ORDINE DI ESAME DEI RICORSI E SOCIAL HOUSING: LA SEZIONE QUINTA RIMETTE LA QUESTIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

16.05.2013

L’ordinanza della Sezione Quinta, n. 2059 del 2013 è di particolare interesse perché rimette all’Adunanza plenaria, da un lato, la questione relativa al rapporto tra ricorso principale e quello incidentale, a breve distanza dalla precedente pronuncia n. 4 del 2011; dall’altro, solleva dubbi interpretativi in merito all’applicabilità dell’art. 37 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i. ad una procedura informale indetta ai sensi dell’art. 27 del Codice dei contratti pubblici.

Come si vede, entrambi i profili appaiono meritevoli di nota, sia pure per ragioni diverse. La decisione dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2011, infatti, ha dato luogo ad ampio dibattito in dottrina ed i principi di diritto in essa enunciati non sempre sono stati pienamente applicati nelle successive pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato. Il secondo aspetto, del tutto nuovo, sembra porre un tema non solo circoscritto all’applicabilità del solo art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006 alle procedure di gara informali, in virtù di una sua possibile interpretazione nei termini di un principio generale degli affidamenti mediante procedura ad evidenza pubblica, ma, proprio per tale ragione, potrà contribuire a definire in misura più approfondita il rapporto tra le disposizioni contenute nella parte II del Codice ed i principi generali ai quali le stazioni appaltanti devono comunque attenersi anche quando individuano il contraente privato mediante selezione informale ex art. 27 del d.lgs. n. 163 del 2006.

La sentenza resa in primo grado verteva su una complessa procedura per l’affidamento di un articolato progetto di social housing. L’operatore secondo classificato aveva impugnato la determinazione conclusiva della stazione appaltanto deducendo una serie di contestazioni anche relative a profili di natura tecnica dal cui accoglimento sarebbe dovuta derivare l’esclusione dell’impresa controinteressata; l’aggiudicatario, a sua volta, aveva proposto ricorso incidentale nel quale erano stati articolate altrettante censure dirette all’esclusione dell’operatore secondo classificato. Il TAR aveva accolto il ricorso principale e respinto quello incidentale, ritenuto inidoneo a paralizzare la pretesa della ricorrente e, pertanto, aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione.

In sede di appello, la Sezione Quinta ha ritenuto di dover deferire all’Adunanza plenaria di profili concernenti “la applicabilità o meno, a una fattispecie quale quella qui oggetto di controversia, dei principi enucleati dalla citata pronuncia dell’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4 in tema di gravame incidentale con natura escludente;  l’applicabilità alla specifica fattispecie … in forza del richiamo di cui all’art. 27 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 … della disposizione del successivo art. 37, comma 13, …”.

Nel riassumere la prima questione oggetto di rimessione, la Sezione Quinta non manca di precisare preliminarmente come, pur aderendo all’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2011, siano intervenute successive pronunce difformi (Cassazione civile. SS.UU.,  21 giugno 2012, n. 10294 TAR Piemonte, Sez. II, ordinanza n. 208/2012 su questione pregiudiziale ex art. 267 del Trattato CE), per cui è opportuno un nuovo autorevole pronunciamento sul punto.

E, in effetti, fermo restando il principio generale in virtù del quale “il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, salvo, per ragioni di economia processuale, l’esame prioritario del ricorso principale qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità”, suscita dubbi interpretativi la fattispecie in cui nel ricorso incidentale siano allegate contestazioni suscettibili di incidere in misura radicale sulla legittimità dell’offerta dell’operatore aggiudicatario.

Nella fattispecie controversa, osserva la Sezione Quinta, il ricorso incidentale si fonda su aspetti che “riguardano il merito della controversia e comportano – relativamente alla lex specialis di gara e alla stessa offerta della ricorrente principale … – una non semplice attività interpretativa, che peraltro per taluni profili, attenendo a sindacato giurisdizionale su valutazioni di così detta discrezionalità tecnica … richiederebbe l’espletamento di consulenze tecniche d’ufficio, anche col contraddittorio tra le parti”.

Da qui, la considerazione che “tenuto conto del numero e della complessità delle questioni spesso portate nelle controversie in materia di appalti, del pubblico interesse alla migliore aggiudicazione, del principio del contraddittorio … una complessa delibazione di merito della sola istanza dell’aggiudicatario … appare concretare uno sbilanciamento e uno snaturamento del contenzioso, poiché privilegia, nella congerie delle questioni di merito portate dinanzi al giudice, solo quelle di chi resiste al ricorso introduttivo”.

Senza negare il principio consacrato nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2011 per cui “può ricorrere al giudice amministrativo solo chi abbia una posizione giuridica legittimante (sicché qualora il ricorso incidentale abbia lo scopo di promuovere la verifica della legittimazione del ricorrente principale, correttamente è il ricorso incidentale a dover essere esaminato per primo: v. anche C.d.S., Sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111)”, si aggiunge, tuttavia come “in fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante”, con la conseguenza che “l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario sembrerebbe contrario al principio di parità delle parti”.

Con riferimento al secondo profilo, sull’applicabilità alla procedura di selezione informale ex art. 27 del d.lgs. n. 163 del 2006 della previsione contenuta nell’art. 37, co. 13 del Codice dei contratti pubblici per effetto della quale ogni componente di un raggruppamento temporaneo di imprese è tenuto a dichiarare quale percentuale della prestazione intende eseguire, la Sezione Quinta prende le mosse dalla sentenza appellata, in cui si afferma che l’art. 37 sarebbe da intendersi un principio generale applicabile a prescindere dall’assoggettamento della procedura alla disciplina contenuta nella parte II del Codice dei contratti pubblici.

Al riguardo, il Consiglio di Stato riconosce come “il generale principio di trasparenza”, al quale anche le procedure di gara informale devono adeguarsi, consentirebbe di ritenere applicabile l’obbligo posto dall’art. 37, co. 13, del d.lgs. n. 163 del 2006 di dichiarazione delle quote di appalto eseguite da ciascun componente del R.T.I. e, ciò, perché detto onere pare direttamente ricollegabile al richiamato principio di trasparenza. Ed invero, in caso contrario, soprattutto in un affidamento complesso, come quello controverso, potrebbe accadere che non sia “dato di evincere la serietà e affidabilità dell’offerta e di consentire l’individuazione dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni (in questo senso, con riferimento ad appalti di servizi o forniture: Adunanza plenaria, sentenza 5 luglio 2012, n. 26)”.

La Sezione Quinta, però, aggiunge anche come si debba tenere conto della circostanza per cui “la norma ritenuta dal TAR precetto sanzionato da esclusione non è espressamente richiamata dalla lex specialis di gara; e che avvalendosi sul punto, come fatto dal primo giudice, di una interpretazione estensiva della normativa di riferimento, o applicativa di principi generali, potrebbe ritenersi violato il noto principio di tassatività delle ipotesi di esclusione (v. C.d.S., Sez. V, 27 maggio 2011, n. 3193), principio che ha avuto da ultimo una puntuale traduzione normativa attraverso il nuovo comma 1 bis dell’articolo 46 del decreto legislativo n. 163/2006, come aggiunto dal n. 2) della lettera d) del citato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 70/2011; ma che vigeva nell’ordinamento anche prima, in quanto desumibile dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE (v. C.d.S., Sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6393)”.

Non solo. Secondo la Sezione Quinta, “il ritenere che quanto prescritto dall’art. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici sia espressione di uno dei principi – nella specie quello di trasparenza – applicabili anche ai contratti così detti esclusi, come disposto dall’art. 27, comma 1, del medesimo codice, potrebbe far venire meno la certezza del diritto nel relativo settore, a maggior ragione non trattandosi di prescrizione fissata dalla lex specialis di gara; esigenza – quella della certezza del diritto – particolarmente sentita in un settore estremamente delicato per l’economia del Paese e soggetto a continui e alluvionali cambiamenti normativi”.

Anche sotto tale aspetto è pertanto sollecitato l’intervento dell’Adunanza plenaria volto a chiarire il rapporto tra l’art. 27 e l’art. 37, co. 13, del d.lgs. n. 163 del 2006.

Cons. Stato, Sez. V, ord. n. 2059 del 2013

Filippo Degni