio pubblico sia ritirata per qualsiasi ragione, anche nell’ipotesi d’inadempimento del concessionario);

b) l’art. 7 del codice del processo amministrativo dispone che il giudice amministrativo ha giurisdizione nelle controversie “riguardanti provvedimenti, atti (…) riconducibili anche mediatamente all’esercizio” del potere pubblico, fra i quali rientrerebbe anche il provvedimento di ritiro di un precedente atto a sua volta di natura autoritativa;

c) la configurabilità di un potere autoritativo e di un correlativo interesse legittimo, in presenza dell’esercizio del potere di autotutela, risulta più rispondente alle esigenze di certezza del diritto pubblico (divenendo l’atto di revoca inoppugnabile, nel caso di mancata tempestiva impugnazione) ed a quelle di corretta gestione del denaro pubblico, poiché l’esercizio del medesimo potere autoritativo agevola non solo il rapido recupero della somma in ipotesi non dovuta, ma anche la conseguente erogazione dei relativi importi ad altri soggetti, con ulteriori atti aventi natura autoritativa (onde neppure si giustificherebbe sul piano della logica giuridica l’attribuzione alla giurisdizione civile della controversia riguardante la legittimità dell’atto di ritiro, mentre indubbiamente sussiste quella amministrativa per le controversie riguardanti la fase di ulteriore attribuzione delle risorse recuperate a seguito dell’atto di ritiro);

d) la sussistenza della giurisdizione amministrativa potrebbe anche essere affermata, in via esclusiva, in considerazione dell’art. 12 della legge n. 241 del 1990, riguardante i “provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, che disciplina la “concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari”, attribuendo il nomen iuris di concessione a qualsiasi provvedimento che disponga l’erogazione del denaro pubblico. Sotto tale profilo, potrebbe, allora, risultare rilevante l’art. 133, comma 1, lettera b), cod. proc. amm. sulla sussistenza della giurisdizione esclusiva per le “controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici”.

e) la portata applicativa delle disposizioni di legge sopra richiamate non sarebbe riducibile in via interpretativa, per il rilievo da attribuire all’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha condotto all’approvazione del codice del processo amministrativo, disponendo che il riassetto del medesimo dovesse avvenire “al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele”). Infatti, la finalità di adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale ha consentito l’elaborazione dell’art. 7 del codice, ripetitivo di espressioni contenute nelle sentenze della Corte stessa 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191»

A queste considerazioni, la Sezione rimettente ha aggiunto che la necessità di “assicurare la concentrazione delle tutele” dovrebbe giustificare «l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie riguardanti – per il tramite dell’esercizio del potere di autotutela – il ritiro dei provvedimenti “attributivi di vantaggi economici”, aventi ex lege natura concessoria, e dunque delle controversie che peraltro già di per sé potevano essere riferite ai rapporti inerenti alla concessione di un bene pubblico (il denaro), prima ancora delle modificazioni disposte dal codice del processo amministrativo».

L’Adunanza Plenaria, tuttavia, pur prendendo atto delle argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione, non le ha condivise e ha ribadito, invece, che in materia di concessione e revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche il criterio di riparto è attuato sulla natura della situazione soggettiva azionata.

In primo luogo, l’Adunanza Plenaria ha sottolineato come non sia possibile equiparare una concessione di beni pubblici all’erogazione di denaro: secondo il Collegio, se pur è vero che il denaro appartiene alla categoria dei beni, tuttavia non deve essere confusa la figura della concessione di benefici pubblici – che presuppone un uso temporaneo del bene da parte del privato – con il finanziamento di denaro – che implica invece la traslazione dell’intera proprietà del denaro dall’amministrazione al privato, il quale assume un obbligo meramente eventuale di restituzione ad una data scadenza.

In secondo luogo, ha evidenziato come la sussistenza della giurisdizione amministrativa in materia sia in ogni caso ostacolata sia dal testo dell’art. 133 lett. b) c.p.a. che devolve al G.O. le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario sia dalla lett. z sexies) in punto di aiuti di Stato: tale lettera ha devoluto, infatti, i contributi che costituiscono aiuti di Stato alla giurisdizione esclusiva del G.A., lasciando intendere come, in assenza di specifica disposizione, la categoria generale dei contributi resti soggetta ai normali criteri di riparto fondati sulla situazione soggettiva dedotta.

In terzo luogo il collegio ha chiarito che l’aver escluso la sussistenza della giurisdizione esclusiva permette di superare anche l’argomento fondato sull’art. 7 c.p.a.: il criterio degli “atti riconducibili mediatamente all’esercizio del potere amministrativo”, per giurisprudenza costante della Corte Costituzionale, deve essere infatti riferito infatti alle materie di giurisdizione esclusiva del G.A.

In ultimo l’Adunanza Plenaria non ha ritenuto condivisibile nemmeno l’argomento secondo cui gli atti di ritiro sarebbero espressione di un potere di autotutela di natura pubblicistica a fronte del quale non potrebbe che configurarsi una posizione di interesse legittimo. Secondo il Collegio, è vero che il potere di ritiro configura un potere di autotutela, ma questo potere ha natura privatistica in quanto trova luogo in un rapporto paritetico in cui la P.A. fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione (assimilabile ad altri istituti quali il recesso e la risoluzione di cui agli artt. 134-136 Codice dei contratti pubblici).

Alla luce della considerazioni svolte, l’Adunanza Plenaria ha confermato il tradizionale indirizzo giurisprudenziale per il quale in materia di concessione e revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche «- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150);

– qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);

– viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17)».

 

 

Alessandroa.baroni


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