Verso l’introduzione dell’azione di adempimento nel processo amministrativo – Resoconto Convegno

29.05.2012

Roma, 26 settembre 2012, Avvocatura Generale dello Stato

 

Il 26 settembre 2012, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, si è svolto un convegno concernente l’azione di adempimento nel processo amministrativo, prevista dal d.lgs. n. 160/2012 di modifica del d.lgs. n. 104/2010 “Codice del processo amministrativo”, nel corso del quale è stato presentato il libro “L’azione di adempimento nel processo amministrativo” del Dott. Andrea Carbone.

Nell’introdurre l’incontro, l’Avvocato Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza ha evidenziato come il Codice del processo amministrativo abbia formalizzato un’evoluzione giurisprudenziale che, nel tempo, ha consentito di superare dogmi consolidati, quali la risarcibilità dell’interesse legittimo, il potere risarcitorio riconosciuto in capo al giudice amministrativo, l’evoluzione del ruolo di quest’ultimo da giudice dell’atto a giudice del rapporto.

In tale quadro, l’azione di adempimento può essere vista come la conclusione di un processo “carsico” che ha percorso la recente giurisprudenza amministrativa, culminato con la riforma prevista dal d.lgs. n. 160/2012, sia pure dopo un iter travagliato: prevista inizialmente nella bozza della Commissione presso il Consiglio di Stato, l’azione in esame non è stata inserita nella prima edizione del Codice, per essere poi reintrodotta in sede di seconda modifica del Codice stesso, appunto con il d.lgs. n. 160/2012.

In ogni caso, al fine di soddisfare, dal punto di vista processuale, l’interesse “pretensivo” e, al tempo stesso, tutelare la discrezionalità della pubblica amministrazione, l’azione di adempimento è stata consentita solo per le attività vincolate (cioè laddove, secondo alcuni, si configura una sorta di “discrezionalità esaurita”).

Il Prof. Vincenzo Cerulli Irelli ha precisato come il quadro disciplinare nella specifica materia risulti totalmente nuovo non da un punto di vista prettamente sostanziale -tenuto conto che il codice si inserisce nel solco dell’attività giurisprudenziale del Consiglio di Stato, nonché della legislazione emanata nel tempo, in particolare la l. n. 241/1990- bensì sotto l’aspetto del diritto del processo amministrativo, configurando un sistema di tutela prima inimmaginabile.

Nel Codice è stata infatti recepita l’impostazione della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la necessità che, in attuazione dell’art. 24 della Costituzione, il Legislatore metta a disposizione del giudice amministrativo tutte le azioni disponibili, cioè “tutte quelle che conosce l’ordinamento” e, quindi, anche l’azione di adempimento.

Successivamente, il Prof. Cerulli Irelli ha richiamato, a titolo esemplificativo, la sentenza n. 2220/2012 del TAR Lombardia, il quale, a seguito di ricorso dell’associazione “Genitori antismog” sulla mancata adozione del P.R.I.A. (Piano Regionale degli Interventi per la Qualità dell’Aria) da parte della Regione Lombardia, ha ordinato al citato Ente territoriale di darvi corso secondo una tempistica ben determinata (60 giorni dalla comunicazione della pronuncia stessa).

Il Prof. Cerulli Irelli ha comunque evidenziato che oggi la definizione dell’interesse pubblico risulta sempre più problematica, in quanto, pur se è vero che il giudice amministrativo ha il solo dovere di “dare ragione a chi ha ragione, torto a chi ha torto”, la sua attività incide inevitabilmente sull’azione della pubblica amministrazione, cioè sull’esercizio della funzione stessa di governo, a maggior ragione dopo che il Legislatore ha esplicitamente previsto l’azione di adempimento tra le disposizioni del Codice.

L’Avv. Giacomo Aiello ha premesso che i progressi del giudizio amministrativo hanno portato, nel tempo, all’avvicinamento dei rimedi giustiziali nazionali alle tecniche di tutela anglosassone e tedesco.

Dopo aver richiamato l’art. 97, co. 2, della Costituzione, che attribuisce competenza e responsabilità all’agente pubblico, nonché gli articoli 111 e 113 della Carta, in base ai quali deve essere assicurata la tutela giurisdizionale ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi, l’Avv. Aiello ha sottolineato il peso crescente dei vincoli di bilancio sull’azione della pubblica amministrazione, pur se ritiene non giustificabile, in ogni caso, l’inerzia di quest’ultima rispetto alle giuste istanze dei cittadini.

L’Avv. Aiello ha poi sottolineato la scadenza del 16 marzo 2013 entro la quale dovrà essere recepita la direttiva europea che impone di pagare i debiti verso i fornitori della pubblica amministrazione a fronte di transazioni commerciali entro 60 giorni, pena l’automatica decorrenza degli interessi di mora. In tale contesto e tenendo conto che in una economia globale i cui tempi sono incompatibili con le perduranti lentezze dell’azione amministrativa, era indispensabile trovare un rimedio processuale contro l’inerzia della pubblica amministrazione, quale, appunto, quello consentito dagli articoli 31, 32 e 34 del Codice mediante l’azione di adempimento, talché ora nel processo di cognizione può essere valutata non solo la spettanza del bene della vita ma anche la sua piena soddisfazione.

L’Avv. Aiello ha poi esaminato, pur sommariamente, talune disposizioni del Codice concernenti la tematica oggetto del convegno. In particolare, ai sensi dell’art. 34, co. 1 let. c, l’azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto deve essere esercitata nei limiti dell’art. 31, co. 3 (in caso di “attività vincolata” della p.a., ovvero “risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari ulteriori adempimenti istruttori”), inoltre tale azione deve essere presentata contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego ovvero avverso il silenzio.

In precedenza, il giudice amministrativo si limitava ad una condanna generica della pubblica amministrazione alla restituzione nonché al risarcimento per occupazione illegittima, ma senza pregiudicarne la possibilità di acquisire comunque il bene. L’art. 34 del Codice ha innovato tale previsione, fermo restando che la pubblica amministrazione non può essere condannata prima dell’esercizio del potere amministrativo o comunque quando residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità, in modo così da evitare che il giudice “orienti” la potestà amministrativa in violazione del principio di separazione dei poteri.

Nel suo intervento, il Prof. Claudio Consolo ha precisato che un giudizio basato sull’azione di adempimento e che vuole arrivare ad una sentenza di condanna -una volta “azzerata” la discrezionalità amministrativa- determina profondi mutamenti sull’articolazione del processo amministrativo.

Infatti, a seguito della riforma, il compito del giudice diverrà estremamente gravoso, specie nella fase istruttoria; allo stesso modo, anche le competenze del consulente tecnico d’ufficio necessariamente si estenderanno e, più in generale, nuove professionalità dovranno comunque svilupparsi. Tutto questo spiega, secondo il Prof. Consolo, perché ci siano state delle ritrosie da parte del Legislatore nel non “incentivare” la condanna all’adempimento come esito fisiologico del processo amministrativo.

Peraltro, il venir meno della discrezionalità è una eventualità che presuppone un procedimento amministrativo ancora più approfondito di quanto avviene oggi, nonché una stretta collaborazione tra le parti in causa.

Il Prof. Consolo, inoltre, ha posto l’accento sull’importanza della sottostante situazione sostanziale; l’interesse legittimo all’annullamento di un provvedimento amministrativo implica un potere “caducatorio”, differente rispetto all’interesse legittimo “pretensivo”, al punto che quest’ultimo può essere ritenuto più vicino al diritto soggettivo che all’interesse oppositivo: man mano che il giudizio di adempimento prenderà piede, verrà progressivamente meno la concezione “classica” dell’interesse legittimo “pretensivo”. Proprio per questo, secondo il Prof. Consolo, bisogna trovare un’altra terminologia all’interesse di cui trattasi (come, ad es., “pretesa provvedimentale”), nella considerazione che l’interesse legittimo non può ricomprendere più due entità così diverse, l’una statica (interesse legittimo “oppositivo”), l’altra dinamica (interesse legittimo “pretensivo”).

In conclusione, a seguito dell’introduzione dell’azione di adempimento, la fase dell’istruttoria deve essere necessariamente potenziata, senza però che né il potere del giudice amministrativo né il ruolo dei consulenti tecnici d’ufficio si affermino in una misura tale da ridurre il ruolo della pubblica amministrazione.

Il Cons. Marco Lipari ha evidenziato come la previsione dell’azione di adempimento nel Codice del processo amministrativo, a seguito del d.lgs. n. 160/2012, rappresenti una svolta decisiva nella storia del processo amministrativo in Italia. L’innovazione è duplice, in quanto ora nel Codice c’è un riconoscimento esplicito di tale istituto, unitamente ad una disciplina specifica dei presupposti dell’azione e della sua applicazione.

Anche il Cons. Lipari ha ricordato che, pur trattandosi di una disciplina con una valenza “ricognitiva” -più che innovativa- che la Commissione speciale presso il Consiglio di Stato aveva previsto fin da subito, il Governo non ha inteso recepirla subito nel Codice (rendendo così necessario aspettare un d.lgs. “correttivo”, a due anni di distanza) probabilmente per il timore dei costi eccessivi che ne sarebbero potuti derivare.

Peraltro, la disposizione in esame ha comunque lasciato insoluti taluni problemi.

Innanzitutto, diversamente da quanto previsto dall’art. 40 del testo formulato dalla Commissione istituita presso il Consiglio di Stato, nel d.lgs. n. 160/2012 non si parla più espressamente di “azione di adempimento”.

In secondo luogo, per quanto riguarda il potere generale di condanna del giudice a tutela della situazione giuridica fatta valere in sede di giudizio, si possono ravvisare due linee interpretative alternative; secondo taluni è stato ampliato il catalogo delle azioni di cognizione che possono essere poste di fronte al giudice, a parere di altri, invece, è stato anticipato il momento esecutivo (tradizionalmente inserito nel giudizio di ottemperanza) in sede di giudizio di cognizione. Per dirimere tale controversia, secondo il Cons. Lipari bisogna definire l’esatta collocazione “concettuale” dell’azione di adempimento, soffermandosi sulla sua natura giuridica (azione di cognizione o azione volta a garantire una tutela).

Con riferimento ai presupposti applicativi ed alla disciplina processuale di tale azione, il Cons. Lipari ha evidenziato come la norma, dal punto di vista letterale, sembra destinata a circoscrivere l’ambito di applicazione alla sola tutela di un interesse “pretensivo” in senso stretto (connesso, cioè, alla mancata soddisfazione di una richiesta del ricorrente).

Infine, in base all’art. 30, co. 1, del Codice, l’azione di adempimento non è mai intesa come una azione autonoma, dovendo sussistere la contestazione del silenzio ovvero l’impugnazione del provvedimento negativo. L’azione di condanna si deve proporre nel giudizio di cognizione e deve seguirne le regole, pur se non è precluso che l’azione per il rilascio del provvedimento amministrativo possa essere esercitata anche nell’azione di ottemperanza, tenendo peraltro conto che, in caso contrario, si assisterebbe al paradosso di considerare lo strumento in esame come una limitazione, anziché un ampliamento della tutela.

A chiusura del suo intervento, il Cons. Lipari ha accennato alla questione dei termini per l’esercizio dell’azione in esame. Nella bozza originaria del Codice era previsto che l’azione di condanna venisse proposta contestualmente all’azione avverso il diniego o il silenzio entro i termini previsti per tali azioni; tuttavia, nel nuovo art. 34 tale formulazione non è stata riproposta. Secondo il Cons. Lipari, il termine sussiste comunque ma, rimanendo la contestualità dell’azione, lo stesso deve coincidere con quello dell’azione cui si riferisce.

La Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli ha premesso che l’effettività della tutela è ormai un principio “immanente” nell’ordinamento ai sensi del diritto comunitario, oltre che del diritto costituzionale nazionale, dal quale deriva la previsione dell’azione di condanna avverso il provvedimento di diniego ovvero il silenzio della pubblica amministrazione.

Ulteriore rafforzamento dei poteri del giudice amministrativo si può ravvisare nell’avvicinamento delle competenze di quest’ultimo a quelle del giudice civile (tutelando in modo pieno l’interesse legittimo, alla stregua del diritto soggettivo), nonché nella conferma del ruolo di garanzia del giudice stesso.

Successivamente, la Prof.ssa Sandulli ha evidenziato come l’ammissibilità dell’azione di adempimento nel processo amministrativo sia anteriore al Codice, potendo essere fatta risalire alla sentenza n. 1428/2011 del TAR di Milano. Come noto, tale pronuncia riguardava il caso di un agente di polizia che aveva chiesto, invano, il trasferimento ad altra sede per motivi familiari, con la quale il giudice ha annullato il diniego illegittimo dell’amministrazione, condannandola altresì a trasferire il ricorrente nella sede richiesta. Facendo propria la teoria dell’azzeramento della discrezionalità per assenza di alternative nel caso concreto, il giudice ha così ritenuto di poter conoscere della fondatezza dell’istanza anche se l’attività amministrativa non risultava vincolata, purché fossero esauriti i margini per una scelta di merito da parte della stessa amministrazione.

Con riferimento alla tipologia di rito da seguire per l’azione di adempimento e tenuto conto che l’art. 31, co. 3, del Codice ha fatto espresso riferimento alla possibilità che il giudice amministrativo si pronunci sul fondamento della pretesa, se ne deduce l’applicabilità del rito in Camera di Consiglio previsto al successivo art. 117, pur se tale scelta suscita “perplessità”, tenuto conto che la predetta disposizione si riferisce esplicitamente al ricorso avverso il silenzio.

Inoltre, con riferimento al limite di carattere sostanziale di cui all’art. 31, co. 3, del Codice (atto vincolato o comunque insussistenza di ulteriori poteri istruttori della pubblica amministrazione), l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 3/2011, ha chiarito, tra l’altro, che l’azione di adempimento è possibile se non ci sono profili di discrezionalità amministrativa e tecnica.

Indubbiamente, il giudice dell’adempimento può avere poteri molto più ampi, spingendo la pubblica amministrazione ad effettuare quelle ulteriori attività istruttorie che le sono riservate ed arrivando ad un intervento più “penetrante” nel merito; la Prof.ssa Sandulli ritiene comunque che non si possa ipotizzare un completo potere sostitutivo del giudice rispetto alla pubblica amministrazione, né tale evoluzione sarebbe auspicabile.

Il Prof. Giuseppe Abbamonte ha evidenziato come il Codice del processo amministrativo stia mostrando una grande forza intrinseca, tenendo conto che ciò che non era stato recepito nella prima versione è stato inserito successivamente, nei due d.lgs. “correttivi” del 2011 e del 2012.

Come già ricordato nelle relazioni precedenti, la discrezionalità rappresenta un importante limite alla condanna all’adempimento, talché, in un contesto storico che vede il giudice amministrativo sempre più coinvolto in un giudizio di effettività e al fine di evitare una sua crescente ingerenza nella sfera decisionale della pubblica amministrazione, bisogna sempre ricordarsi che la sua funzione fondamentale, in ultima istanza, è quella di annullare gli atti.

Ciò premesso, il Prof. Abbamonte ha ricordato l’importanza dell’azione di adempimento per realizzare effettivamente la giustizia amministrativa: l’interesse legittimo ha una natura sostanziale che motiva l’evoluzione nel tempo della sua giurisdizione, arricchita con strumenti di tutela sempre più numerosi. In tale quadro, la decisione del giudice amministrativo tende a comporre il conflitto tra la fattispecie “dinamica” costituita dall’interesse pubblico e la pretesa “statica” dei cittadini, i quali, non potendo agire direttamente, hanno bisogno dell’intervento del giudice stesso.

Il necessario contemperamento tra esigenze pubbliche ed individuali motiva la “chiamata alla collaborazione” presente nel d.lgs. 104/2010. In tale contesto, assume rilevanza l’art. 34 del Codice, volto a dotare il singolo di uno strumento di tutela da chiedere insieme all’azione di annullamento; peraltro, tale disposizione fornisce al soggetto interessato un titolo esecutivo, in quanto la condanna ad emettere il provvedimento è un inderogabile ordine dato dal giudice amministrativo alla pubblica amministrazione.

Secondo il Prof. Abbamonte, tale dovere giuridico in capo alla pubblica amministrazione deve essere ricondotto al più generale diritto costituzionale del cittadino di essere governato e trova altresì fondamento nel Codice Penale, specificamente all’art. 328 che punisce il rifiuto/omissione di atti d’ufficio.

In conclusione, nonostante l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, molte sono le innovazioni della giustizia amministrativa ancora da realizzare, specie per quanto riguarda la repressione penale degli illeciti negli enti pubblici, che deve essere necessariamente rafforzata al fine di “attrezzare” la pubblica amministrazione contro i “torti” fatti dai propri funzionari nell’esercizio dei compiti loro attribuiti.

 

* Dottorando di Diritto Pubblico del XXVI Ciclo presso l’Università LUISS “Guido Carli”.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

 

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Resoconto a cura di Massimo Nardini*