Resoconto del convegno svoltosi a Roma, alla Luiss Guido Carli, il 18 maggio 2012
Il 18 maggio 2012, organizzato dai Dipartimenti di Scienze politiche e di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli, insieme all’ARSAE, si è svolto un convegno avente come tema Costituzione e “pareggio” di bilancio.
Il prof. Antonio Nuzzo ha evidenziato che l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella carta costituzionale, volto a rafforzare il controllo sui disavanzi pubblici, trova giustificazione teorica nella valorizzazione del ruolo del mercato nel promuovere la crescita e nelle sue capacità di autocorrezione, paventando tuttavia il rischio che l’austerità finanziaria determini un accantonamento del Welfare State europeo.
Secondo il prof. Sebastiano Maffettone, la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio può incidere negativamente sul compito fondamentale della democrazia di redistribuire la ricchezza e di assicurare il welfare, a causa delle limitazioni che siffatti vincoli possono determinare sulla libertà decisionale delle istituzioni. Al tempo stesso, tuttavia, ha osservato che l’obbligo costituzionale di compensare tra loro entrate ed uscite pubbliche potrebbe aiutare un Paese come l’Italia a condurre politiche economiche “sane”, senza incorrere in quelle tentazioni di spesa facile che, richiamando il noto volume di J. Elster, possono essere paragonate all’effetto “ammaliatore” del canto delle sirene su Ulisse.
Il prof. Vincenzo Lippolis ha, poi, rappresentato l’interesse nei confronti della riforma in esame per la “singolarità” che da una modifica prettamente tecnica possano derivare conseguenze importanti per la rappresentanza politica, incidendo, tra l’altro, sul ruolo del Parlamento nella decisione di bilancio.
Introducendo la sessione antimeridiana, il prof. Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, ha sottolineato lo scarso interesse suscitato dalla riforma in esame non solo presso l’opinione pubblica, ma anche tra gli stessi membri del Parlamento, come testimonia il fatto che l’iter di approvazione è stato molto rapido – meno di un anno – nonostante il noto procedimento “aggravato” previsto dall’art. 138 della carta fondamentale. Tuttavia la riforma introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 assume una particolare rilevanza in quanto, mentre i commi 3 e 4 dell’originario art. 81 Cost. contenevano regole formali che definivano aspetti di tipo procedurale, il vincolo costituzionale del pareggio rappresenta ora il tentativo di trasporre una ben definita linea di politica economica in vincoli sostanziali, su pressione esterna da parte dell’Unione europea.
Nella sua relazione su “La disciplina costituzionale del bilancio: genesi, attuazione, evoluzione, elusione”, il prof. Antonio Brancasi ha tratteggiato la storia “tormentata” dell’art. 81 della Costituzione, sin dalla sua genesi. In sede di Assemblea Costituente, tale norma è stata discussa nel quadro dei rapporti tra Governo e Parlamento con il fine, tra l’altro, di limitare l’iniziativa di spesa dei parlamentari.
Poiché la legge di bilancio veniva configurata come un mero atto di approvazione del Parlamento, il bilancio stesso, di conseguenza, non poteva essere emendato dal Parlamento. Per tale motivo il comma 4 prescriveva la previsione della copertura finanziaria per le sole “altre leggi”: se tale obbligo era volto a tutelare gli equilibri finanziari dall’iniziativa parlamentare, non v’era ragione di estenderlo anche alla legge di bilancio. Tuttavia, questa concezione della legge di bilancio come legge meramente formale – sostenuta, tra l’altro, da Santi Romano e da Vittorio Emanuele Orlando – era legata alle esigenze di una monarchia costituzionale e risultava, pertanto, superata in una repubblica parlamentare. In ogni caso, fin dall’inizio tale norma ha subìto una “torsione” sotto l’effetto di due contrapposte esigenze. In primo luogo si trattava di introdurre in Costituzione vincoli qualitativi e quantitativi alla politica finanziaria, secondo il principio di Castelli Avolio che “ogni spesa deve essere prevista da un’apposita legge”; inoltre, si rendeva necessario conformare i processi decisionali del legislatore di settore all’obbligo di copertura delle spese, nel quadro degli equilibri di finanza pubblica stabiliti in sede di bilancio.
Una tappa importante dell’evoluzione della normativa in materia è costituita dalla legge n. 468 del 1978, che ha introdotto tre novità principali. Innanzitutto, l’obbligo della copertura è stato inteso secondo l’interpretazione estensiva (cioè non limitata all’anno cui il bilancio fa riferimento) con la conseguente introduzione di un parametro “pluriennale” di copertura delle leggi. Inoltre, al fine di contenere l’indebitamento, fino a quel momento utilizzato come mezzo di copertura, e volto a responsabilizzare il decisore politico, la legge n. 468 del 1978 ha previsto che l’entità dei saldi di bilancio (specie quella concernente il “ricorso al mercato” per finanziare le spese in eccesso rispetto alle entrate preventivate) fosse oggetto di apposita decisione parlamentare. Infine, è stata introdotta la “legge finanziaria” che, con il fine precipuo di “liberare” la manovra di finanza pubblica dai vincoli della preesistente legislazione, conteneva sia elementi di bilancio (essendo deputata a fissare gli equilibri finanziari), sia disposizioni di modifica delle leggi in vigore; tuttavia, sin dai primi anni di attuazione della riforma, i saldi indicati nella legge finanziaria non erano oggetto di una specifica decisione, bensì si configuravano come grandezze di risulta delle decisioni settoriali, facendo venir meno il compito di stabilire ex ante il quantum di risorse disponibili in base al quale definire le spese.
Per sanare le criticità che fin da subito hanno caratterizzato la legge finanziaria, con la legge n. 362 del 1988 il legislatore ne ha modificato il contenuto, cercando di ritornare alla ratio del terzo comma dell’art. 81 Cost. Con la legge n. 196 del 2009 si è superata la legge finanziaria, recuperando elasticità al bilancio ed abbandonando l’idea che l’obbligo di copertura servisse a conformare i processi decisionali responsabilizzando il decisore politico, assumendo invece il valore “sostanziale” di vincolo quantitativo alla politica finanziaria dello Stato. Poiché la legge di stabilità (ex legge finanziaria) è stata sottoposta all’obbligo di copertura, anche le parti che dovrebbero essere di pertinenza del bilancio risultano oggi parimenti vincolate, nonostante l’ “originario” art. 81, terzo comma, Cost. non lo prevedesse espressamente.
Nel giudicare la recente riforma costituzionale, il prof. Brancasi ha evidenziato che, accanto ad indubbi fattori di discontinuità, permangono elementi di continuità (razionalizzazione della normativa in materia, prevalenza dell’interesse finanziario derivante dall’abolizione del terzo comma, limiti di contenuto). In ogni caso, sussistono delle perplessità per la rigidità del sistema così introdotto rispetto agli accordi europei (da ultimo, il c.d. “Fiscal Compact”): con la riforma dell’art. 81, promossa per il suo valore “mediatico”, sono state cristallizzate regole che a livello europeo hanno una valenza soprattutto politica – e suscettibili, pertanto, di futuri, eventuali aggiustamenti – mentre il loro recepimento in Costituzione le priva della necessaria flessibilità.
La relazione successiva del prof. Gian Luigi Tosato, su “I vincoli europei sulle politiche di bilancio”, si è concentrata sul legame tra il diritto europeo e la legge costituzionale n. 1 del 2012. Secondo il prof. Tosato, le norme contenute nel “Fiscal Compact” non appaiono sostanzialmente innovative rispetto alle prescrizioni in materia di bilancio previste dal Trattato di Maastricht, dal successivo Patto di Stabilità – come poi modificato nel 2005 – e dal recente c.d. “six pack”. Invece, dal punto di vista formale si è assistito ad un “irrigidimento” dei vincoli in materia di bilancio, tenuto conto che, una volta entrate in vigore (cioè ad avvenuta ratifica da parte degli Stati sottoscrittori), le disposizioni del “Fiscal Compact” non potranno essere derogate se non con una revisione all’unanimità del Trattato. Tale vincolatività è ulteriormente rafforzata dal fatto che i principi ivi contenuti sono stati recepiti dai singoli Stati mediante apposite modifiche alle proprie Costituzioni.
Tuttavia, diversamente da taluni commentatori che ritengono che la disciplina di bilancio europea sia eccessivamente rigida, a parere del prof. Tosato dai testi normativi si scorgono alcuni margini di flessibilità. In particolare, il “Fiscal Compact” ha fissato un obiettivo di pareggio di bilancio nel medio termine, ammettendo un deficit “strutturale” che non superasse lo 0,5% rispetto al prodotto interno lordo; inoltre, è stato preso in considerazione l’ “effetto ciclo”, al netto delle misure “una tantum” e temporanee, prevedendo che nelle fasi economiche favorevoli lo Stato debba applicare più rigidamente i vincoli in argomento, residuando in circostanze opposte una interpretazione più flessibile degli stessi. Ulteriori deroghe riguardano circostanze “eccezionali”, quali la “forza maggiore” ovvero una grave recessione economica, in virtù delle quali si può derogare, pur se parzialmente, all’obbligo del “pareggio”.
Il prof. Tosato ha ricordato, peraltro, che la relazione predisposta dalla Commissione Europea nel quadro dell’attività di sorveglianza dei conti pubblici nazionali, ai sensi dell’art. 126 par. 3 del TFUE, deve tenere conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti, nonché di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro che non rispetti i “targets” di deficit e debito pubblico.
In conclusione, i vincoli di finanza pubblica posti dall’ordinamento europeo agli Stati, lungi dall’esaurirsi in una “rigidità” fine a se stessa, possono esercitarsi nell’ambito di una sorta di “flessibilità controllata”, da discutere volta per volta a livello europeo (come già sta facendo la Spagna).
Il prof. Nicola Lupo, in una relazione su “La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti”, ha poi introdotto la problematica dei rapporti tra la costituzionalizzazione del principio di bilancio ed il sistema delle fonti: con particolare riferimento a quelle costituzionali e primarie, ai regolamenti parlamentari, nonché ai riflessi della riforma sul rapporto maggioranza/opposizione e, più in generale, sulla forma di governo.
Per quanto riguarda le fonti costituzionali, il prof. Lupo ha evidenziato che i contenuti del “Fiscal Compact” erano stati già anticipati dal c.d. “Patto Euro-plus”, in base al quale gli Stati membri si impegnavano a recepire nella propria legislazione le regole di bilancio fissate nel Patto di Stabilità e Crescita. Nel solco di tale orientamento, con il “Fiscal Compact” è stato chiesto alle Costituzioni nazionali di adeguarsi a tali principi, a conferma dell’inadeguatezza delle norme finora adottate dai Paesi interessati per risanare le proprie finanze pubbliche.
Parallelamente a tale “accelerazione” avvenuta in sede europea, si è assistito ad una presa di coscienza della questione finanziaria da parte delle autorità di governo: la rapidità della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio nel nostro Paese sembra derivare proprio dal fatto che il vincolo finanziario è ormai condiviso dalla classe dirigente nazionale, per la diffusa consapevolezza che occorra vincolare l’ “Ulisse statale” per frenare l’impulso irresistibile delle “sirene della spesa pubblica”.
Una più piena attuazione della riforma avverrà con l’approvazione parlamentare della legge attuativa del nuovo art. 81 della Carta – a maggioranza assoluta e nell’ambito degli oggetti indicati nella legge costituzionale n. 1 del 2012 – che il prof. Lupo ricomprende tra le c.d. “leggi organiche”, per la sussistenza dei seguenti elementi: a) la distinzione formale rispetto alla legge ordinaria, b) il procedimento aggravato di approvazione, c) la riserva di una serie di materie, strettamente connesse all’attuazione della Costituzione, nonché d) la sottoposizione delle disposizioni ivi contenute alle sole norme costituzionali.
Per quanto riguarda i regolamenti parlamentari, la citata legge organica tende a sgravarli di compiti non loro, chiamandoli a definire, per il settore di stretta competenza (come l’istituzione dell’organismo indipendente, pur operante presso le Camere), unicamente le modalità con cui si esercita la funzione di controllo parlamentare nelle decisioni di finanza pubblica.
Infine, la riforma dell’art. 81 determinerà effetti– secondo il prof. Lupo – anche sul rapporto tra maggioranza ed opposizione. La legge organica, così come l’autorizzazione a ricorrere all’indebitamento per far fronte alle esigenze conseguenti ad eventi eccezionali (da operarsi, a quanto sembra, con atto bicamerale non legislativo), dovranno essere approvate a maggioranza assoluta dei membri: si è dato così vita, di fatto, al primo caso di adeguamento dei quorum costituzionali, nell’ottica di favorire un sempre maggiore coinvolgimento dell’opposizione nelle scelte di bilancio. In ultima analisi, per quanto concerne i rapporti tra Parlamento e Governo in materia di bilancio, secondo il prof. Lupo si è assistito ad un generale “ridimensionamento” delle competenze di entrambi che, tuttavia, appare più marcato per l’Esecutivo, in quanto l’Assemblea, se riuscirà a sviluppare le attribuzioni affidatele, potrà esercitare un reale “monitoraggio” delle decisioni assunte dal Governo in carica, facendo riferimento proprio ai vincoli imposti a livello europeo.
Indubbiamente, la norma costituzionale, per produrre l’effetto desiderato, ha bisogno di una sua implementazione e di un sistema efficace di controlli che ne garantiscano il rispetto (per evitare che i vincoli europei restino inattuati): al riguardo, coinvolgere la Corte dei conti nel nuovo sistema di bilancio potrebbe rafforzare l’efficacia e la qualità delle scelte pubbliche.
Successivamente, il prof. Mario Bertolissi, nello svolgere una relazione su “L’equilibrio di bilancio nel nuovo art. 81 Cost.”, si è soffermato sul grado di “normatività” della riforma in esame. L’equilibrio di bilancio deve essere inteso non solo come assenza di debito ma anche come sostenibilità dello stesso, in linea con il principio del “buon andamento” di cui all’art. 97 della Costituzione e secondo un’ottica intergenerazionale, che preservi il diritto delle future generazioni di poter soddisfare liberamente i propri bisogni senza essere condizionati dalle scelte compiute in precedenza. Poiché l’ “equilibrio” deve essere considerato uno strumento e non un fine, l’art. 81 come novellato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 deve essere esaminato tenendo conto dei valori e delle situazioni soggettive tutelate nella prima parte della carta costituzionale. Il diritto europeo intende l’equilibrio di bilancio come assenza di disavanzi nazionali eccessivi. Richiamando alcune interpretazioni di siffatto principio, il Prof. Bertolissi ha citato in particolare Gobetti che, nel suo libro “La Rivoluzione liberale”, aveva considerato il “pareggio” come un problema del contribuente, relativo più alle spese che alle entrate, che non poteva essere risolto con il ricorso a mere formule tecnico-contabili.
Per il Prof. Bertolissi, la lettura dell’art. 81 non può essere disgiunta dall’art. 53 della Costituzione, in quanto sull’autorizzazione alle entrate e alle spese incide una forte componente politica: in ultima istanza, “la forza normativa di queste norme dipende da chi le legge”. Infatti, una disciplina di bilancio “pervasiva” ed estremamente dettagliata non è garanzia, ipso facto, di efficacia, come ha dimostrato il fallimento della società Lehman Brothers avvenuto nonostante la presenza nel mercato americano di ben 150 autorità di controllo; non la cogenza o la puntualità delle disposizioni, bensì il senso di responsabilità rappresenta la migliore garanzia di una sana gestione delle risorse pubbliche.
Nella sua relazione su “Equilibrio di bilancio, coordinamento finanziario e autonomie territoriali”, il prof. Giulio Maria Salerno ha ritenuto preferibile seguire un’interpretazione estensiva dei principi in materia di bilancio anche alle autonomie territoriali, sui quali gravano gli obblighi stabiliti in ambito comunitario, non per limitarne l’autonomia finanziaria ma per assicurare l’effettivo e unitario rispetto degli obblighi di equilibrio di bilancio per tutto il comparto pubblico.
Nello specifico, le modifiche agli art. 81, 97 e 119 Cost. riguardano, come noto, anche le autonomie. L’art. 81 si riferisce allo Stato ma prevede anche le norme fondamentali ed i criteri per assicurare l’equilibrio di tutta la finanza pubblica. L’art. 119 si inquadra nella responsabilità dello Stato per gli equilibri finanziari della Repubblica, comprese le autonomie che concorrono al raggiungimento di tale obiettivo. Infine, l’art. 97 prevede ora che le pubbliche amministrazioni – comprese quelle decentrate – assicurino l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito, in coerenza con i vincoli europei.
Il prof. Salerno ha evidenziato, altresì, che la materia dell’ “armonizzazione dei bilanci”, originariamente di tipo concorrente, è stata ricondotta dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 alla competenza esclusiva dello Stato, superando così il “federalismo contabile” pur senza addivenire all’unificazione delle procedure di bilancio nei vari livelli di governo.
Soffermandosi sul novellato art. 119 comma 1 della Carta, il prof. Salerno ha precisato che non ne sono stati “stravolti” i contenuti rispetto all’originaria disposizione – introdotta con la riforma del Titolo V nel 2001 – bensì sono stati semplicemente integrati. Ora, sulla base del citato art. 119 la responsabilità dell’equilibrio tra entrate ed uscite resta comunque in capo a ciascun ente territoriale: in ogni caso, pur se le deroghe per circostanze eccezionali, nonché l’attenzione per il ciclo economico che si riscontra in più parti dell’art. 81 riguardano formalmente il solo bilancio dello Stato, di fatto si potrebbero estenderle alle autonomie territoriali. Infatti, secondo il prof. Salerno il concetto di equilibrio incorpora una sorta di “flessibilità dinamica” che non esclude a priori eccezioni al principio del pareggio (nel qual caso, peraltro, lo Stato potrebbe stabilire forme di cofinanziamento), inoltre la Corte in varie sentenze ha già interpretato l’art. 81 per giudizi concernenti questioni finanziarie di Regioni ed enti locali.
Premettendo che la “legge sui bilanci” prevista dal novellato art. 81 comma 6 della Carta riguarderà il complesso delle pubbliche amministrazioni, compresi anche gli enti territoriali, il prof. Salerno ha sommariamente enunciato gli aspetti di interesse per le autonomie che saranno contenuti in tale provvedimento. Per quanto riguarda i vincoli sulla spesa, questi dovranno necessariamente gravare anche sulle Regioni ma non in modo eccessivamente dettagliato, per evitare quelle compressioni all’autonomia locale che la Corte ha più volte paventato in varie pronunce (vedasi, al riguardo, la sentenza n. 69 del 2010). Inoltre, l’organismo indipendente che dovrà essere istituito presso le Camere con compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica, nonché di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio, agirà anche nei confronti delle autonomie, pur se non è chiaro il ruolo delle stesse all’interno di tale organo.
In conclusione, il prof. Salerno ha rilevato che quanto esposto dovrà essere valutato pienamente solo dopo che saranno compiute le scelte applicative delle disposizioni di principio indicate all’art. 81 e che troveranno riscontro nella legge sui bilanci prevista dalla legge costituzionale n. 1 del 2012. In particolare, un elemento di criticità potrebbe ravvisarsi nella definizione di limiti e vincoli estesi alle autonomie territoriali senza un loro coinvolgimento nel procedimento di attuazione della riforma, in violazione, pertanto, del principio di leale collaborazione cui dovrebbero informarsi i rapporti tra i vari livelli di governo, specialmente nel delicato settore della finanza pubblica.
La sessione pomeridiana è stata presieduta dal prof. Franco Gallo, vicepresidente della Corte costituzionale.
Nella sua relazione su “La nuova cornice costituzionale delle decisioni di bilancio: economia, istituzioni e forze politiche”, il prof. Paolo De Ioanna ha evidenziato come il “Fiscal Compact”, nonostante si ponga nel solco delle precedenti norme europee in materia di bilancio, contenga importanti elementi innovativi sul piano delle procedure: se la continuità è assicurata sul piano contenutistico, la rottura è dal punto di vista del metodo comunitario, trattandosi di un trattato stipulato al di fuori del diritto dell’Unione europea. La questione di fondo, pertanto, non attiene all’esito del processo di ratifica da parte degli Stati aderenti, bensì al come si possa “suturare” tale strappo: ciò richiede necessariamente l’integrazione, per quanto possibile, delle disposizioni dei Trattati comunitari con quelle del “Fiscal Compact”.
Con riferimento alla riforma introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, l’estremo dettaglio della disciplina prevista dall’art. 5 suscita perplessità, poiché tendono a far venire meno il carattere procedurale che le disposizioni della carta fondamentale dovrebbero avere, intervenendo nei rapporti fra organi e poteri. Il pareggio di bilancio, in sintesi, deve essere inteso in modo flessibile come uno strumento utile per perseguire una stabilità di lungo periodo che, sola, può rendere sostenibile lo stock di debito rispetto all’andamento del reddito nazionale, anziché risolversi in una mera coercizione.
Al riguardo, il prof. De Ioanna ha valutato positivamente sia l’introduzione di una sorta di “loi organique” sul modello francese – poiché rafforza la posizione del Governo, nonché la trasparenza delle procedure parlamentari in materia – sia il passaggio dal doppio binario legge di bilancio-legge finanziaria ad uno strumento unitario di contabilità pubblica (la legge di bilancio, appunto, non più limitata nel suo contenuto dal comma 3 dell’originario art. 81 Cost.), articolato in “missioni” e “programmi” e, pertanto, in grado di fornire una rappresentazione finalistica delle poste contabili ivi inserite.
A conclusione del suo intervento, il prof. De Ioanna ha giudicato necessario un approfondimento in sede europea sul contemperamento tra le istanze di politica economica e quelle più prettamente giuridiche, dando maggiore attenzione al ruolo degli investimenti per i quali sarebbe necessario prevedere un attenuamento della rigida regola del pareggio.
Il cons. Daniele Cabras, in una relazione dal titolo “Il Fiscal Council e l’organo indipendente di cui all’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012”, ha ricordato come il ruolo dell’organismo indipendente presso le Camere, previsto dalla riforma costituzionale, sia basato sull’istituto del “fiscal council” di derivazione Ocse: di questo, peraltro, esistono due modelli, in base all’organo istituzionale presso il quale viene collocato, ossia presso il Parlamento, ovvero il Governo. In particolare, dei 15 organismi che l’Ocse ha ritenuto rientrare in tale categoria, 4 sono di natura parlamentare (peraltro non in Paesi europei: Canada, USA, Corea e Australia; tenuto conto che in Ungheria tale modello ha avuto vita breve) e 11 governativi; in Europa ben 6 organismi indipendenti sono stati istituiti a partire dal 2009, a conferma della crescente esigenza di verificare “ex post” l’effettivo raggiungimento degli obiettivi prefissati, assicurando trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche ed il rispetto delle regole.
Nel concreto, i compiti attribuiti a tali organismi dovrebbero variare dall’effettuazione di previsione macroeconomiche, la verifica del perseguimento del pareggio, nonché la sostenibilità nel tempo di talune tipologie di spesa, in particolare quella pensionistica e sanitaria; non dovrebbero svolgere funzioni di amministrazione in senso proprio, né competenze giurisdizionali, perché il loro apporto deve limitarsi a valutazioni tecnico-scientifiche, anche per favorirne l’imparzialità.
Il cons. Chiara Goretti, nella relazione su “Principio del pareggio del bilancio e procedure parlamentari”, si è soffermata anzitutto sulla valenza del “pareggio strutturale” introdotto nella Carta con la riforma costituzionale in argomento. La logica di tale criterio, volto ad isolare il bilancio dagli effetti del ciclo economico, ha trovato conferme positive nei Paesi che erano arrivati al pareggio delle entrate e delle uscite “strutturali” e che nel 2009, in piena crisi finanziaria, sono stati in grado di far funzionare i c.d. “stabilizzatori automatici”, nonché di porre in essere politiche discrezionali entro l’1% del prodotto interno lordo (vedasi, ad esempio il caso della Svezia).
Più in generale, la ratio del saldo strutturale di bilancio è che il mantenimento del “pareggio” rappresenta un efficace modo per contenere il debito pubblico: se non si accumula nuovo debito, la crescita economica consentirà, pur se lentamente, di ridurre il rapporto tra queste due variabili. Ad esempio, mantenendo il principio del pareggio di bilancio, nel 2043 l’Italia potrebbe raggiungere l’obiettivo di un debito pari al 60% rispetto al prodotto interno lordo.
Secondo il cons. Goretti, le regole fiscali non si configurano come uno strumento per la gestione dell’emergenza, ma sono in grado di operare efficacemente nel medio periodo, motivo per cui è importante focalizzarsi sul “pareggio strutturale” di bilancio che è alla base della riforma costituzionale del 2012. Il grande cambiamento cui si assiste nel sistema di finanza pubblica nazionale sta nella crescente convinzione che le regole debbano funzionare anche – e soprattutto – nelle fasi successive a quella di programmazione della spesa, rendendo pertanto necessario forme di controllo ex post. Questo è il motivo per cui si ritiene sempre più necessario assicurare un monitoraggio efficiente dei conti pubblici, valutando attentamente, tra l’altro, i dati a consuntivo al fine di evitare il problema dei ritardati pagamenti nonché limitando il fenomeno del “riconoscimento del debito”, cui dovrebbe seguire un incremento delle risorse sui capitoli interessato nei bilanci successivi.
Il cons. Raffaele Perna, nello svolgere una relazione su “Costituzione, bilancio ed evoluzione della forma di governo”, ha evidenziato come, a fronte di un basso tasso di riforma delle istituzioni, si riscontri, nei fatti, un forte riformismo in materia contabile.
Richiamando il pensiero di Wicksell, secondo il quale ogni decisione di spesa doveva essere tenuta distinta dalla decisione dal lato delle entrate, il pareggio di bilancio può essere conseguito senza bisogno di una espressa indicazione normativa in tal senso, bensì rendendo trasparente il processo decisionale, creando così le condizioni affinché le tendenze espansionistiche della spesa risultino frenate. La teoria di Wicksell è stata successivamente riadattata da Einaudi nella versione del quarto comma dell’art. 81 approvata dalla Costituente, dopo l’iniziale bocciatura della sua proposta di attribuire al Governo il potere di vietare tout court iniziative parlamentari di spesa ritenute incompatibili con gli equilibri di finanza pubblica. Tuttavia, tale visione di Einaudi risultò sostanzialmente fallimentare: legata a una economia statica ove lo Stato era “minimo”, non poteva certo adeguarsi alle esigenze dello Stato pluriclasse di massa, che avrebbe trovato la sua definitiva affermazione a partire dagli anni ’60.
La riforma n. 468 del 1978 è stata espressione della cultura della programmazione che si era affermata in Italia sin dai primi governi di centro-sinistra negli anni ’60, nonché il primo, organico tentativo di razionalizzare e “procedimentalizzare” la decisione di finanza pubblica. Peraltro, anche in questo caso alla “lettera” delle disposizioni ivi previste non ha corrisposto una prassi applicativa coerente, come testimonia, ad esempio, il fatto che l’art. 1 della legge finanziaria concernente i saldi di bilancio veniva votato alla fine, privando, pertanto, la manovra di finanza pubblica di un riferimento esplicito ai “tetti” in base ai quali conformare le decisioni di entrata e di spesa. Nel corso degli anni ’80, il tema della riforma del bilancio si è intrecciato con quello della governabilità, rendendo necessario modificare alcune parti della legge n. 468 del 1978, come poi effettivamente avvenuto con la legge n. 362 del 1988.
Nel 1994, l’avvento della c.d. “democrazia maggioritaria” si è verificato in parallelo con l’imposizione esterna di vincoli di bilancio, derivante dall’adesione dell’Italia al Trattato di Maastricht del 1992, che ha ridotto i margini di discrezionalità nelle scelte di finanza pubblica e rafforzato, di conseguenza, il ruolo del Governo nelle negoziazioni in sede comunitaria, nonché la connessa responsabilità dei risultati finanziari. Tuttavia, negli anni ’90 è mancato un vero e proprio adeguamento tra la legislazione contabile e la forma di governo, salvo sporadici interventi volti a concentrare in capo all’Esecutivo settori di discrezionalità originariamente devoluti alla competenza del Parlamento (ad esempio, il “decreto taglia-spese” del 2002, d.l. n. 112/2008, ecc.). In tale quadro, la più importante innovazione della forma di governo realizzata negli ultimi decenni è rappresentata proprio dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha ridisegnato il ruolo dell’Esecutivo rafforzandone le prerogative in materia di bilancio.
Esaminando nel merito la riforma del 2012, il cons. Perna ha affrontato i seguenti aspetti: le decisioni incrementali e la “spesa storica”. Con riferimento alle decisioni di spesa incrementali, cioè derivanti da leggi approvate durante l’esercizio finanziario, l’art. 81 comma 4 della Costituzione (ora comma 3) è rimasto invariato. In realtà, la tendenza al pareggio ivi contenuta – nella formula secondo la quale “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte” – è ormai assorbita nel novellato comma 1, dove viene espressamente previsto l’ “equilibrio” dei conti pubblici. In merito alla spesa storica, il cons. Perna ha evidenziato che il problema non è stato ancora risolto del tutto, anche per la forte presenza in bilancio delle spese predeterminate dalle leggi vigenti (c.d. “fattore legislativo”) che costituisce un elemento di rigidità del bilancio stesso.
Dal punto di vista prettamente istituzionale, le recenti evoluzioni in materia di decisione di bilancio rischiano di ridurre ancora di più il ruolo del Parlamento nello specifico settore, nonostante taluni provvedimenti normativi in controtendenza, quale la riforma adottata nel 2007 dal Ministero dell’Economia che, riclassificando le “poste” di bilancio per “missioni” e “programmi”, ha semplificato la struttura del documento contabile con l’obiettivo, tra l’altro, di rivitalizzare il controllo parlamentare. In realtà, i tempi di approvazione in Commissione delle ultime manovre finanziarie, ancora più ridotti rispetto al passato, sembrano mostrare i limiti di una riforma che incide solo sui meccanismi decisionali e non sugli incentivi; più in generale, il Cons. Perna ha sottolineato come persista ancora un pregiudizio che vede la decisione di bilancio come un “gioco a somma zero” tra Governo e Parlamento, mentre in realtà si potrebbe rafforzare il ruolo di entrambi per migliorare il rendimento della politica di bilancio.
Il prof. Gino Scaccia, in una relazione dal titolo “La giustiziabilità dei vincoli costituzionali alle decisioni di bilancio”, ha esaminato la delicata questione relativa a come rendere giustiziabile il vincolo di bilancio espresso nel novellato art. 81 della Carta. La riforma in esame ha fatto emergere una responsabilità giuridica per il raggiungimento del “pareggio”, diversamente dal passato quando la responsabilità era solamente politica, atteneva agli equilibri della forma di governo e, pertanto, risultava difficilmente sindacabile. Peraltro, la giustiziabilità dell’art. 81 originario era già risultata problematica non solo perché il principio del “tendenziale pareggio” desumibile dalla citata disposizione si configurava come un obiettivo politico, ma soprattutto per il fatto che la lesione del quarto comma dell’art. 81 raramente veniva posta al vaglio della Corte in via incidentale.
La nuova formulazione dell’art. 81 ha amplificato questi problemi, tenuto conto, tra l’altro, che la violazione della regola del pareggio può essere sollevata dalla Corte dei conti solamente in sede di controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo – difficilmente realizzabile – nonché nel giudizio di parificazione, che rappresenta il solo caso in cui la Corte dei conti può effettivamente agire, pur se ad esercizio finanziario ormai scaduto e, pertanto, quando ormai gli effetti di bilancio si sono già prodotti. Per rafforzarne l’azione sarebbe pertanto auspicabile attribuire alla Corte dei conti la facoltà di adire direttamente la Corte costituzionale per i provvedimenti normativi ritenuti lesivi dei principi costituzionali in materia di bilancio.
Un altro aspetto di criticità attiene alla difficoltà “tecnica” per la Corte costituzionale di valutare la sussistenza delle fasi avverse del ciclo o degli eventi eccezionali che, ai sensi dell’art. 81, secondo comma, Cost., consentono il ricorso all’indebitamento: secondo il prof. Scaccia, la Corte potrebbe fare riferimento all’art. 3 par. 3 del “Fiscal Compact”, in base al quale per circostanze economiche eccezionali si intende “un evento inconsueto non soggetto al controllo della Parte contraente interessata, che ha un forte impatto sulla posizione finanziaria del governo”. Infine, rimane comunque sottratta al sindacato della Corte costituzionale l’autorizzazione data dalle Camere a maggioranza assoluta per il ricorso all’indebitamento in caso di eventi eccezionali, essendo una delibera bicamerale non legislativa e, pertanto, non impugnabile.
Un’ulteriore questione esaminata dal prof. Scaccia riguarda l’effetto dell’eventuale pronuncia di incostituzionalità delle norme che, violando l’art. 81 della carta fondamentale, hanno determinato un disavanzo di bilancio, per l’indubbia difficoltà di individuare specifiche disposizioni in grado, da sole, di violare l’equilibrio finanziario complessivo. Secondo una parte della dottrina nel caso di specie si configurerebbe l’incostituzionalità del bilancio tout court, che tuttavia il prof. Scaccia ritiene difficilmente percorribile in quanto la legge di bilancio, strettamente connessa all’ordinario funzionamento dell’amministrazione dello Stato, rappresenta l’archetipo della legge costituzionalmente necessaria. Al riguardo, potrebbe essere prevista una sorta di “costituzionalità a termine” del bilancio, tale da consentire l’applicazione nelle more della ridefinizione dell’equilibrio finanziario (come già previsto, peraltro, in Germania ed in Austria).
In conclusione, secondo il prof. Scaccia la piena garanzia giurisdizionale del rispetto del “pareggio” incontra ostacoli invalicabili derivanti, in ultima analisi, dal fatto che le decisioni in materia di finanza pubblica ricadono nell’ambito prettamente politico e, pertanto, sarebbe più opportuno riscoprire l’importanza della partecipazione dei cittadini alla res publica e del connesso controllo democratico nei confronti delle autorità di governo, quale unico, efficace “baluardo” a una inefficiente gestione delle risorse pubbliche.
Il prof. Raffaele Bifulco, in una relazione su “La limitazione costituzionale del debito in prospettiva comparata: Germania”, ha messo a confronto il vincolo del pareggio in Italia e in Germania, evidenziando il maggior dettaglio ma anche, al tempo stesso, la maggiore flessibilità della disciplina dettata dalla legge fondamentale tedesca.
La regola tedesca appare più precisa in quanto viene espressamente indicato il margine dello 0,35% del disavanzo rispetto al prodotto lordo, entro il quale è ammesso il ricorso all’indebitamento da parte dello Stato federale (mentre per i Länder non viene lasciato analogo spazio di manovra), senza vincolarlo alle spese di investimento e senza che debbano ricorrere esplicite situazioni di deroga al “pareggio”. Oltre al suddetto limite dello 0,35%, la Costituzione tedesca, riprendendo la normativa europea, ha previsto talune deroghe che possono giustificare la temporanea violazione del vincolo di bilancio. In caso di andamenti congiunturali che deviano dalla normalità, si deve tener conto in modo simmetrico degli effetti sul bilancio sia nelle fasi di ripresa che in quelle di declino. Altra eccezione riguarda il caso di calamità naturali o situazioni eccezionali di emergenza, che esulano dal controllo dello Stato e che compromettono gravemente la sua capacità finanziaria: in tal caso è prevista una decisione da parte del Bundestag, adottata a maggioranza, nonché la presentazione di un piano di ammortamento per il rientro, nel medio termine, del debito così contratto.
Ulteriore, specifica deroga alla regola del pareggio di bilancio riguarda i cinque Länder di Berlin, Bremen, Saar, Sachsen-Anhalt e Schleswig-Holstein, per i quali viene prevista la possibilità di destinare loro aiuti di consolidamento tra il 2011 e 2019 per un importo pari a 800 milioni di euro. Tuttavia tali finanziamenti potranno essere elargiti dallo Stato federale previa adozione di misure annuali di riduzione dei rispettivi “deficit” fino a giungere al loro totale azzeramento entro il 2020, con il vincolo – altresì – di non potersi cumulare agli aiuti previsti in casi di emergenza finanziaria.
In conclusione, la riforma tedesca, specie nei contenuti riferiti al bilancio dello Stato federale, appare meno “restrittiva” rispetto a quella tratteggiata dal legislatore costituente italiano, tanto da far prefigurare, secondo il prof. Bifulco, una specie di “astuzia della storia” per un Paese in prima linea nell’imporre rigide regole di bilancio ai Paesi aderenti all’unione monetaria che però cerca di preservare, al proprio interno, apprezzabili meccanismi di flessibilità.
A chiusura dell’incontro, ha svolto la sua relazione su “La limitazione costituzionale del debito in prospettiva comparata: Francia, Spagna e Grecia” la prof.ssa Melina Decaro, la quale, richiamando all’inizio del suo intervento una recente dichiarazione della Cancelliera tedesca Angela Merkel, ha posto l’attenzione sul fatto che non solo il diritto europeo non è più parte del diritto internazionale, ma soprattutto che bisogna superare la distinzione tra il metodo comunitario e quello intergovernativo, in nome di un “metodo europeo” necessario per affrontare l’attuale crisi finanziaria.
La Francia e la Spagna hanno consentito integrazioni delle proprie “Costituzioni economiche” ispirate al diritto europeo. Nella riforma della Costituzione d’Oltralpe, avvenuta nel 2008, le funzioni del parlamento francese sono state ridefinite, rafforzando quella di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche (tipico della cultura europea, ma non della cultura italiana). In un’ottica comparata, si assiste ad un fenomeno di pluralizzazione delle fonti, di cui è espressione il crescente ricorso alle leggi organiche da parte di vari Stati europei, specie in materia di decisione di bilancio, come nel caso della legge quadro di equilibrio finanziario recentemente introdotta in Francia.
Con riferimento al ruolo del Governo, secondo la prof.ssa Decaro, sull’azione dell’esecutivo incide l’attività del Parlamento, deputato al controllo dei conti pubblici, nonché il ruolo delle Corti tra le quali si potrà a breve ricomprendere anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea, specie allorquando il “Fiscal Compact” entrerà a pieno titolo nel diritto comunitario.