Novità sul diritto dei Servizi Pubblici – Resoconto del convegno svoltosi lunedì 7 novembre 2011

30.05.2012

Il 7 novembre 2011 si è svolto presso la Sala del Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, un convegno  organizzato dalla Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli, sul tema “Novità sul diritto dei Servizi Pubblici”. Relatori il Prof. Avv. Fabio Cintioli, ordinario di Diritto Amministrativo dell’Università degli studi di Roma “Luspio”, già Segretario generale AGCM, il Pres. Cons. Carmine Volpe, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato e Capo Ufficio legislativo del Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale e il Pres. Cons. Claudio Zucchelli, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato e Capo Dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Gli indirizzi di saluto ed il ruolo di moderatore sono stati svolti dalla  Prof.ssa Avv. Maria Alessandra Sandulli, Ordinario di Diritto Amministrativo dell’Università degli Studi di “Roma Tre”. La Prof.ssa Sandulli, in una breve introduzione, si è soffermata sulle linee essenziali della disciplina concernente il servizi pubblici locali.  In tale disciplina si assiste alla contrapposizione di due dottrine contrapposte: la prima, nota anche con il nome di “socialismo municipale”, che è contraria alla liberalizzazione dei servizi pubblici e propensa, invece, alla loro gestione diretta da parte di aziende pubbliche che operano in  regime di monopolio locale; la seconda, viceversa, favorevole alla liberalizzazione dei servizi pubblici.

Il relatore ripercorre gli strumenti normativi che hanno interessato la materia dei servizi pubblici, a partire dal Disegno di legge Napolitano-Vigneri[1], approvato dal Senato con una larga maggioranza bipartisan, nel 2000, ma non riuscì poi ad ottenere l’approvazione della Camera prima della fine della XIII legislatura nel 2001; alla ripresa del processo di riforma e liberalizzazione nelle legislature XV (2006-2008) e XVI (iniziata nel 2008) con il Disegno di legge Lanzillotta[2] e poi con l’approvazione del Decreto-legge Ronchi-Fitto-Prestigiacomo[3] e del relativo Regolamento di attuazione[4] .

La Prof.ssa Sandulli provvede a sottolineare l’esistenza di due tipi di criticità:

–          in primis, la carenza di un sistema di Autorità amministrative indipendenti;

–          in secondo luogo l’incapacità delle comunità locali di predisporre strumenti capaci di migliorare la qualità dei servizi.

Il 12 e 13 giugno 2011 si è svolto un referendum popolare che ha riguardato, tra una serie di temi, anche il quadro delle regole relative alla gestione dei servizi pubblici locali. In particolare, è stata sottoposta alla consultazione popolare la proposta di abrogare l’intera disciplina dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali contenuta nell’articolo 23-bis. Un secondo quesito referendario riguardava l’abrogazione del criterio dell’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito” per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato contenuto nell’articolo 154, comma 1, del Codice dell’ambiente. L’esito del Referendum ha portato all’abrogazione delle citate norme.

Recentemente, una nuova spinta alla liberalizzazione è derivata dalla Manovra economica dell’agosto del 2011[5], che però non si applica ai settori del servizio idrico integrato, al servizio di distribuzione del gas naturale, al servizio di distribuzione di energia elettrica, al servizio di trasporto ferroviario regionale, nonché alla gestione delle farmacie comunali[6]. Essa va nella direzione di garantire una maggiore apertura e concorrenza nel mercato e prevede che gli enti locali siano tenuti a verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad un’analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. La suddetta valutazione da parte degli enti locali è seguita da una delibera quadro, contenente le ragioni della decisione e i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio. Nella delibera quadro devono essere inseriti anche gli obblighi di servizio pubblico ed eventuali compensazioni. Gli enti locali dovrebbero adottare le prime delibere quadro entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della decreto legge 138/2011.

In sintesi, si potrà procedere in regime di esclusività solo al termine della valutazione contenuta nella delibera quadro.

Una critica mossa dal relatore è quella che si utilizza per la suddetta verifica uno strumento, quale la delibera quadro, non legislativo. Viene posta altresì l’attenzione sulla necessità di regole stabili con le quali gli operatori possano confrontarsi ed effettuare le scelte economiche e che il quadro di riferimento, caratterizzato da continue modifiche, rappresenta senza dubbi un elemento negativo.

Viene citato altresì l’art. 1, comma 13, della  D.L. 138/2011, che prevede che qualora il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento sia pari o inferiore ai 900.000 euro annui, sia possibile, in deroga, l’affidamento a società a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento europeo per la gestione cosiddetta “in house”.

Infine, la Prof.ssa Sandulli pone altre due interessanti questioni: la prima riguardante l’ambito di applicazione delle nuove norme e, in particolare, se le nuove norme si applichino anche al trasporto ferroviario locale[7]; la seconda riguardante il Regolamento (CE) n. 1370/2007[8] che consente di non liberalizzare. Più precisamente il suddetto Regolamento per il trasporto di passeggeri su strada e ferrovia, fissa condizioni in parte diverse per l’affidamento diretto del servizio. E’ richiesto il controllo analogo, ma non la proprietà interamente pubblica. In ogni caso, si deve procedere alla stipulazione del contratto di servizio.

 

Segue l’intervento del Prof. Avv.  Fabio Cintioli, che sofferma la sua attenzione in particolare su tre punti: l’art. 23 bis, il referendum abrogativo ed il servizio idrico integrato. 

Con il 23 bis, secondo il relatore, il legislatore si interroga sulla gestione dei servizi pubblici locali ed in particolare sulla scelta tra due modelli: quello della liberalizzazione e quello della privatizzazione. In particolare, nel 23 bis emerge la volontà di privatizzare il servizio pubblico locale, rimanendo coerente sul versante della liberalizzazione.

I caratteri principali della disciplina del 23 bis risultano i seguenti:

– interveniva con forza sull’affidamento in house; il relatore infatti mette in evidenza come “spesso le società in house sono state uno strumento di elusione di regole che invece le Amministrazioni avrebbero dovuto rispettare”. Nella fattispecie veniva imposto il rispetto dei tre requisiti della sentenza Teckal vale a dire quelli del controllo totalitario dell’Ente pubblico, dell’attività prevalente  e del controllo analogo. Il relatore sottolinea altresì il fatto che l’affidamento diretto era subordinato ad un parere dell’AGCM, che ha interpretato in maniera molto severa questo ruolo, rifiutando quasi sempre il proprio parere all’affidamento diretto.

– l’ordinamento comunitario è neutrale rispetto a ricorso alla privatizzazione o meno. Ma non è neutrale circa la qualificazione di servizio pubblico. Esistono infatti degli obblighi quali l’atto di un’Autorità pubblica, un interesse concretamente rilevante (interesse generale) e un contesto territoriale e gli utenti cui si rivolge che devono essere delimitati.

Il relatore menziona anche i poteri previsti dall’art. 11 della legge 241/90, che prevedono la possibilità di recedere dal contratto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.

Quanto al referendum, il Prof. Cintioli sottolinea come ci sia stata una distonia tra obiettivi dichiarati e portata modificativa dell’art. 23 bis. Sullo sfondo restano validi i principi comunitari: l’ordinamento comunitario, tuttavia, non detta regole circa la gestione dei servizi pubblici locali, ma pone solo delle regole nei casi in di affidamento esterno.

L’art. 4 della manovra economica dello scorso agosto aggiunge al favor per la privatizzazione anche il favor per la liberalizzazione.

Infine, con riferimento al servizio idrico integrato, il relatore si sofferma su due questioni:

–          l’abrogazione dell’art. 23 bis che ha eliminato la diffidenza dell’ordinamento verso l’affidamento diretto;

–          l’abrogazione dell’art. 154 del Codice dell’ambiente nella parte in cui riconosceva, nella fase di determinazione della tariffa, l’adeguata remunerazione del capitale investito.

Il citato art. 4 della recente manovra economica non riguarda il servizio idrico integrato.

I principali problemi a riguardo, secondo il Prof. Cintioli riguardano:

a) le forme di gestione del servizio idrico.

A tal proposito il relatore si pone la domanda se sia diventata obbligatoria la gestione pubblica (nella forma dell’azienda speciale o della società in house) del servizio idrico integrato dopo il referendum. La sua risposta è negativa e la si evince dal fatto che permangono tutte le norme sulla dismissione delle quote da parte degli Enti locali. Il relatore si chiede altresì se sia possibile gestire il servizio in maniera pubblica. Il relatore crede di si, mediante un’azienda organo di una Amministrazione pubblica o società in house con il rispetto dei requisiti fissati dalla giurisprudenza Teckal. Il principale argomento di questa sua risposta positiva risiede nell’art. 4 della manovra economica.

b) le remunerazione del capitale nel servizio idrico integrato.

Il relatore evidenza come già la sentenza n. 26/2011 della Corte costituzionale, distingua tra due modelli di remunerazione: un metodo economico basato sulla copertura dei costi mediante i ricavi ed un metodo caratterizzato dallo scopo di lucro in senso oggettivo. Cintioli osserva come l’abrogazione dell’art. 154 del Codice dell’ambiente:

–          non elimini totalmente il “profitto” per il privato;

–          la disciplina non costituisca la base giuridica per la determinazione della tariffa;

–          rimangano in vigore altre disposizioni del Codice dell’ambiente che continuano a non escludere il profitto per il privato (si pensi all’art. 149 relativo al “Piano di ambito”);

–          il servizio idrico resti a metà tra pubblico e privato;

–          permanga un ruolo dell’Amministrazione in chiaroscuro.

 

Interviene successivamente il Presidente Volpe che provvede innanzitutto a precisare come siamo nell’ambito dei servizi pubblici locali a rilevanza economica. Sofferma poi la sua attenzione su due punti:

1)      il continuo dinamismo della materia, non solo legislativo ma anche giurisprudenziale. In relazione al primo tipo di dinamismo vanno segnalati il D.L. 112/2008, il D.L. 166/2009 (cd. “Decreto Ronchi”)[9] e il Regolamento di attuazione dell’art. 23 bis, Regolamento 168/2010. Quanto alla giurisprudenza della suprema Corte vanno segnalate le pronunce 325/2010 (che ha rafforzato l’assetto della normativa del 23 bis) e 24 e 26 del 2011.

2)      la divaricazione tra servizio idrico ed altri servizi pubblici locali a rilevanza economica di cui all’art. 4 della manovra economica. Un’ulteriore divaricazione  è contenuta nell’ambito di esclusione di alcuni servizi dall’applicazione della manovra economica, fissata dal comma 34 dell’art. 1 della stessa. Con la conseguenza che la manovra risulta applicabile esclusivamente al trasporto pubblico, ai rifiuti ed ai cosiddetti servizi pubblici innominati (illuminazione cimiteriale, verde pubblico).

L’articolo 4 della manovra economica provvede innanzitutto ad affrontare il tema liberalizzazioni-privatizzazioni, introducendo la regola del “prima si liberalizza e poi semmai si privatizza”, laddove non è possibile liberalizzare sulla base di una verifica che avviene con delibera quadro. Il ricorso ad un regime di esclusiva è possibile solo se la libera iniziativa economica non soddisfi in maniera sufficiente i bisogni pubblici. L’art. 3, comma 4, della citata manovra, fa riferimento anche alla valutazione della virtuosità degli enti..

Per quanto riguarda il settore del gas, già il D. lgs. 164/2000[10], aveva sancito che la distribuzione del gas non poteva avvenire con regime in house.

Quanto invece al trasporto pubblico locale e regionale occorre far riferimento al D. lgs. 422/1997[11]. Va altresì rilevato che nella materia è intervenuta anche una segnalazione dell’AGCM, che ha sancito che la normativa di cui all’art. 23 bis (e quindi presumibilmente anche il successivo art. 4 della manovra), si applica anche al trasporto pubblico regionale.

Il Presidente Volpe provvede poi a definire anche le criticità del citato art. 4 che risultano in sintesi le seguenti:

–          dubbi di incostituzionalità dovuti al fatto che la disciplina sia in sostanza una ripetizione di quanto contenuto nel Regolamento e nel 23 bis. Tali argomentazioni sono facilmente superabili perché riguardano soprattutto il Regolamento, “caduto” solo indirettamente ed anche perché esso contiene una sostanziale ripetizione di principi comunitari;

–          non aver previsto la soglia di 900 mila euro complessivi per l’in house;

–          l’art. 14, comma 32, del Decreto sviluppo 2010[12] prevede che “Fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2011 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni”. A riguardo il relatore si chiede se l’art. 14, comma 32, si applichi anche ai servizi pubblici locali. In teoria l’art. 14, comma 32 ed i suoi divieti non dovrebbe applicarsi, ma ciò costituirebbe un grave limite per l’applicazione dell’art. 4 della manovra economica;

–          società miste: possono svolgere attività solo a favore dell’ente che le ha istituite. A riguardo è intervenuta importante giurisprudenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2222[13], che ha sancito che il suddetto divieto non risulta conforme alla tutela della concorrenza e del mercato.

–          La logica del prima liberalizzare e poi privatizzare è demandata agli Enti locali (mediante emanazione di delibere quadro). Il relatore si chiede cosa succeda se l’Ente locale non faccia alcunché e se l’effetto pratico sia quello per cui non succeda nulla.

Il Presidente Volpe ha altresì evidenziato come dalla matrice comunitaria emerga il fatto che la tutela della concorrenza porti effetti benefici per il mercato e per le imprese, ma anche per gli utenti. Ciò dovrebbe efficientare ed economicizzare i servizi ed avere effetti anche sulle tariffe.

Il relatore sottolinea altresì la mancanza di un’Autorità nel settore dei rifiuti, dei trasporti e dei servizi innominati.

Volpe conclude il suo intervento nella consapevolezza che l’art. 4 della manovra economica vada verso una maggiore concorrenza e che l’applicazione di tale principio dovrebbe garantire anche i principi di efficienza e di efficacia ed economicità. Tuttavia viene lasciato ampio spazio all’in house.

 

L’ultimo intervento è stato quello del Presidente Zucchelli che parte dall’analisi del fenomeno di dinamismo-caos legislativo e chiedendosi da cosa derivi. Una risposta è individuabile nella contrapposizione tra due diversi approcci:

–          quello statalista, razional-costruttivista, illuminista convinto che qualora venga individuato un soggetto “illuminato” si pervenga al migliore dei risultati;

–          quello liberale che ritiene che poiché c’è un bisogno e un bene o servizio che soddisfi il bisogno, ci sarà qualcuno che nella società aperta, nel mercato, lo proponga e fornisca beni e servizi.

Dunque, a parere del relatore, l’antitesi è tra un approccio statalista-interventista e un approccio liberale.

Il Presidente Zucchelli effettua anche delle considerazioni riguardanti i rifiuti ed in particolare l’ipotesi di istituire un tributo per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Ciò imporrebbe la creazione di un’azienda specializzata. Ma evidenzia come il tributo non si paghi per un servizio e che in tal caso dovrebbe più correttamente parlarsi di tariffa.

Analizzando la recente normativa sui servizi pubblici locali, il relatore osserva come il pendolo sia andato a favore dello statalismo con il Referendum, per poi tornare indietro con l’art. 4 della manovra economica.

Un ulteriore problema è rappresentato dalla fattispecie in cui il prezzo (tariffa) divenga insostenibile ai sensi della coesione sociale, cioè nei casi in cui il prezzo divenga troppo alto da poter essere sostenuto dalla collettività sociale.

Quanto al tema dell’azienda in house, Zucchelli sottolinea come essa sia sovradimensionata ed altresì legata a dinamiche legate al finanziamento dei partiti (cioè nata per soddisfare l’interesse dei partiti, dei politici e non dei cittadini). In tali casi si assiste ad una situazione paradossale in cui non può avvenire il fallimento del pubblico ma allo stesso tempo manca la verifica del mercato. Di qui i tentativi di garantire la “concorrenza per il mercato” (art. 23 bis e art. 4 della manovra).

Il Presidente Zucchelli auspica l’introduzione di meccanismi di concorrenza pre-servizio. In tal modo le norme contribuirebbero a creare quell’equilibrio che in altri tipi di servizio si realizza automaticamente.

Infine il relatore chiude il suo intervento nella consapevolezza che un’Autorità per i servizi pubblici sia fondamentale ed abbia il compito di vigilare sui meccanismi di concorrenza per il mercato. Essa è altresì richiesta all’Italia dalla lettera Trichet-Draghi, al fine di validare le analisi socio-economiche degli Enti locali e stabilire parametri pro concorrenziali.


[1] A. S., XIII Legislatura, n. 1388-TER.

 

[2] A.S. 772 – Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali – Disegno di legge d’iniziativa governativa – Comunicato alla Presidenza del Senato il 7 luglio 2006.

 

[3] Decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166. In particolare, il comma 1 dell’articolo 15 del decreto modifica l’articolo 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

 

[4] D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168, Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.

[5] D.L. 13-8-2011 n. 138, “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, convertito con modificazioni nella Legge 14 settembre 2011, n. 148.

 

[6] Cfr. art. 1, comma 34, della citata manovra economica,  D.L. 138/2011.

 

[7] Dato che l’art. 1, comma 34, della D.L. 138/2011 esclude solo i servizi di trasporto ferroviario regionale.

 

[8] Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007.

 

[9] Con il nome di Decreto Ronchi ci si riferisce al D.L. 25 settembre 2009, n. 135 recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”,convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 20 novembre 2009, n. 166.

 

[10] Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 164 “Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144”.

 

[11] Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 “Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della l. 15 marzo 1997, n. 59”.

 

[12] Decreto-Legge 31 maggio 2010, n. 78, coordinato con la Legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, intitolato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”.

[13] Consiglio di Stato, Sez. V, 11/4/2011 n. 2222. Tale giurisprudenza ha sancito che l’art. 23-bis c. 9, del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del c. 2 lett. b, del medesimo articolo. L’affidamento ad una società mista pubblica e privata costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b) dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. deve essere equiparato, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, anche alla luce dei principi dettati dall’U.e. in materia, all’affidamento a terzi mediante pubblica gara. Pertanto, il divieto di partecipazione alla gare bandite per l’affidamento di servizi diversi da quelli in atto, previsto dal c. 9 del citato art. 23-bis, si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica.

 

 

a cura di Pietro Infante