Politiche di coesione e integrazione europea. una riforma difficile ma possibile, a cura di Giovanna Colombini, Jovene Editore, Napoli, 2011.

26.05.2012

Scheda redazionale

Il volume rappresenta il risultato di una ricerca finanziata dal MIUR nel 2008. Il curatore, Giovanna Colombini, professore dell’Università di Pisa, è anche il coordinatore nazionale e locale del progetto.

Il tema delle politiche di coesione sin dal 2008 è parso una prospettiva di indagine su cui meritava riflettere specie di fronte alle prospettive di riforma elaborate nei vari documenti della Commissione europea. La necessità di superare il carattere eccessivamente dispersivo, burocratico e settorializzato dei fondi strutturali (FSRE e FSE) era infatti motivata dalla constatazione che gli obiettivi politici tipici della politica di coesione “riduzione delle disparità tra i livelli di sviluppo(sociale, economico e culturale) delle regioni d’Europa” non sempre venivano raggiunti.

A tutto questo si è aggiunta la convinzione (da parte degli autori del volume) che l’inquadramento, dopo il Trattato di riforma, della politica di coesione nelle sue tre componenti economica, sociale e territoriale, non potesse essere riconducibile esclusivamente alla “politica di coesione in senso stretto” per la ragione che molte sono le interrelazioni che si determinano fra le tre componenti della coesione e le altre politiche dell’Unione.

Gli interventi su beni pubblici come l’ambiente, la ricerca, l’energia, le reti transeuropee, l’innovazione tecnologica, od ancora gli aiuti di Stato a finalità regionale, formalmente rientranti in altri ambiti di competenza dell’Unione, sono stati ritenuti elementi fondamentali per realizzare quel processo di integrazione economica, sociale e territoriale ascrivibile agli obiettivi propri della Coesione.

Di qui il convincimento, maturato nel corso della ricerca, che ci debba essere da parte delle Istituzioni “comunitarie”, una maggiore attenzione sia al quantum delle risorse da destinare al bilancio dell’Unione, sia alla qualità delle azioni da promuovere a livello europeo. In sostanza l’idea di una concezione più ampia e nuova della coesione sia in termini verticali che in termini orizzontali, ha portato ad affermare che si tratta di un principio fondante, in grado di migliorare l’attuale livello di integrazione economica e sociale e di garantire anche i suoi sviluppi futuri nel superamento delle disuguaglianze e nel perseguimento della solidarietà.

Per verificare la percorribilità di questa prospettiva l’analisi svolta nel volume non ha seguito il tradizionale approccio particolaristico del rapporto tra finanziamenti dell’Unione e cofinanziamenti degli Stati membri, ma ha seguito un approccio integrato delle politiche dell’Unione che tenesse conto, nel nuovo quadro normativo delineato dal trattato di riforma, degli assetti delle Istituzioni europee, del sistema delle finanze dell’Unione, della dimensione territoriale e più in generale della nuova governance economica.

Rinviando ai ragionamenti svolti su questi temi specifici alla lettura del volume, merita comunque segnalare le criticità emerse nel corso dell’indagine. Partendo dalla affermazione con la quale il libro si apre “lo stato attuale dell’Unione europea si riflette nella dimensione e nella struttura del suo bilancio” (Salvemini), risulta evidente che qualsiasi nuova dimensione si voglia attribuire alle politiche dell’Unione ed in particolare a quella di coesione, non può che partire dalle finanze dell’Unione e dal suo bilancio.

Questo perché il nesso tra bilancio e politiche pubbliche costituisce una caratteristica di tutte le organizzazioni democratiche dei pubblici poteri e si fonda sulle funzioni giuridiche, economiche e politiche di cui il fisco ed il bilancio costituiscono la sintesi e la rappresentazione.

Tale affermazione, scontata per gli Stati democratici, non può esserlo integralmente per la vicenda europea visto che né il Trattato costituzionale non ratificato nel 2004 né il suo opaco ridimensionamento nel Trattato di Lisbona, hanno chiarito se l’attuale assetto incorpori elementi costitutivi di uno Stato e dunque prefiguri in prospettiva anche una fiscalità europea autonoma dagli Stati in funzione di un interesse pubblico europeo ovvero se rappresenti “altro”.

A questa ambiguità di fondo del modello europeo che costituisce il limite più rilevante per il futuro dei cittadini europei, si cerca, nel volume, di dare una risposta che possa attribuire un senso alla cittadinanza europea, ipotizzando che la stretta correlazione tra principio di coesione ed i principi di solidarietà e di uguaglianza affermati nei trattati, consentano di ravvisare nell’ordinamento europeo quegli elementi di statualità in grado di supportare una forma di stato federale ancorchè “sui generis”. Ma una lettura del genere, peraltro supportata anche dalla costituzionalizzazione della componente territoriale, si è scontrata subito con l’altra faccia dell’ordinamento europeo, cioè con il sistema di finanze e di governance economica dell’Unione che, viceversa, per come costruito non consente in alcun modo di rendere esplicito ai cittadini europei il processo decisionale in materia di politiche pubbliche dell’Unione.

In sostanza, il criterio dei saldi netti noto come regola del “juste retour in ragione del quale il bilancio dell’Unione si sostanzia in un “rapporto tra flussi netti verso e dalla comunità che il bilancio del singolo Stato riceve” ha fatto sì che anche il trattato di riforma riconducesse il modello sociale europeo al principio dell’equità contabile piuttosto che al principio dell’equità sociale. Aspetto quest’ultimo che consente di mettere in luce nei vari contributi del volume, i limiti dell’ampliamento della procedura di codecisione, e la sua inidoneità a recuperare il deficit democratico che si registra per le decisioni sulle finanze e sulla governance economica dell’Unione.

La mancata realizzazione di una Europa federale e conseguentemente di un bilancio federale rappresentano, dunque, il dilemma che il libro evidenzia ma che ovviamente non può risolvere e cioè “il rapporto tra i vincoli posti dalla nuova governance economica e la sovranità degli Stati nazionali”. Ed è evidente che le opzioni prese in esame nel volume, seppur rivolte al finanziamento delle politiche di coesione in senso ampio, fanno emergere la questione del debito sovrano degli Stati dell’eurozona. Le considerazioni svolte sugli eurobond nella prima parte del volume, consentono, infatti, di mettere in luce come una maggiore integrazione europea sia perseguibile non soltanto sul versante del mercato unico, dell’euro e delle politiche fiscali ed economiche “europeizzate” ma anche (e soprattutto) attraverso una integrazione politica dei poteri e della legittimazione degli organi dell’Unione. Prospettiva che richiede inevitabilmente una revisione dei Trattati.

Il volume si chiude, rispettando i rigidi vincoli  temporali della rendicontazione dei PRIN, e dunque proprio nel momento in cui il carattere globale della crisi finanziaria travolge l’Europa e fa emergere l’inadeguatezza del sistema europeo a fronteggiarla ed a governarla. Purtroppo le attuali vicende della Grecia, dell’Irlanda, della Spagna e dell’Italia, non ancora esplose nella loro drammaticità al momento in cui il volume era dato alle stampe, confermano tutte quelle criticità riscontrate nell’architettura costituzionale europea. Ed anche se l’angolo di visuale con cui tali criticità sono state analizzate si concentra sulle politiche di coesione e sui nuovi beni pubblici europei, l’approccio integrato ed il metodo di indagine seguiti hanno consentito di mettere in luce tutta la debolezza di una unione economica e finanziaria dell’Europa non supportata da una Unione che sia anche una “Unione Politica”.

Alessandroa.baroni