TAR Friuli Venezia Giulia, 8 marzo 2012 n. 92 – L’associazione per cooptazione nell’appalto di servizi

28.05.2012

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia con la pronuncia segnalata opera una riflessione in tema di associazione per cooptazione e possesso dei requisiti di gara, ritenendo che, nel caso di appalto di servizi, la cooptata debba comunque dimostrare il possesso dei requisiti (o, quanto meno di possedere adeguata esperienza) in misura almeno pari a quella della quota di servizio che dovrà svolgere (che dovrebbe essere debitamente precisata dalla lex specialis, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo).

In particolare, con la sentenza in esame, i giudici amministrativi hanno accolto il ricorso proposto dalla seconda classificata nella gara indetta dall’UTG – Prefettura di Gorizia per la gestione del CIE e del CARA di Gradisca d’Isonzo per gli anni 2011 – 2014, ritenendo fondata anche la censura relativa alla mancata dimostrazione da parte delle cooptate del possesso di adeguati requisiti per il servizio che avrebbero dovuto svolgere.

Per la definizione del ricorso, il TAR ha affrontato tre questioni: in limine, la sua tempestività; nel merito il problema della violazione (formale) della lex specialis e quella del regime della c.d. “associazione per cooptazione”. In particolare, dopo aver superato il problema della tempestività, ritenendo il provvedimento di aggiudicazione definitiva impugnato in termini, ritiene il ricorso fondato nel merito, poiché il controinteressato R.T.I., per sua stessa ammissione, non ha confezionato l’atto di impegno nella forma prescritta dall’Avviso a pena di esclusione[1].

Con riferimento al terzo aspetto, il TAR opera un’attenta e puntuale ricostruzione dell’istituto dell’associazione per cooptazione, rilevando, in particolare, che l’art. 23 del D.Lgs. 406/1991 (oggi non più vigente in quanto sostituito, senza significative modifiche, dall’art. 95, comma 4, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 [2], applicabile ratione temporis alla controversia in esame ai sensi dell’art. 256, comma 4, del D.Lgs. 163/2006) si caratterizza “per la possibilità di far partecipare all’appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 del citato art. 95”[3]. L’associazione per cooptazione consente, infatti, all’impresa singola (o al raggruppamento) in possesso dei requisiti previsti dal bando, di associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il 20 per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati.

Al riguardo, in dottrina è stato rilevato che le limitazioni contenute nella cennata normativa potrebbero porsi in contrasto con il principio comunitario di massima partecipazione alle gare. Tale conclusione sarebbe, infatti, avvalorata da una lettura comunitariamente orientata della fattispecie normativa alla luce della recente introduzione, nel nostro orientamento, dell’istituto dell’avvalimento, che, com’è noto, consente anche ad imprese completamente sfornite dei necessari requisiti di eseguire la totalità della commessa ricevuta in appalto[4].

Nella sentenza in commento, invece, in conformità ad un orientamento già precedentemente esplicitato dal Consiglio di Stato, viene offerta una diversa lettura comunitariamente orientata della disciplina relativa all’associazione per cooptazione consistente (a) nella “esportabilità” dell’istituto de qua a tutti i pubblici appalti, ivi compresi quelli di servizi, atteso che la possibilità di un’impresa facente parte di un’ATI di cooptare altre imprese, ancorché prevista solo per i lavori, è espressione di un principio di derivazione comunitaria (direttiva n. 92/50, ora n. 04/18) e, come tale, è applicabile in tutti i pubblici appalti[5]; (b) nella precisa delimitazione dell’impiego della singola cooptata, oltre che quantitativa, anche in ragione dei requisiti dalla stessa posseduti[6].

In sostanza, secondo il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, nel caso di associazione per cooptazione, di fronte ai precetti di par condicio e di garanzia della stazione appaltante sulla qualificazione delle partecipanti alla gara, la tutela della concorrenza e della massima partecipazione appaiono senz’altro recessivi. La cooptata, infatti, deve comunque dimostrare il possesso dei requisiti (o, quanto meno di possedere adeguata esperienza) in misura almeno pari a quella della quota di servizio che dovrà svolgere. Tale dimostrazione può essere fornita gli stessi elementi che il bando richiede alla cooptante, quali, ad esempio, l’aver svolto senza demerito servizi analoghi a quelli attribuiti (nel caso in cui la parte di servizio attribuita alla cooptata sia omogenea); il possesso di requisiti specifici ovvero di adeguate capacità a svolgere la parte di servizio di cui è indicata esecutrice (nel caso di esecuzione da parte della cooptata di servizi secondari).

Nella decisione in commento viene peraltro rilevato, coerentemente con i più recenti orientamenti giurisprudenziali, che “un riparto qualitativo delle lavorazioni o dei servizi offerti dalle associate (cioé un riparto di tipo eterogeneo delle prestazioni offerte) in tanto è possibile in quanto la stazione appaltante lo abbia anche implicitamente ammesso attraverso la indicazione delle opere scorporabili (in materia di lavori) ovvero dei servizi secondari (in materia di servizi); quante volte ciò non accada l’unico riparto ammesso tra le prestazione delle associate è di tipo quantitativo, cioè tra lavorazioni e servizi aventi carattere omogeneo”[7].

 

Il TAR ha pertanto ritenuto che, nel caso di specie, in cui la stazione appaltante non aveva distinto tra servizi principali ed accessori[8], non era configurabile, anche a voler ammettere l’applicabilità alla fattispecie dell’istituto della cooptazione, un riparto qualitativo delle prestazione d’appalto che affidava ad una delle cooptate la sola attività di interpretariato e mediazione culturale, essendo tale attività soltanto una minima parte (5 %) del servizio di assistenza generica alla persona non affidabile in via autonoma ed esclusiva, in carenza delle necessarie indicazioni nella legge di gara, ad una soltanto delle associate. Inoltre, i giudici amministrativi hanno ritenuto non dimostrate da parte delle cooptate[9] le adeguate capacità a svolgere la parte di servizio di cui sono state indicate esecutrici.

 


[1] Il punto 11) dell’Avviso stabiliva che “alla richiesta deve essere allegata, a pena di esclusione, la seguente documentazione…d) dichiarazione, resa ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/00 sottoscritta dal legale rappresentante e attestante…..nel caso di associazioni o consorzi non ancora costituiti, dichiarazione autenticata in carta legale, con la quale le imprese che intendono costituirsi si impegnano a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza, all’impresa da qualificare come capogruppo, la quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e delle mandanti”.

[2] Cfr. art. 95, comma 4, D.P.R. n. 554/1999, il quale dispone “se l’impresa singola o le imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea hanno i requisiti di cui al presente articolo, possono associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti dal bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il 20 per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati”.

[3] Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 1° settembre 2009, n. 5161; Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2001, n. 3129 e Id., 25 luglio 2006, n. 4655; nonché , ex plurimis, T.A.R. Salerno, sez. I, 7 luglio 2006, n. 954.

[4] Balocco G., L’estensione al settore dei servizi del principio di corrispondenza delle quote, in Urbanistica e appalti, 2010, 7, 847.

[5] Cons. Stato, VI, 11 aprile 2006, n. 2010. In tale decisione, i giudici amministrativi ravvisano l’esistenza di un principio che si evince dal diritto vivente e che è di derivazione comunitaria: non potendo essere imposta ai raggruppamenti di operatori economici una veste giuridica determinata al fine della partecipazione ai pubblici appalti, deve essere consentita la partecipazione dei consorzi stabili non solo ai pubblici appalti di lavori, ma anche a quelli di servizi.

[6] Cons. Stato, VI, 13 gennaio 2012, n. 115.

[7] Ivi.

[8] Il Capitolato, pur non distinguendo tra servizi principali ed accessori, li aveva suddivisi in: 1) servizio di gestione amministrativa e di minuta sussistenza e manutenzione; 2) servizio di assistenza generica alla persona; 3) servizio di assistenza sanitaria; 4) servizio di pulizia e igiene ambientale; 5) fornitura di beni.

[9] Alla cooptata Cofely Italia s.p.a. risultano essere attribuiti i sevizi di: a) gestione amministrativa e di minuta sussistenza e manutenzione, e b) di manutenzione, per una quota pari al 15% (cioè quelli indicati dal Bando sub n. 1); mentre a Synergasia – Cooperativa Sociale Onlus viene assegnata la sola attività di interpretariato e mediazione culturale (quindi una piccola frazione di quelli indicati sub n.2); per una quota pari al 5%.

a cura di Rocco Cifarelli