“Corti costituzionali e stabilità economico-finanziaria”

19.05.2013

Il 25 gennaio 2013, organizzato dalla Scuola superiore di Studi giuridici presso l’Università degli Studi di Bologna, si è svolto un seminario inerente al rapporto tra le Corti Costituzionali e la stabilità economico-finanziaria, alla luce del principio del pareggio di bilancio previsto dal Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (c.d. “Fiscal Compact”).

Poiché tale prescrizione è stata inserita direttamente nella Carta fondamentale (in Italia a seguito della legge costituzionale n. 1/2012) ovvero recepito in fonti sub-costituzionali (come avvenuto in Francia) si pone oggi il problema dell’atteggiamento che le Corti Costituzionali degli Stati parte del c.d. “Fiscal Compact” adotteranno per il rispetto di siffatto vincolo.

Dopo i saluti introduttivi, nella prima sessione, presieduta dal prof. Luigi Stortoni, il prof. Gino Scaccia ha tratteggiato gli aspetti principali connessi con la tematica in discussione, affermando che la crisi del debito ha rappresentato una sorta di “ritorno alla realtà” e reso evidente che l’Europa si è formata essenzialmente come una Unione di diritti e di interessi.

Così, è venuta a mancare un’elaborazione dottrinaria dell’idea di solidarietà che avrebbe presupposto, tra l’altro, l’indicazione di specifici doveri (anche in materia tributaria) per i “cittadini europei” ed una gestione unitaria del problema del debito, come invece praticato dagli Stati Uniti con l’Hamilton Act del 1789 (c.d. “Tariff Act”).

Nel contempo, l’irrigidimento dei vincoli finanziari imposti dal c.d. “six pack” (2011) e dal c.d. “Fiscal Compact” (2012) ha determinato non solo la centralizzazione delle politiche finanziarie ma anche la loro giuridificazione, in quanto il pareggio di bilancio, ivi contemplato, viene assurto a precisa scelta di politica economica cristallizzata in Costituzione, sul cui rispetto, pertanto, il Giudice delle Leggi può esprimersi.

Nello specifico settore, l’attività della Corte Costituzionale italiana incontrerà notevoli difficoltà, essendo solita censurare leggi a carattere finanziario solo in caso di manifesta irragionevolezza: peraltro, diversamente da altri Paesi, come la Spagna e la Germania, non è previsto il ricorso diretto al Giudice delle leggi da parte del cittadino e/o delle minoranze parlamentari, né il ruolo propulsivo da parte della Corte dei Conti. Ulteriori problematiche sottendono anche alla stessa definizione di “equilibrio” di bilancio, dovendosi inevitabilmente far riferimento a soglie di tipo quantitativo che non sono proprie del diritto ma dell’economia.

Non secondaria appare, inoltre, la questione concernente l’applicazione delle eventuali pronunce di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale, la quale, ai sensi dell’art. 136 della Carta, non ha la possibilità di manipolare gli effetti delle sue sentenze, né di bloccare l’effetto caducatorio di una sua decisione: concreto è il rischio che la declaratoria di incostituzionalità su una legge di bilancio porti alla paralisi dell’azione della pubblica amministrazione e che, pertanto, le sue decisioni vengano condizionate dall’esigenza di preservare gli equilibri del sistema istituzionale.

La prof.ssa Lucia Serena Rossi, premesso che i compiti in ambito monetario attribuiti dagli Stati membri all’Unione non sono stati, finora, affiancati da una vera e propria competenza in materia di politica economica (non limitata, cioè, alle questioni prettamente commerciali), ha esaminato i contenuti della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 novembre 2012 (causa C 370/12), sul c.d.” caso Pringle”, originata dal ricorso di un cittadino irlandese in merito alla ratifica del trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità da parte del proprio Governo, dove viene affrontato proprio questo rapporto tra “governo della moneta” e “governo dell’economia”.

La Corte di Giustizia ha ritenuto che l’utilizzo della procedura di revisione semplificata dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (decisione del Consiglio Europeo approvata poi dagli Stati membri) non contrasta con quanto previsto dai trattati comunitari, in quanto il Meccanismo Europeo di Stabilità non è riconducibile al settore della moneta (di esclusiva pertinenza dell’Unione Europea) ma a quello della politica economica, rimasta in capo agli Stati membri. D’altro canto, poiché nel trattato sul MES si parla di stabilità della zona euro, non viene investita neanche la competenza della BCE in materia di mantenimento della stabilità dei prezzi, né si può dare corso ad una cooperazione rafforzata, potendosi questa realizzare nei soli ambiti di spettanza comunitaria.

La contraddizione di fondo evidenziata dalla prof.ssa Rossi, è che per dare vita al MES è stato modificato l’art. 136 del TFUE, mentre la Corte di Giustizia ha riconosciuto tale competenza agli Stati membri e, pertanto, non era reso necessario intervenire sulle disposizioni del Trattato. In conclusione, la Corte di Giustizia, di fatto, ha legittimato “ex post” il Meccanismo Europeo di Stabilità, senza però sanare la contraddizione “in fieri” circa l’attribuzione, rispettivamente, all’Unione Europea del “governo della moneta” e agli Stati membri del “governo dell’economia”.

Nel suo intervento, il prof. Andrea Morrone ha rappresentato l’opportunità di partire da una visione generale del contesto piuttosto che dalla giurisprudenza, anche nella considerazione che quest’ultima non sembra ancora disporre degli strumenti e delle competenze adeguate per affrontare problemi di carattere strettamente tecnico-economico.

Il mutamento di prospettiva che la regola del “pareggio” comporta (peraltro da intendere in modo dinamico, cioè come obiettivo finale da raggiungere secondo le modalità liberamente definite dagli Stati) è strettamente connesso alla diffusa presa di coscienza circa la necessità di superare la concezione che si è affermata nel passato, nel senso di riconoscere i “diritti ad ogni costo” ed assicurare, in tale ottica, il primato del diritto sul bilancio, del Parlamento sul Governo, dello Stato sulle autonomie.

Con specifico riferimento all’Italia, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio rappresenta un fattore di discontinuità rispetto alle interpretazioni della Costituzione consolidatesi nel tempo. Mentre la dottrina, da Valerio Onida in poi, e la stessa giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 1/1966, sono stati concordi nel ritenere che le leggi di spesa vincolavano la legge di bilancio, oggi tale rapporto sembra essersi invertito, potendo quest’ultima modificare la legislazione ordinaria, in forza del carattere sostanziale ora riconosciuto dal novellato art. 81 dalla Carta, restituendo autonomia al Governo nella definizione delle politiche pubbliche.

In conclusione, secondo il prof. Morrone la questione di fondo non è tanto la giustiziabilità del pareggio, bensì la capacità di cogliere l’essenza di questa riforma per riequilibrare il sistema istituzionale.

A seguire, il prof. Rainer Arnold, dell’Università tedesca di Regensburg, ha delineato il ruolo svolto dalla Corte Costituzionale tedesca nell’attuale congiuntura economica.

Nelle pronunce della Corte si ravvisa grande attenzione circa il legame tra il pareggio di bilancio e la democrazia, intesa come espressione dell’azione politica, la quale, a sua volta, consegue alla situazione finanziaria dello Stato. In ciò, viene esaltato il diritto del Parlamento di decidere autonomamente sul bilancio, espressione dell’ “identità costituzionale tedesca” che può essere limitata ma non annullata dai vincoli esterni.

Con la sentenza del 7 settembre 2011 il Tribunale costituzionale federale aveva precisato come il Bundestag, in quanto organo rappresentativo competente in materia di bilancio, dovesse restare “padrone delle sue decisioni”, senza condizionamenti esterni da parte degli organi della UE o di altri Stati membri; pertanto, nel caso di provvedimenti di sostegno finanziario aventi ricadute importanti sul bilancio federale si sarebbe resa necessaria una specifica approvazione da parte del Parlamento tedesco.

In tale solco, si è posta la successiva sentenza del 12 settembre 2012, riferita al Meccanismo Europeo di Stabilità, laddove la Corte di Kalrsruhe ha precisato che, in caso di eventuali modiche circa l’entità dell’esposizione della Germania verso il fondo salva Stati, sarebbe servita una ulteriore, specifica approvazione da parte dei due rami del Parlamento tedesco.

Nella seconda sessione, presieduta dal prof. Luca Mezzetti, il prof. Gerardo Ruiz-Rico Ruiz dell’Università spagnola di Jaén ha analizzato il principio di “stabilità” del bilancio -concetto più flessibile rispetto a quello di equilibrio- introdotto nel 2011 a seguito della riforma dell’art. 135 della Costituzione, approvata in sole due settimane con un processo di lettura unica in Parlamento ed una maggioranza ben superiore a quella di tre quinti prevista dall’art. 109 della Carta.

La definizione dei margini entro cui viene ammesso un deficit strutturale e la stessa quantificazione del prodotto interno lordo vengono demandati all’Unione Europea: inoltre, è previsto che l’ammontare del debito pubblico dovrà essere in linea con il valore di riferimento stabilito nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (soluzione, quest’ultima, criticata dal prof. Ruiz-Rico Ruiz perché lo stesso TFUE potrebbe in futuro essere sostituito da altri trattati comunitari e, in ogni caso, appare eccessivamente lesiva della sovranità della Spagna).

Rimane ferma la possibilità di derogare a tali vincoli di disavanzo e debito in caso di catastrofi naturali, recessioni economiche o situazioni di emergenza straordinaria che incidano negativamente sui saldi di bilancio.

Con riferimento al controllo di costituzionalità circa il rispetto del principio di “stabilità”, sono state mosse varie critiche in quanto la formulazione che ne è stata data in Costituzione permette diverse interpretazioni, cui si aggiunge il fatto che si tratta di una nozione di politica economica difficilmente sindacabile, specie da parte della Corte Costituzionale che, per sua natura, fa solitamente ricorso a parametri strettamente giuridici.

Da ultimo, lo stesso prof. ha evidenziato come la legge organica n. 2/2012, emanata in attuazione della riforma costituzionale in argomento, abbia rafforzato il potere dello Stato rispetto alle autonomie, per le quali vale il principio di “equilibrio” di bilancio e non di “stabilità”, con la possibilità, altresì, di subìre sanzioni da parte del Governo in caso di violazione degli obblighi costituzionali o di lesione grave all’interesse generale della Spagna, ai sensi dell’art. 155 della Costituzione.

Nel suo intervento, la dott.ssa Elisa Bertolini ha esaminato i casi dell’Irlanda e dell’Estonia, dove le Corti costituzionali non hanno dimostrato un particolare coraggio nello scrutinare il trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità.

La Corte Suprema estone, nel pronunciarsi in merito all’art. 4, comma 4 del Trattato dove è stata prevista per la procedura d’urgenza la regola della maggioranza qualificata in luogo di quella dell’unanimità, ha evidenziato come la stessa risulti necessaria, moderata ed idonea, in quanto individua un meccanismo efficiente che, di fatto, pur limitando la competenza finanziaria del Parlamento estone e la stessa sovranità dell’Estonia, si può ritenere giustificato rispetto alle finalità per le quali è stato previsto.

Per quanto riguarda l’Irlanda, la “High Court” ha ritenuto compatibile con la Costituzione sia la limitazione di sovranità derivante dal Trattato sul MES (anche in relazione al fatto che l’Irlanda ne avrebbe potuto beneficiare in futuro) che la previsione che un eventuale aumento del capitale del MES potrebbe avvenire con il solo intervento del Ministro dell’Economia senza il previo assenso del Parlamento, in quanto quest’ultimo, ai sensi del trattato, sarebbe chiamato comunque a “sanzionarlo” in un momento successivo.

In conclusione, secondo la dott.ssa Bertolini le pronunce delle Corti irlandese ed estone evidenziano il “favor” riservato al Meccanismo Europeo di Stabilità, cui non è estranea la considerazione circa l’utilità che ne potrebbe derivare per gli Stati aderenti.

La relazione del prof. Stephnae Pierré Caps, esposta dalla dott.ssa Chiara Sorbello, si è incentrata sull’introduzione del principio del pareggio di bilancio in Francia. A seguito della modifica dell’art. 34 della Carta è stata prevista la “loi de programmation” (che ha sostituito la “loi de programme”) la quale fissa gli obiettivi dell’azione dello Stato e, specificamente, l’obiettivo a medio termine delle pubbliche amministrazioni indicato all’art. 3 del c.d. “Fiscal Compact”.

Con la pronuncia del 9 agosto 2012, il Conseil Constitutionnel, adito dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 54 della Carta, ha precisato che per adempiere alle obbligazioni del “Fiscal Compact” non è necessaria una modifica costituzionale, potendo essere sufficiente utilizzare altre forme giuridiche vincolanti, come ad esempio la legge organica sottoposta alla particolare procedura di cui all’art. 46 della Costituzione che prevede, tra l’altro, il controllo del Conseil il prima della relativa promulgazione.

La legge organica conseguente al “Fiscal Compact” (dove peraltro vengono specificate regole procedurali, più che obblighi sostanziali e quantitativi) ha avuto il via libera dal Conseil Constitutionnel in data 13 dicembre 2012: secondo il prof. Pierré Caps, il meccanismo creato non è una “regola d’oro” ma riprende il principio del pareggio di bilancio, previsto nella proposta di modifica costituzionale del 2011 non andata a buon fine.

L’ “Haut Conseil des finances publiques”, istituito dalla legge organica, ha una finalità consultiva, con il compito, in particolare, di evitare stime di crescita troppo ottimistiche che potrebbero incidere sull’andamento dei saldi complessivi di bilancio: in ogni caso, esso rappresenta un utile strumento per assicurare trasparenza nelle decisioni di finanza pubblica, anche nella considerazione dell’indipendenza e dell’alto profilo tecnico dei suoi membri (tra l’altro, ne faranno parte il Presidente ed altri quattro rappresentanti della Corte dei Conti).

Le conclusioni del seminario sono state riassunte dal prof. Gino Scaccia, il quale ritiene che il pareggio di bilancio non comporta automaticamente la fine dello Stato sociale, tenendo peraltro conto che la regola è stata costruita proprio per essere la meno rigida possibile, talché il “laccio” che le Corti possono stringere alla politica è molto largo.

Al tempo stesso, tuttavia, la giurisdizionalizzazione dei vincoli di bilancio non ha valore di mero annuncio, perché le prescrizioni costituzionali hanno sempre una portata che va al di la della loro stretta valenza normativa. Ciò trova conferma in pronunce della Corte Costituzionale italiana che, già prima dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte con la legge costituzionale n. 1/2012, hanno riconfigurato l’obbligo di copertura previsto dall’art. 81, comma 4 della Costituzione per le sole leggi di spesa (si veda, a titolo di esempio, le sentenze n. 70/2012 e 215/2012).

La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, oltre al valore “pedagogico”, che indubbiamente tende a rivestire, sarà importante anche nell’ottica di rafforzare il potere del Presidente della Repubblica di rinvio alle Camere delle leggi in sede di promulgazione delle stesse (si veda il “precedente” del Presidente Cossiga che, su 22 rinvii ben 21 erano motivati dalla mancante od insufficiente copertura finanziaria).

Secondo il prof. Scaccia non esiste un’alternativa secca tra “politicizzazione” (con rischi per la corretta gestione delle risorse pubbliche) e “giuridificazione” (con ricadute sulla tenuta del sistema democratico) del diritto di bilancio, ma si può individuare una via intermedia, che rivaluti il valore sostantivo delle prescrizioni costituzionali, intendendo il ruolo della Corte Costituzionale come un valido supporto agli organi politici per salvaguardare gli equilibri dello Stato. Nella sua azione di controllo dell’effettivo perseguimento dell’equilibrio di bilancio da parte dei pubblici poteri la Corte, lungi dal minare l’essenza della democrazia parlamentare, potrebbe rappresentare il garante dell’ordinato svolgersi del vivere democratico.

Resoconto a cura di Massimo Nardini