La Corte di Giustizia europea condanna l’Italia per il mancato rispetto della normativa europea in materia di indipendenza del gestore dell’infrastruttura ferroviaria rispetto alle imprese ferroviarie. – Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 3 ottobre 2013 nella causa C‑369/11

29.05.2013

La normativa europea di liberalizzazione del settore ferroviario impone agli Stati Membri la realizzazione di un quadro istituzionale e regolatorio che assicuri un’effettiva concorrenza nel mercato dei servizi di trasporto, garantendo la libertà di accesso all’infrastruttura ferroviaria nazionale da parte delle imprese ferroviarie a condizioni eque e non discriminatorie. A tal fine il diritto europeo ha previsto fin dagli anni ‘90 un sistema di licenze volto a limitare la discrezionalità degli Stati membri nell’attribuire i diritti di accesso alle imprese ferroviarie. Inoltre sono stati introdotti meccanismi per assicurare l’indipendenza delle imprese di trasporto rispetto ai gestori delle infrastrutture.

In Italia, l’articolo 8 D.P.R. 16 marzo 1999, n. 146 di recepimento delle direttive europee di liberalizzazione del trasporto ferroviario ha attribuito le competenze in materia di ripartizione della capacità dell’infrastruttura al gestore della rete il quale, conformemente al dettato comunitario, deve agire secondo criteri di equità e non discriminazione, garantendo un utilizzo efficace e ottimale dell’infrastruttura[1].  Con il Decreto Ministeriale n. 138T del 31 ottobre 2000, è stata rilasciata a Ferrovie dello Stato la concessione per la gestione dell’infrastruttura ferroviaria nazionale per la durata di sessanta anni. La concessione prevede l’autonomia contabile e divisionale tra le attività svolte in base alla concessione e quelle svolte in qualità di impresa ferroviaria di servizi e dispone che il concessionario provveda alla “costituzione di apposita società per la gestione dell’infrastruttura ferroviaria nazionale”[2]. In attuazione di tale norma è stata costituita la società Rete Ferroviaria Italiana Spa (R.F.I.). La concessione ministeriale prevede tra gli obblighi del concessionario quello di “conformarsi a principi di trasparenza, equità e non discriminazione” nel consentire l’accesso e la ripartizione della capacità di infrastruttura, nella predisposizione del Prospetto Informativo della Rete, nel rilascio del certificato di sicurezza, negli accordi amministrativi con le imprese che accedono all’infrastruttura e nell’applicazione e riscossione dei canoni di utilizzo.

Le direttive europee del 2001 del cosiddetto primo pacchetto ferroviario[3] contengono una disciplina che vieta qualsiasi rapporto di dipendenza sul piano giuridico, organizzativo o decisionale tra i soggetti preposti alla ripartizione della capacità infrastrutturale ed alla determinazione dei diritti di accesso alla rete e le imprese ferroviarie. Al fine di garantire una reale indipendenza è stata imposta agli Stati membri l’istituzione di un organismo di regolamentazione “indipendente, sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dai gestori dell’infrastruttura, dagli organismi preposti alla determinazione dei diritti, dagli organismi preposti all’assegnazione e dai richiedenti” (articolo 30 direttiva 2001/14/CE).

Occorre precisare che R.F.I., pur avendo una personalità giuridica autonoma, a livello proprietario è controllato dal gruppo societario Ferrovie dello Stato italiane Spa. Tale gruppo include anche la società Trenitalia Spa, la quale rappresenta la maggiore impresa ferroviaria nel mercato italiano. Per quanto concerne l’organismo di regolazione, la normativa vigente al tempo della controversia affidava tale ruolo all’Ufficio per la Regolazione dei Servizi Ferroviari, organo interno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dotato di autonomia organizzativa e gestionale.

La Commissione europea, all’esito di una procedura di infrazione avviata nel 2008, ha contestato davanti alla Corte di Giustizia la compatibilità di tale assetto istituzionale e normativo rispetto alla disciplina europea. La  Commissione in primo luogo ha censurato la legge italiana in quanto non assicura una sufficiente indipendenza del gestore della rete nell’imposizione delle tariffe per l’accesso all’infrastruttura nazionale. Il requisito dell’indipendenza secondo la Commissione è desumibile da una lettura congiunta degli articoli 4 e 30 della direttiva 2001/14/CE, i quali attribuiscono al gestore della rete compiti di determinazione delle tariffe, sotto il controllo dell’organismo di regolazione, e non di mera liquidazione e riscossione. La legge italiana prevede che i canoni d’accesso dovuti dalle imprese ferroviarie per l’utilizzo dell’infrastruttura sono stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dell’infrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Art. 17 comma 1 Decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188).

Su questo primo aspetto la Corte di Giustizia ha ritenuto fondata la censura della Commissione ed ha condannato lo Stato italiano per aver affidato al Ministero la potestà di fissare l’importo dei diritti di accesso alla rete non consentendo al gestore della rete la sufficiente autonomia negoziale imposta dalle direttive comunitarie.

La seconda censura della Commissione concerne l’aspetto dell’indipendenza dell’organismo di regolazione. L’incardinamento dell’Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari all’interno del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata considerata dalla Commissione un’infrazione del diritto europeo in quanto il medesimo Ministero svolge una funzione di supporto del Ministero dell’economia e delle finanze nell’esercizio dei diritti di azionista sul gruppo Ferrovie dello Stato, gruppo di proprietà statale, del quale è parte il principale operatore ferroviario sul mercato italiano, Trenitalia Spa. La Commissione ha evidenziato il potenziale conflitto di interessi derivante dalla posizione dell’organismo di regolazione preposto a garantire un trattamento non discriminatorio ai concorrenti dell’impresa ferroviaria statale all’interno del Ministero che esercita un’influenza decisiva sulla holding e sulla principale impresa ferroviaria nazionale.

In merito a tale profilo, lo Stato italiano ha fornito rassicurazioni in ordine all’indipendenza dell’organismo per la regolazione dei servizi ferroviari il quale, pur se individuato dall’articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003 nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è collocato al di fuori della struttura dipartimentale in modo da garantire l’indipendenza sul piano organizzativo, giuridico, decisionale dai gestori dell’infrastruttura, dagli organismi preposti alla determinazione del canone di accesso all’infrastruttura, dagli organismi preposti all’assegnazione della capacità e dai richiedenti e da qualsiasi autorità competente preposta all’aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico. Inoltre nel 2012 è stata istituita l’Autorità di regolazione dei trasporti in sostituzione dell’ufficio di regolazione dei servizi ferroviari, che si configura come amministrazione indipendente dagli organi governativi.

Alla luce di tali osservazioni la Corte ha rigettato il secondo argomento della Commissione in relazione all’indipendenza del regolatore.

La sentenza è reperibile al seguente link:

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62011CJ0369:IT:HTML


[1] Cfr.Articolo 8 D.P.R. 16 marzo 1999, n. 146

[2] Articolo 1.2 Decreto Ministeriale n. 138T del 31 ottobre 2000

[3] Direttive  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio 2001/12/CE,  del  26  febbraio  2001,  relativa  allo  sviluppo delle ferrovie comunitarie, 2001/13/CE, del 26 febbraio 2001, relativa alle licenze alle imprese ferroviarie, e 2001/14/CE, del 20 febbraio 2001, relativa   alla   ripartizione   della  capacità  di  infrastruttura ferroviaria,    alla   imposizione   dei   diritti   per   l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza

a cura di Livia Lorenzoni