ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO 20 MAGGIO 2013, N. 14

27.05.2013

Ad. Plen. n. 14 del 2013

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 2013 si segnala per un duplice ordine di ragioni. Con la pronuncia in esame, da un lato, si evidenzia come sia atteso a breve un pronunciamento della Corte di Giustizia delle Comunità Europee sul tema del decorso del termine per l’impugnazione dei provvedimenti resi nelle procedure di affidamento di contratti pubblici di appalto; dall’altro, fornisce un contributo chiarificatore sulla questione delle forme di partecipazione alle gare dei consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro regolate dalla l. 25 giugno 1909, n. 422.

L’Adunanza plenaria si è anzitutto interessata del profilo riguardante la presunta tardività del ricorso promosso in primo grado dall’operatore secondo classificato, notificato oltre la scadenza dei trenta giorni decorrenti dalla ricezione della comunicazione prevista ai sensi dell’art. 79 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i. In particolare, il TAR aveva accolto l’eccezione di tardività avanzata dall’operatore aggiudicatario, osservando come non potesse essere validamente invocato dalla ricorrente la circostanza di avere avuto piena conoscenza dei vizi solo a seguito dell’accesso agli atti susseguente alla comunicazione ex art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006. Secondo il TAR, infatti, nella specifica materia degli appalti dovrebbero ritenersi prevalenti le esigenze di celerità e di certezza del diritto collegate alla previsione di termini ridotti per la proposizione di eventuali azioni avverso l’aggiudicazione del contratto. In sede di appello è stato tuttavia sostenuto che dette esigenze, pur presenti, devono essere applicate in considerazione del principio generale, sempre di derivazione comunitaria, del c.d. “effetto utile”, in virtù del quale le legislazioni nazionali devono in ogni caso prevedere rimedi giurisdizionali idonei a garantire piena tutela della posizione giuridica degli operatori. In questo senso, si sostiene che l’onere di obbligatoria impugnazione degli atti di gara entro il termine perentorio di trenta giorni, a prescindere dall’effettiva piena conoscenza delle determinazioni della stazione appaltante, si porrebbe in contrasto con le direttive dell’Unione Europea e, pertanto, imporrebbe la disapplicazione dell’art. 120 c.p.a. ove così interpretato.

E’ opportuno aggiungere come la Sezione remittente abbia posto l’accento sull’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia, secondo cui sarebbe ipotizzabile una sorta di “proroga [del] termine di ricorso jussu judicis al fine di consentire il conseguimento dell’effetto utile da parte della disposizione processuale di matrice comunitaria (III Sezione, 28 gennaio 2010 in causa C-406/08 – Uniplex)”, al fine di coniugare ragionevolmente le contrapposte esigenze di celerità e di garanzia della tutela giurisdizionale”. In sostanza, la decorrenza del termine per l’impugnazione sarebbe da posticipare di dieci giorni, coincidente con il “momento in cui il concorrente, agendo in modo diligente, potrà aver avuto conoscenza integrale della documentazione di proprio interesse, attivando le modalità semplificate di accesso agli atti” previste dall’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, assumendo, ovviamente che il vizio in concreto lamentato non fosse immediatamente desumibile dalla comunicazione ex art. 79 del d.lgs n. 163 del 2006 e che l’accesso agli atti non intervenga prima dei dieci giorni previsti dalla legge. L’Adunanza plenaria, tuttavia, non ha preso posizione sul quesito, dal momento che, nelle more,  il TAR Puglia – Bari, con ordinanza 23 marzo 2013 n. 427 ha rimesso alla CGCE ai sensi dell’art. 267 del Trattato proprio analoga questione, rendendo pertanto inopportuna una pronuncia del Giudice nazionale sul punto.

Il secondo profilo attiene alla questione relativa all’applicabilità del divieto del c.d. sistema di indicazione ‘a cascata’ quando tale designazione sia effettuata da soggetto appartenente ad un consorzio a beneficio di altro operatore non associato. Nella fattispecie controversa, infatti, era accaduto che la consorziata ex l. n. 422 del 1909 avesse indicato “quale impresa esecutrice una semplice associata … la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio …, né con la cooperativa … (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio)”.

L’Adunanza plenaria, rifacendosi ad una precedente decisione della Sezione VI del Consiglio di Stato (22 giugno 2007 n. 3477) ha affermato l’illegittimità di una “designazione di secondo grado”, in quanto le disposizioni a favore dei consorzi di cooperative di produzione e lavoro devono intendersi come posto all’esclusivo fine di “salvaguardare una specifica categoria di imprese e di incentivare la mutualità”, riconoscendo “rilievo funzionale solo al rapporto organico che lega il Consorzio concorrente alle imprese o altri consorzi in esso direttamente consorziati e che ne costituiscono, come detto, una sorta di interna corporis (sicché l’attività compiuta dai soggetti consorziati è imputata organicamente al Consorzio concorrente, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi)”. Per converso, esula dalla finalità della norma (e, quindi, non è ammissibile) l’attribuzione della facoltà al consorzio aggiudicatario della facoltà di designare “un soggetto terzo (ancorché preventivamente designato, in sede di gara, dalla società chiamata ad eseguire i lavori dal Consorzio concorrente, poi risultato aggiudicatario), che con il primo ha solo un rapporto mediato dall’azione di un altro soggetto … associato a quello designato dall’aggiudicatario”. Precisa al riguardo l’Adunanza plenaria che “in tal modo il Consorzio aggiudicatario finirebbe per avvalersi, invero, dell’attività svolta da un soggetto terzo rispetto al medesimo e non da esso direttamente designato come esecutore dei lavori”, così tradendo l’impostazione originaria della l. n. 422 del 1909.

Del resto, tale disposizione introduce un’eccezione rispetto alle modalità ordinarie di partecipazione alle gare, in virtù della quale, grazie alla designazione da parte del consorzio aggiudicatario, “… l’impresa indicata può eseguire i lavori pur essendo priva … dei requisiti di qualificazione tecnica”, per cui all’estensione della portata della previsione osta il divieto di interpretazione analogica delle norme derogatorie. Il tutto senza dimenticare come non sia ragionevole consentire all’impresa partecipante al consorzio ex l. n. 422 del 1909 di “avvalersi di un’ulteriore impresa … altrimenti potendosi innescare un meccanismo di designazioni a catena destinato a beneficiare non (secondo la ratio legis) il consorzio concorrente e le imprese cooperative in esso associate, ma, in ipotesi (come nel caso di specie) anche soggetti terzi, non concorrenti direttamente alla gara, né in questa puntualmente designati, secundum legem, dal concorrente risultato aggiudicatario, quali materiali esecutori dei lavori”.

E’ interessante notare, inoltre, come l’Adunanza plenaria, pur avendo rilevando l’illegittimità della designazione, non abbia disposto l’esclusione del consorzio di cooperative di produzione e lavoro e, ciò, in applicazione del principio giurisprudenziale in virtù del quale il vizio dell’indicazione dell’ulteriore operatore non determina automaticamente il venir meno dell’intera offerta, ove l’operatore possa in ogni caso eseguire in proprio la prestazione,  essendo in possesso dei necessari requisiti prescritti dalla lex specialis.

Richiamando nuovamente il particolare “rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori”, l’Adunanza plenaria non manca di osservare come “l’attività compiuta dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi, per cui, diversamente da quanto accade in tema di associazioni temporanee e di consorzi stabili, la responsabilità per inadempimento degli obblighi contrattuali nei confronti della p.a. si appunta esclusivamente in capo al consorzio senza estendersi, in via solidale, alla cooperativa incaricata dell’esecuzione”. Ne segue che considerare “l’offerta di un consorzio radicalmente invalida a causa della indicazione di secondo livello operata dalla consorziata, si porrebbe in chiara distonia con la ratio che sorregge la costituzione di detti consorzi e che si spiega con il favore del legislatore per l’incentivazione della mutualità, favorendo, grazie alla sommatoria dei requisiti posseduti della singole imprese, la partecipazione a procedure di gara di cooperative che, isolatamente considerate, non sono in possesso dei requisiti richiesti o, comunque, non appaiono munite di effettive chances competitive”.

In altri termini, secondo l’Adunanza plenaria si deve ritenere che “l’indicazione di una sub-affidataria dei lavori non sia ammissibile, per le ragioni esposte sopra, e tuttavia che tale operazione vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto … ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi”.

Filippo Degni