Il diritto al pluralismo dell'’informazione in Europa e in Italia.

30.05.2012

Roma, 22 marzo 2012, Università Luiss “Guido Carli

Il 22 marzo 2012, presso l’Università Luiss “Guido Carli”, si è svolto un convegno avente ad oggetto “Il diritto al pluralismo dell’’informazione in Europa e in Italia”.

Il Prof. Benedetto Conforti ha delineato i temi principali della I sessione avente ad oggetto “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo“, evidenziando le carenze sostanziali sia del pluralismo “esterno” (cioè la possibilità di accedere al “mercato” dell’informazione, come ad esempio quello delle frequenze radiotelevisive) che di quello “interno” (inteso come possibilità di avere accesso a più “voci” d’informazione, cui si collega il ruolo svolto dalla televisione pubblica). Tenuto conto delle inadeguatezze della classe politica italiana, la soluzione di tali problemi potrà avvenire dalla normativa comunitaria, dall’azione del Consiglio d’Europa e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il Prof. Riccardo Pisillo Mazzeschi, nel suo intervento sulla “Libertà di informazione e pluralismo nel settore della radio e della televisione”, si è soffermato preliminarmente sull’art. 10, comma 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, al quale la Corte di Strasburgo fa solitamente riferimento per dirimere le controversie in materia di libertà di informazione.

La libertà di espressione è stata qui intesa nella sua accezione più ampia, potendovi ricomprendere anche la libertà di informazione, alla quale è possibile estendere tutte le integrazioni al contenuto essenziale della libertà di espressione operate dalla Corte di Strasburgo.

Ancora, la libertà d’informazione viene ulteriormente valorizzata in quanto intesa anche come diritto di ricevere informazione e quale diritto dell’individuo di formarsi una propria opinione, con importanti ricadute sullo sviluppo del sistema politico democratico per il rilievo dato ai destinatari dell’informazione stessa, cioè ai cittadini.

Successivamente, il Prof. Pisillo Mazzeschi ha esaminato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla radiodiffusione, individuando tre distinte fasi storiche.

Inizialmente, la Corte ha affrontato casi concernenti la radiodiffusione transfrontaliera seguendo un atteggiamento sostanzialmente conservatore.

In un secondo momento, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è concentrata sulle problematiche connesse al monopolio pubblico dell’informazione, valutando, tra l’altro, se le restrizioni derivanti da tale monopolio erano sproporzionate o meno rispetto agli scopi posti a base della sua formazione. In particolare, nel caso “Verein gegen Tierfabriken Schweiz (Vgt) c. Svizzera“, del 2009, la Corte ha riconosciuto la violazione dell’art. 10 della Convenzione al governo elvetico, che aveva negato la messa in onda di uno spot, da parte della Vgt, denunciante il maltrattamento del bestiame negli allevamenti di massa. Nel caso “Guerra ed altri c. Italia“, del 1998. la Corte ha precisato che non era applicabile al caso di specie il citato art. 10, comma 2, in quanto il diritto di ricevere ed offrire informazioni non equivaleva ad imporre al governo italiano un obbligo “positivo” di rendere disponibili dette informazioni di propria iniziativa.

In una terza fase, la Corte ha esaminato gli aspetti concernenti il pluralismo informativo, distinguendo quello “esterno” (che si realizza quando viene assicurato un adeguato spazio alle diverse informazioni che provengono dalla società civile) da quello “interno” (che richiede la presenza di una molteplicità di fonti).

Dal punto di vista del pluralismo informativo “esterno“, i casi sottoposti all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo hanno riguardato le condizioni di accesso alle autorizzazioni, rifiutate o sospese dalle autorità statali. Nella controversia “Meltex Ltd e Mesrop Movsesyan c. Armenia” del 2008, la Corte ha ribadito che le autorizzazioni devono essere motivate ed avere garanzie contro l’arbitrarietà, cosa che nel caso di specie non era avvenuto, con il conseguente rischio di favorire interferenze (arbitrarie) della pubblica autorità nell’esercizio del diritto alla libertà di informazione e di espressione.

Per quanto riguarda il pluralismo “interno“, la posizione della Corte può essere esemplificata richiamando la sentenza sul caso “Manole ed altri c. Moldavia” del 2009: tenuto conto dello stretto legame tra pluralismo e democrazia, il governo, per garantire un reale esercizio della libertà di espressione, non può limitarsi a non interferire, bensì adottare tutte le possibili misure a disposizione per assicurare una informazione la pluralità d’informazione.

A margine, il Prof. Pisillo Mazzeschi ha evidenziato come ci siano stati vari atti del Consiglio d’Europa sul pluralismo (atti di “soft law”), spesso riguardanti il nostro Paese, con particolare riferimento alla legge n. 215/2004 (c.d. “legge Frattini” sul conflitto d’interessi e n. 112/2004  (c.d. “legge Gasparri“) sul sistema radiotelevisivo, a dimostrazione della “particolarità” del caso italiano nello specifico settore.

Sul rapporto tra “Libertà di stampa e pluralismo”, la Prof.ssa Elena Sciso ha precisato come la tutela della libertà d’espressione figuri in tutti i cataloghi dei diritti umani, quali l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’art. 13 della Convenzione interamericana e l’art. 9 della Carta africana. Quest’ultima disposizione è stata, peraltro, specificata da una successiva Dichiarazione della Convenzione interafricana dei diritti dell’uomo, nella quale sono stati ripresi principi già sviluppati in sede comunitaria, quale la tutela delle fonti giornalistiche e degli stessi giornalisti, nonché il rapporto tra diritto di cronaca, critica e diffamazione.

In Europa, la libertà di informazione è stata oggetto di interventi anche da parte dell’OCSE che, nel 1997, ha istituito la figura del “rappresentante per la libertà dei media”, con il compito di monitorare il pluralismo nei mezzi di comunicazione e con la facoltà, altresì, di ricevere segnalazioni da parte dei rappresentanti dei media e di Organizzazioni non governative.

Con riferimento al diritto comunitario, la Prof.ssa Sciso ha rappresentato che, per molti anni, la difesa della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione è stata perseguita facendo riferimento alle regole sulla concorrenza e sul divieto di concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione. Ora, pur se l’Unione non ha ancora competenze specifiche in materia, l’art. 11, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali fa espressamente propria questa tutela.

Nell’esaminare il rapporto tra pluralismo e libertà di stampa, la Prof.ssa Sciso ha richiamato la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di negazionismo, con particolare riferimento alla pronuncia del 1982 sul ricorso di un cittadino tedesco per il divieto impostogli dallo Stato di appartenenza di diffondere un testo che negava l’Olocausto. Secondo la Corte, il diniego dell’Olocausto non ricadeva nella disciplina di cui all’art. 10 della Convenzione, bensì in quella del successivo art. 17, trattandosi di crimini storicamente accertati; diverso sarebbe stato il caso di eventi per i quali non fosse stata ancora ricostruita la verità storica, nel qual caso l’interferenza statale si sarebbe dovuta  “graduare” in base ai parametri di cui al comma 2 del citato art. 10.

In un altro caso, riguardante due giornalisti che avevano pubblicato sul quotidiano francese Le Monde un messaggio dove si chiedeva la revisione del processo sul governo Pétain, la Corte non ha rilevato una violazione dell’art. 10 in mancanza del “last speech”, né ravvisato incitamento all’odio razziale o riferimenti a fatti storicamente accertati (come, ad esempio, l’Olocausto).

In conclusione, secondo la Prof.ssa Sciso dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo si evince l’importanza della difesa della libertà di stampa, sia come fine che come mezzo per costruire una società pluralista.

Nell’ambito della II sessione concernente “il diritto dell’Unione Europea“, presieduta dal Prof. Paolo De Caterini, il Prof. Girolamo Strozzi ha trattato il tema della “Libertà di informazione e pluralismo nell’ordinamento dell’UE“, evidenziando che nello specifico settore la legislazione comunitaria non ha fatto registrare sviluppi recenti, nemmeno nel campo dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali.

Ciò premesso, il pluralismo è stato protetto, in particolare, con le norme antitrust che, come noto, sono volte a promuovere la libera concorrenza, nell’ottica del buon funzionamento del mercato comune, cioè secondo una logica prettamente economica.

Dopo i precedenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo già citati, risulta chiaro come il tema del pluralismo non possa dirsi estraneo al diritto dell’Unione. La Corte di Giustizia ha cercato di affermare l’importanza di questo principio anche nel diritto dell’Unione Europea, intendendo il pluralismo come un’esigenza assoluta nel settore dei media, anche alla luce dell’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che si impone sulle istituzioni europee in quanto principio generale dell’ordinamento comunitario.

In ogni caso, accanto al ruolo svolto dalla Corte è importante rilevare l’attivismo in materia da parte del Parlamento Europeo, a fronte della sostanziale inerzia della Commissione, la quale, in una comunicazione del 2003, aveva riconosciuto che la tutela del pluralismo dei mass media spettava prevalentemente agli Stati membri. Nel 2005, l’Assemblea ha richiesto alla Commissione di promuovere una proposta di direttiva sul pluralismo dei mass media in Europa, reiterando, poi, l’iniziativa nel 2011, con l’obiettivo di individuare almeno i requisiti minimi essenziali che gli Stati devono soddisfare non solo per garantire la libertà dell’informazione ma anche per assicurare un effettivo pluralismo.

Di fatto, l’unica esigenza che motiva l’intervento comunitario per armonizzare le legislazioni nazionali resta quello di garantire la libera circolazione dei servizi dei media audiovisivi, anche nella considerazione che la diversità delle normative dei vari Paesi può ostacolare il funzionamento del mercato interno.

Peraltro, la libertà d’informazione -cui il pluralismo è fortemente correlato- viene espressamente riconosciuta nell’ordinamento comunitario ai sensi dell’art. 6, concernente il rispetto dei diritti fondamentali della CEDU, perciò l’intervento dell’Unione Europea -al di là di un approccio meramente “mercantile“- non si può considerare estraneo alle sue competenze istituzionali.

Occorre, altresì, tenere conto, secondo il Prof. Strozzi, che lo sviluppo tecnologico dei mezzi di informazione, in special modo internet, ha reso superati i tradizionali canali informativi, compreso il servizio pubblico, laddove il pluralismo sembra essere garantito automaticamente dalla presenza di una molteplicità delle fonti di accesso “di nuova generazione“.

Pertanto, più che la libertà d’informazione “tout court” (e, in particolare, l’attenzione del ruolo del servizio pubblico) è la disciplina sul diritto di accesso, specie su internet, quella che può effettivamente realizzare il pluralismo.

Comunque, in prospettiva la situazione dovrebbe mutare, alla luce del Trattato di Lisbona che prevede l’incorporamento della Carta dei diritti fondamentali nel diritto comunitario, con inevitabili, interessanti sviluppi “interventisti” da parte dell’Unione. Al riguardo, l’art. 11 della Carta offre una protezione più ampia dell’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in quanto al comma 2 di tale disposizione viene espressamente proclamato che “la libertà dei media ed il loro pluralismo sono rispettati”.

Il pluralismo, assurgendo a valore comunitario, potrà così essere tutelato direttamente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, senza far riferimento all’esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno, in quanto l’art. 11 si configura come parametro di legalità degli atti delle istituzioni europee.

Tale innovazione coinvolge anche gli Stati membri, ora direttamente obbligati a rispettare il principio: gli stessi giudici nazionali potranno così sindacare la conformità di ogni atto interno rispetto all’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali, eventualmente disapplicandolo.

Secondo il Prof. Strozzi, ci sono prospettive interessanti per un rinnovato ruolo dei giudici nazionali nel tutelare la libertà di espressione e di informazione.

Successivamente, il Prof. Roberto Mastroianni, nel suo intervento concernente le “competenze normative dell’UE e disciplina del pluralismo informativo: regolamentazione o concorrenza?”, ha esaminato se e in quale misura le divergenze nelle legislazioni nazionali possono limitare la circolazione di servizi e capitali, tenendo conto che l’armonizzazione normativa deve essere giustificata con la difesa del buon funzionamento del mercato interno.

Per quanto riguarda la questione della proprietà dei mass media e l’incompatibilità tra detta proprietà ed altre attività, il Prof. Mastroianni ha richiamato la sentenza del 16 dicembre 2008 con la quale la Corte di Giustizia, nel valutare se la disciplina costituzionale greca sull’incompatibilità tra le attività legate alla radiodiffusione e quelle afferenti il settore dei lavori pubblici fosse in linea con la disciplina del mercato interno, ha ritenuto tale normativa eccessiva con riferimento al principio di proporzionalità.

In una successiva pronuncia del 2010, sempre riguardante la Grecia, in materia di proprietà e controllo dei mass media, la Corte ha individuato nel 5% la soglia massima per il capitale sociale di impresa che si occupa di radiodiffusione.

Con riferimento al quadro normativo comunitario, il Prof. Mastroianni ha rappresentato che esistono poche regole applicabili alla materia in argomento, peraltro riferite al diritto della concorrenza.

Indubbiamente, ad oggi emerge una esigenza di avvicinamento delle legislazioni. Una iniziativa in tal senso era sorta all’interno della Commissione, senza avere seguito: successivamente il Parlamento Europeo si è adoperato in tal senso, richiedendo alla Commissione stessa di predisporre una direttiva in materia.

Al fine di evitare l’ “impasse” in Commissione, secondo il Prof. Mastroianni l’idea potrebbe essere quella di agire mediante l’iniziativa dei cittadini, prevista dal Trattato di Lisbona.

Nel suo intervento, il Prof. Pietro Pustorino ha affrontato la tematica dei “rapporti tra pluralismo dell’informazione ed internet“.

Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di pluralismo su internet, il Prof. Pustorino ha richiamato, tra l’altro, una sentenza del 5 maggio 2011 (“Editorial Board of Pravoye Delo and Shtekel c. Ucraina”), con la quale la Corte ha censurato il comportamento discriminatorio dell’Ucraina -ritenuto contrario all’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo- la cui legislazione interna, da una parte, esonerava dalla responsabilità civile i giornalisti che prendevano le notizie da altre fonti di informazione, dall’altra non applicava tale eccezione nel caso in cui dette fonti provenissero dal web.

Un’altra questione esaminata dal Prof. Pustorino ha riguardato il bilanciamento dei diritti; emblematica, al riguardo, è stata la pronuncia del 24 novembre 2011 (“Commissione c. Belgio“) nella quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’operare un bilanciamento tra diritto d’autore e diritto al pluralismo informativo su internet, ha inteso privilegiare quest’ultimo, censurando la legislazione del Belgio che imponeva ad un provider di operare un sistema di filtraggio per verificare la liceità degli accessi.

Con riferimento alla giurisdizione (“jurisdiction“), il problema è che attualmente la stessa si articola sotto un profilo territoriale, inadeguato per il web. Questo esercizio del potere giurisdizionale -specie di carattere penale- per attività svolte sul web sembra quasi “rivitalizzare” la c.d. “teoria degli effetti“, che era stata invocata nella prassi per giustificare l’applicazione extraterritoriale, tra l’altro, della normativa antitrust e sul commercio internazionale.

Secondo il Prof. Pustorino, tale approccio, qualora impiegato nella materia in esame, rischierebbe di dare luogo non solo a contrasti internazionali tra Stato autore dei provvedimenti repressivi e Stato nazionale dell’operatore privato destinatario di tali provvedimenti, ma anche di indurre i soggetti interessati alla diffusione di notizie via web a limitare la diffusione delle notizie.

Il Prof. Giovanni Carlo Bruno ha poi esaminato la prassi in materia dei diritti umani del Comitato previsto dal Patto per i diritti civili e politici che, all’art. 19, prevede la tutela della libertà di stampa e quella di acquisizione informazioni.

Il Comitato si è occupato del problema del pluralismo nell’adempimento dei propri compiti, nell’esame sia dei rapporti degli Stati che delle comunicazioni individuali .

Secondo il Prof. Carlo Bruno, si potrebbe fare riferimento a tale prassi per riflettere sulle funzioni del Comitato dei diritti umani nell’attuazione dei diritti civili e politici, rivitalizzandone il ruolo e prevedendo un controllo più adeguato a situazioni che sempre meno potenzialmente minacciano i diritti espressamente garantiti nel Patto del 1966.

Il Dott. Fabrizio Barzanti si è soffermato, nel suo intervento, sul “ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di salvaguardia del pluralismo dell’informazione“.

La Corte di Giustizia si è occupata più volte del pluralismo dei media, facendo soprattutto riferimento alle normative nazionali in materia audiovisiva. Nella nota sentenza “Sacchi” del 30 aprile 1974 la Corte ha precisato che la trasmissione di messaggi televisivi e di pubblicità rappresenta un servizio ai sensi del Trattato e, pertanto, rientra nel  diritto comunitario.

Diversamente dalle Corti nazionali, la Corte di Giustizia non ha introdotto una nozione univoca di pluralismo, facendo espresso riferimento alla giurisprudenza della Corte Europa dei diritti dell’uomo e dando, finora, una tutela indiretta ed incidentale al pluralismo stesso.

Il Dott. Barzanti ha individuato le linee di tendenza per una tutela più diretta del pluralismo – svincolata dal riferimento alle libertà economiche- nell’applicazione della Carta dei diritti fondamentali, nonché nella promozione di un dialogo più serrato con la Corte di Strasburgo nella prospettiva dell’adesione dell’Unione alla CEDU. Parimenti importanti saranno gli esiti di un giudizio tuttora pendente alla Corte di Giustizia sulla validità di una norma comunitaria in materia di servizi media audiovisivi, per la quale sussiste l’esigenza di bilanciare il diritto di proprietà con il diritto del pluralismo dell’informazione.

Nell’introdurre la III sessione “Normativa italiana e principi della Costituzione“, il Prof. Enzo Cheli si è soffermato sul concetto di pluralismo in Italia, com’è stato sviluppato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, con particolare riferimento alla sentenza n. 84/1969 nella quale la libertà di espressione del pensiero di cui all’art. 21 della Carta è stata intesa dalla Corte come un diritto “fondamentalissimo”, in quanto pietra angolare dell’ordine democratico.

Come noto, la Corte ha fatto emergere anche un profilo “passivo” del principio di cui al citato art. 21, inteso come diritto a ricevere e a creare informazioni: nel riconoscere implicitamente il diritto di tutti i cittadini ad essere informati, essa è arrivata ad individuare dei doveri a carico di chi diffonde l’informazione.

Inoltre, la Suprema Corte è progressivamente arrivata a tutelare il pluralismo, sia quello “interno” -se il mezzo di comunicazione è nelle mani esclusive dello Stato- che quello “esterno”, definito dalla sentenza n. 826/1988 come massima presenza di opinioni in concorrenza tra loro.

Negli ultimi anni, tuttavia, a fronte dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale nazionale, l’aumento dell’importanza dei fattori tecnologici e la sempre più forte ingerenza del diritto comunitario in materia hanno portato all’esigenza di ripensare alla definizione di “concorrenza” (venendo meno i limiti dell’ “analogico“, progressivamente sostituito dalla piattaforma “digitale”) e di “pluralismo”.

In tale contesto, il Prof. Cheli si è soffermato sulla portata della diffusione di internet, che a parere di alcuni rappresenta il trionfo del pluralismo, mentre secondo altri ne rappresenta l’ultimo stadio prima del definitivo fallimento, a causa di una serie di potenziali fattori di “criticità”, quali l’ingovernabilità della rete, la concentrazione dei motori di ricerca e l’ “analfabetismo” elettronico.

In conclusione del suo intervento, il Prof. Cheli ha evidenziato come il mondo dell’informazione sia cambiato radicalmente negli ultimi dieci anni a causa dell’influenza delle innovazioni tecnologiche, le quali, tuttavia, necessitano di un adeguato quadro normativo. Nel caso specifico dell’Italia, manca oggi una seria disciplina antitrust che faccia espresso riferimento anche a internet, cui si aggiunge il perdurante problema della riqualificazione del servizio pubblico, stretto tra i condizionamenti della politica e quelli della pubblicità.

La Prof.ssa Michela Manetti, introducendo la sua relazione su “Pluralismo informativo tra vecchi e nuovi media“, ha ripreso alcuni spunti dell’intervento del Prof. Cheli, rappresentando come l’evoluzione tecnologica, “incanalata” dalla normativa comunitaria e nazionale, abbia portato ad una nuova formulazione del pluralismo, rispetto alla precedente idea di sfera pubblica dove la circolazione di informazione libera, varia e di libero accesso costituiva la base della democrazia.

In tale contesto, risulta troppo ottimistica l’idea che la liberalizzazione abbia già risolto il problema del pluralismo. Al tempo stesso, appare dubbia la valenza “intrinsecamente” positiva di internet che, indubbiamente, consente la partecipazione attiva ma, al tempo stesso, pone reali rischi di “isolamento”, in quanto ognuno tende a scegliersi l’informazione desiderata e non è soggetto alla pluralità di “voci” che invece costituisce l’essenza della sfera pubblica tradizionale.

Più in generale, un assetto “neoliberale” dell’informazione, escludendo chi non è in grado di “pagare” l’informazione e dando inevitabilmente corso ad una “segmentazione” del mercato delle idee, rischia di distruggere la sfera pubblica tradizionale, nonché di escludere, tra l’altro, chi dispone di ridotte possibilità economiche.

D’altro canto, pur assumendo una posizione di contrarietà rispetto alla tesi “neoliberale”, la Prof.ssa Manetti ritiene che il pluralismo non si possa “imporre” alle imprese regolamentandone i contenuti informativi, in quanto la “regulation” non ha mai funzionato, neanche in Germania e Regno Unito ove si è tentato di applicarla, nè gli eventuali controlli sarebbe in linea con un ordinamento costituzionale fondato sulla libertà di pensiero e di informazione.

Il nuovo pluralismo dovrebbe invece fondarsi sul divieto di posizione dominante, nonché sul principio secondo il quale solo allo Stato si può chiedere qualità, varietà e fruibilità dell’informazione; per fare questo, sarebbe necessario affrancare il servizio pubblico dalle regole di mercato e, soprattutto, dall’ingerenza dei partiti politici.

Il Prof. Giulio Enea Vigevani, affrontando il tema del “Pluralismo interno e indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo”, ha premesso che oggi il servizio pubblico, pur importante come garanzia democratica e di promozione del pluralismo informativo, ha bisogno di un “surplus” di legittimazione -in termini di qualità e diversità di contenuti- garantendone, altresì, la “distanza” dal potere politico ed economico.

Secondo il Prof. Vigevani, la sopravvivenza del servizio pubblico dipende dalla sua trasformazione in un’istituzione “counter-majoritarian“, di controllo dell’operato del potere e di promozione culturale: in sintesi, il problema del pluralismo “interno” deve essere affrontato nella sua dimensione “qualitativa“, più che “quantitativa“.

Facendo riferimento alle esperienze degli altri Paesi europei in materia, il Prof. Vigevani ha evidenziato, in primo luogo, il caso della Francia che, con la riforma del 2008, ha eliminato la pubblicità dalla televisione pubblica, prevedendo, altresì, la nomina dei vertici della televisione di Stato da parte del Presidente della Repubblica, previo parere della competente “Autority” e del Parlamento. 

In Spagna, invece, la riforma del 2010 ha previsto che il Consiglio di Amministrazione sia formato da 12 membri -otto indicati dalla Camera e quattro dal Senato, di cui due su indicazione vincolante dei sindacati- scelti a maggioranza dei 2/3, con mandato di 6 anni non rinnovabili ed elezione ogni 3 anni a gruppi; il Presidente del Consiglio di Amministrazione verrà eletto direttamente dai Consiglieri. E’ stata abolita, altresì, la pubblicità per il servizio pubblico ed è stata costituita un’ Autorità garante indipendente.

Con specifico riferimento al caso italiano, il Prof. Vigevani ha richiamato i contenuti della sentenza n. 225/1974, con la quale la Corte Costituzionale ha individuato, con chiarezza, le finalità del servizio pubblico ed i valori costituzionali su cui dovrebbe fondarsi, richiedendo che la struttura di governo consenta obiettività ed autonomia e garantisca quanto più possibile l’accesso ai gruppi sociali.

Sullo sfondo di tale pronuncia si ritrova quell’ideale di “società aperta” che con difficoltà cerca di trovare spazio nell’informazione nazionale, dove risulta carente la “cultura dell’imparzialità” da parte degli “addetti ai lavori” e diffuso rimane il convincimento che il puralismo “interno” sia da intendere “sic et simpliciter” come “plurality of partiality“, antitetico, per definizione, all’idea di autonomia.

Tenuto conto dello stretto legame tra questa “lottizzazione” dell’informazione e l’ingerenza dei partiti sul servizio pubblico, appare paradossale che la Corte, nella pronuncia n.69/2009 sul “caso Petroni“, abbia identificato proprio nel Parlamento (“…in cui tendenzialmente si rispecchia il pluralismo esistente nella società…“) il soggetto più idoneo per tenere i membri del Consiglio di Amministrazione della RAI liberi da condizionamenti.

Invece, secondo il Prof. Vigevani, se si vuole ridare senso al pluralismo “interno” e garantire imparzialità al servizio pubblico, bisognerà prevedere “tout court” che Governo e Parlamento non siano più fonti di legittimazione dei vertici della rete pubblica.

Il Dott. Roberto Natale, rilevando, in via preliminare, che in Italia esistono molteplici situazioni di conflitto d’interesse, ritiene non più accettabile che la proprietà della Rai sia al 96% sotto il controllo del Ministero dell’Economia. Una proposta di modifica dell’attuale sistema di “governance” del sevizio pubblico potrebbe essere quella di creare una fondazione con un Consiglio di Amministrazione di 11 membri, di cui 6 scelti dal Parlamento (prevedendo anche un coinvolgimento delle Regioni) e 5 nominati da soggetti vari (CNEL, Accademia dei Lincei, ecc.).

Per quanto riguarda le “ricadute” della diffusione di internet sul pluralismo informativo, il Dott. Natale ha convenuto sulla necessità che anche in rete i giornalisti siano soggetti alle stesse regole del sistema  radiotelevisivo, senza però arrivare al limite di “imbavagliare” la rete imponendo regole eccessivamente restrittive che non ne coglierebbero la “specificità” rispetto alle altre fonti di informazione (come nel caso dei c.d. “blogger”, sempre più diffusi in rete, non assimilabili al giornalismo professionale).

Il Prof. Roberto Borrello, nel suo intervento sulla “comunicazione politica“, si è concentrato sul tema della “par condicio“, particolarmente rilevante in quanto -come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 155/2002- il momento elettorale richiede limitazioni particolari nell’esercizio dei diritti costituzionali per poter dare possibilità alle forze politiche di manifestare il proprio pensiero.

In tale quadro, emergono due distinte posizioni giuridiche soggettive, quella di chi ha interesse ad esprimere liberamente il proprio pensiero per convincere l’elettorato e quella del corpo elettorale che ha l’interesse ad una informazione quanto più possibile completa per avere la massima consapevolezza della scelta (c.d. “sovranità informata“).

L’attuale normativa in materia di “par condicio” risulta, allo stato, eccessiva, pur se costituzionalmente necessaria per assicurare un “livello minimo di tutela“, al di là dei normali meccanismi di funzionamento del mercato. Tuttavia, mentre la citata sentenza del 2002 la Corte ha fatto riferimento solo alla comunicazione politica nei canali RAI, alcune decisioni dell’AGCOM nel 2005-2006, confermate da TAR e Consiglio di Stato, hanno introdotto una visione “funzionalista” della libertà di manifestazione di pensiero che non si limita al solo servizio pubblico ma si estende anche alle emittenti private.

La Prof.ssa Eva Lehner si è soffermata sul ruolo svolto dalla Commissione di vigilanza, specchio di un Parlamento nazionale sempre meno rappresentativo delle visioni plurali della società.

Atteso che non si possa più attendere l’autoriforma del sistema politico, occorre valutare il ricorso a formule alternative, escludendo comunque la privatizzazione totale della RAI che minerebbe la missione del servizio pubblico e sarebbe incompatibile con la logica del pluralismo.

Parimenti impraticabile, secondo la Prof.ssa Lehner, sarebbe l’eventuale imposizione alle emittenti private dell’obbligo di “funzionalizzare” la loro attività nello specifico settore in nome del concetto di servizio pubblico generale radiotelevisivo, tenuto conto che, con la sentenza n. 225/1974, la Corte ha precisato che l’ente gestore può essere un ente pubblico o un concessionario privato purché appartenente alla “mano pubblica”.

Ciò premesso, la Prof.ssa Lehner ha individuato due possibili soluzioni: innanzitutto, la creazione di un soggetto indipendente dal Parlamento, che potrebbe prendere la forma della fondazione (come nel caso del “BBC trust” inglese) ovvero di un ente i cui organi direttivi siano formati da esponenti politici e da rappresentanti delle organizzazioni sociali (come in Germania).

Una seconda proposta potrebbe riguardare la previsione di organi direttamente rappresentativi di tutti gli abbonati, come previsto in un progetto di legge (AC 559, presentato nel luglio 2011) nella forma di un Consiglio nazionale degli utenti, eletto ogni tre anni dagli abbonati al momento del pagamento del canone e deputato, tra l’altro, alla nomina del Consiglio di Amministrazione della RAI.

Tuttavia, tale proposta può comportare il rischio concreto, secondo la Prof.ssa Lehner, di porre la “governance” della RAI nelle mani delle “lobbies” imprenditoriali o culturali.

Nella tavola rotonda, il Prof. Alberto Capotosti ha evidenziato l’importanza, nel dibattito odierno, della problematica del pluralismo e dei controlli da parte delle istituzioni e della stessa società civile.

Con specifico riferimento al servizio pubblico, il Prof. Capotosti ha richiamato il principio della concessione -fondamentale, secondo la Corte Costituzionale- che comporta obblighi di “facere” nonché il rispetto di limiti “modali“, cioè non di contenuto bensì sul modo di esplicazione dello stesso.

Per quanto riguarda la libertà di stampa, secondo il Prof. Capotosti la differenza di regolamentazione in materia di pluralismo rispetto al sistema radiotelevisivo deriva dal fatto che quest’ultimo presenta indubbiamente un maggiore impatto sull’utenza.

Il Prof. Ferrando Mantovani ha posto l’attenzione sulla “degenerazione dell’informazione“, rispetto alla tutela, anche penale, di diritti quali quello dell’onore, della riservatezza, della segretezza.

Negli ultimi anni si è registrato uno sconfinamento della libertà mediatica in “licenza”, con uno smembramento del limite dell’interesse pubblico e sociale dell’informazione (“tutto è opinione e non esistono più i fatti“): i media, ormai, sono sempre meno filiazioni dell’ideale illuministico della libertà di manifestazione di pensiero e sempre più imprese commerciali, che nella ricerca del profitto danno adito al sensazionalismo ed allo scandalismo, a prescindere alla liceità o meno delle loro esternazioni.

La conseguenza di tale “degenerazione dell’informazione” è la percezione di un Paese corrotto ed ingovernabile, dando un’immagine peggiore delle reali condizioni, che si riflette sulla credibilità delle Istituzioni, con il rischio, peraltro, che tale contrapposizione mediatica inneschi atti di violenza da parte di soggetti “psicolabili“.

La speranza manifestata dal Prof. Mantovani, espressa a margine del suo intervento, è che si dia vita ad una riconversione culturale dalla “licenza” alla libertà mediatica, nell’ottica di un civile esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, di tutela delle garanzie processuali e di un libero e corretto confronto tra forze politiche che si ritrova in tutte le altre grandi nazioni democratiche.

Il Dott. Antonio Martusciello, nel suo intervento, ha sintetizzato l’attività svolta dall’AGCOM per la tutela del pluralismo dell’informazione.

Dal punto di vista del pluralismo “interno“, l’ACGOM ha provveduto, con delibera n. 614 del 2009, ad emanare le linee guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio radiotelevisivo pubblico.

Parimenti importante è l’attività svolta sul pluralismo “esterno“, sia sul piano dell’accesso alle risorse tecniche (specie per il passaggio dall’ “analogico” al “digitale”, promuovendo un uso efficiente e pluralistico delle reti) che a quelle economiche.

Infine, sotto l’aspetto della comunicazione politica, importante è stata l’attività di controllo svolta dall’AGCOM sul rispetto della “par condicio“, di cui alla legge n. 28/2000, per la quale l’Autorità ha emesso la delibera n. 243 del 2010, su modalità e frequenza del monitoraggio dei telegiornali e dei programmi di informazione politica, applicando alla comunicazione politica il criterio dell’ “equal time” e a quella prettamente informativa il criterio della parità di trattamento.

Nel suo intervento, il Dott. Salvatore Lo Giudice si è soffermato sul problema della rappresentazione delle vicende giudiziarie ad opera del servizio pubblico e la tutela dell’onore e della reputazione dei soggetti interessati, beni costituzionalmente rilevanti al pari del diritto all’informazione e di essere informati.

Il Dott. Lo Giudice riconosce che sussiste il rischio di “sentenze di piazza” anticipate e sommarie per mezzo dello strumento audiovisivo, prescindendo dalla presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva. Questo aspetto assume una particolare rilevanza per la RAI, tenuto conto delle ricadute sull’azienda di una eventuale responsabilità civile da parte dei propri giornalisti per atti commessi nell’esercizio dell’attività professionale.

Al riguardo, non è da sottovalutare la valenza del “Codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive“, nel quale i principi in materia vengono enucleati anche in termini “operativi” e declinati in un articolato semplice ma efficace.

L’applicazione puntuale delle norme ivi contenute consentirebbe di operare nel concreto quell’utile bilanciamento sopra indicato, affinché i fatti non vengano deformati in quella “degenerazione delle informazioni” richiamata dal Prof. Mantovani che tende ad alterare negativamente i meccanismi del processo penale.

Il Prof. Angelo Maria Petroni, nella sua relazione, si è concentrato sul problema del rapporto tra la libertà dei giornalisti della RAI e dei connessi profili di responsabilità che coinvolgono l’azienda stessa.

Provocatoriamente, il Prof. Petroni propone di dare vita a due ordini di giornalisti, uno per la carta stampata e l’altro per il sistema audiovisivo, dove i giornalisti potrebbero essere sostanzialmente assimilati a semplici funzionari ed obbligati a seguire le direttive emanate da chi amministra l’azienda.

Il Prof. Petroni ritiene opportuno che la RAI dipenda dal Parlamento, trattandosi di un’istituzione comunque legittimata democraticamente dal mandato popolare, invece di ripiegare su altre formule, come l’istituzione di una fondazione, ritenute di fatto non applicabili.

A chiusura della tavola rotonda, il Prof. Alberto Capotosti, riprendendo le considerazioni del Prof. Petroni, ha proposto uno Statuto differente tra il giornalista della carta stampata e quello del servizio pubblico, prevedendo per quest’ultimo un dovere di autolimitazione, sulla falsariga di quanto già previsto, ad esempio, per i magistrati.

 

 

* Dottorando di Diritto Pubblico del XXVI Ciclo presso l’Università LUISS “Guido Carli”.

a cura di Massimo Nardini*