VERIFICA DELL'ANOMALIA DELL'OFFERTA ED ONERE DI MOTIVAZIONE (Consiglio di Stato, Sezione Terza, 11 aprile 2012, n. 2073)

04.05.2012

Cons. Stato, Sez. III, n. 2073 del 2012 

La sentenza che si segnala consente di formulare  alcune considerazioni in ordine al procedimento di verifica dell’offerta anormalmente bassa, con particolare riferimento alla sussistenza (o meno) di un onere di motivazione dettagliata in capo alla stazione appaltante, nonché al rilievo che nell’ambito di verifica assume il profilo dell’utile che l’operatore dichiara di conseguire per effetto dell’aggiudicazione dell’appalto.

Nel corso di un procedura ristretta per l’affidamento del servizio di ristorazione da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, veniva individuata quale migliore offerta quella di un operatore che si era impegnato a fornire condizioni ritenute anormalmente basse. A conclusione del procedimento disciplinato dagli artt. 86 e seguenti del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i., tuttavia, la stazione appaltante aveva ritenuto valide le giustificazioni offerte e, per l’effetto, disposto l’aggiudicazione della gara. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso l’operatore secondo classificato il quale contestava, da un lato, l’insufficienza della motivazione esposta dalla stazione appaltante; dall’altro, l’illogicità delle giustificazioni. Il TAR, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto sufficiente la motivazione per relationem utilizzata dalla stazione appaltante per giustificare il giudizio finale di congruità ed ha altresì considerato immuni da vizi logici le giustificazioni fornite.

Con l’appello promosso dinanzi al Consiglio di Stato la sentenza è stata fatta oggetto di contestazione nella parte in cui sarebbe stato assunto a parametro di riferimento un costo medio orario per la manodopera sbagliato, non avrebbe tenuto in debita considerazione alcuni profili necessari per valutare la fondatezza delle giustificazioni, né, infine, avrebbe rilevato l’eccessiva esiguità dell’utile dichiarato dalla aggiudicataria appellata.

In via preliminare, il Collegio ricorda l’orientamento espresso dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici – AVCP nella determinazione n. 6 datata 8 luglio 2009 in relazione alla finalità perseguita con l’introduzione della verifica di anomalia delle offerte tendente a “evitare che offerte troppo basse espongano l’amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi” e, ciò, perché occorre “aggiudicare l’appalto a soggetti che abbiano presentato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all’insieme dei costi, rischi ed oneri che l’esecuzione della prestazione comporta a carico dell’appaltatore con l’aggiunta del normale utile d’impresa affinché la stessa possa rimanere sul mercato”. In altri termini, secondo l’AVCP bisogna “contemperare l’interesse del concorrente a conseguire l’aggiudicazione formulando un’offerta competitiva con quello della stazione appaltante ad aggiudicare al minor costo senza rinunciare a standard adeguati ed al rispetto dei tempi e dei costi contrattuali”.

Sempre in via preliminare, nella sentenza vengono ricordati i due orientamenti di massima invalsi in giurisprudenza con riguardo al grado di motivazione richiesto nei subprocedimenti di verifica dell’anomalia. Un primo orientamento prevalente riconosce che la motivazione può essere meno accurata nel caso in cui l’approfondimento abbia dato esito positivo, ossia abbia escluso l’anomalia, sussistendo per converso un onere di motivazione rafforzato nel caso di verifica negativa. Secondo tale orientamento, la motivazione in ogni caso non può mai essere nella sostanza del tutto obliterata, ma può consistere nel richiamo alle giustificazioni fornite dal concorrente, purché le stesse risultino complete ed esaustive (cfr., per tutte, Cons. st., sez. VI, n. 3902/2011 e 5191/2006).

In base ad altro (e minoritario) orientamento, l’obbligo di esauriente sussiste in ogni caso, ossia a prescindere dall’esito della verifica. Tale conclusione si fonderebbe sia sull’obbligo generale di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sia sulla particolare tutela assicurata nella disciplina sugli appalti alla par condicio tra operatori (Cons. St., sez. IV, n. 1231/2005).
Secondo la Sezione Terza, tuttavia, la questione va risulta secondo una prospettiva in parte diversa, in quanto “il problema della sufficienza o insufficienza della motivazione dell’atto con cui si accettano le giustificazioni si pone in termini notevolmente diversi a seconda del grado e del tipo di anomalia che abbia dato motivo alla verifica dell’offerta”.

Nel caso in cui, ad esempio “l’offerta migliore abbia riportato un punteggio non inferiore ai quattro quinti del massimo tanto per l’aspetto tecnico quanto per l’aspetto economico, ma senza alcun altro indizio oggettivo di anomalia” non appare necessaria “una motivazione particolarmente approfondita”, tanto che “in un caso del genere, non si dovrebbe neppure parlare di offerta sospetta di anomalia, bensì solo di verifica imposta per legge”.

Diversamente, quando l’offerta presenta indici oggettivi ed evidenti di anomalia è richiesto uno scrutinio ben più approfondito, con onere di motivazione altrettanto rafforzato, “a maggior ragione poi se le giustificazioni che vengono date si presentano a loro volta come tali da sollevare altri dubbi piuttosto che risolverli”. E’ evidente, infatti, come in siffatte ipotesi “una motivazione del tutto assente o gravemente lacunosa non solo impedisce al giudice di ricostruire l’iter logico che ha guidato l’amministrazione nella sua scelta, ma pregiudica anche la stessa possibilità di verificare l’attendibilità delle valutazioni tecniche effettuate sotto il profilo della loro correttezza”, indipendentemente dall’esito concreto della verifica.

Operata questa necessaria premessa, il Collegio ha ritenuto che nella fattispecie controversa non potesse “ritenersi che le giustificazioni fornite dalla concorrente sottoposta alla verifica di anomalia fossero davvero complete ed esaustive, tanto da giustificare, in ipotesi, una motivazione (solo) per relationem” e, ciò, con particolare riferimento al profilo delle giustificazioni offerte in relazione all’utile di impresa.

Pur senza disconoscere l’orientamento giurisprudenziale prevalente a tenore del quale “un utile di impresa esiguo non denota di per sé l’inaffidabilità dell’offerta economica (v. Cons. St., sez. IV, n. 882/2002; TAR Lazio, sez. III, n. 7338/2004; TAR Lazio, sez. I-bis, n. 6200/2006), è altrettanto vero che, secondo l’opinione generale, l’utile non può ridursi ad una cifra meramente simbolica”.

Ed invero, secondo la Sezione Terza, “gli appalti debbono pur sempre essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, ritenendosi che le acquisizioni in perdita porterebbero gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso”. D’altra parte, uno degli obiettivi cardine della disciplina sugli appalti pubblici è quello di assicurare che attraverso la procedura ad evidenza pubblica venga individuato un contraente privato sul quale l’Amministrazione possa riporre  un ragionevole affidamento quanto alla regolare esecuzione de contratto. Proprio per tale ragione, nelle procedure di gara è legittimo che prevalga l’interesse della stazione appaltante rispetto a quello dell’impresa ad eseguire persino in perdita un contratto ma al solo fine di “acquisire esperienza professionale e fatturato da utilizzare in vista della partecipazione a futuri appalti (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. II, n. 1398/2007; TAR Piemonte, sez. II, n. 2217/2007)”.

Pur nella consapevolezza che “in astratto qualunque soglia minima fissata convenzionalmente in modo troppo rigido potrebbe essere opinabile …”, il Collegio non esita ad affermare come “appare tuttavia incontrovertibile, nel caso concreto in esame, che la misura indicata … – pari ad appena 15.000,00 euro per l’intero triennio, rapportati ad un appalto la cui base d’asta era di euro 2.451.843,03 – sollevi più di qualche dubbio sull’affidabilità della sua offerta economica”, imponendo comunque “almeno in questo caso una motivazione più accurata da parte della stazione appaltante”.

Non solo. La Sezione Terza prosegue nel suo ragionamento rilevando come, anche a voler ammettere in tesi la legittimità di offerte “a zero” o sostanzialmente in perdita, la stazione appaltante dovrebbe in ogni caso verificare se una simile scelta sia ragionevole e, pertanto, accettabile in considerazione degli “altri elementi del quadro economico” che non devono risultare “a loro volta squilibrati e fuori mercato”.

Qualora emergesse, come nella vicenda controversa, che “l’impresa ha dovuto sottostimare varie altre componenti di spesa” (come, per esempio, il costo medio del lavoro che si discosta dalle tabelle ministeriali), si dovrebbe senza meno ritenere l’offerta come anomala. Ed invero, se anche il costo medio risulta moderatamente inferiore ai minimi, tale aspetto non può essere valutato in concreto disgiuntamente dalla scelta dell’impresa di rinunciare all’utile derivante dall’esecuzione del contratto. Considerazioni analoghe valgono anche in ordine altre voci di costo, essendo sempre necessario secondo il Consiglio di Stato un esame unitario dell’offerta e dell’incidenza delle singole componenti sulla sostenibilità dell’offerta nel suo complesso.

Filippo Degni