Carlo Di Marco, Democrazia autonomie locali e partecipazione fra diritto, società e nuovi scenari transnazionali, Cedam, Padova, 2009.

10.05.2011

1. Il volume di Carlo Di Marco si pone l’obiettivo di indagare il ruolo delle autonomie locali nella realizzazione della democrazia partecipativa, la quale consiste – rielaborando una felice definizione di Umberto Allegretti – in un variegato complesso di meccanismi di relazionamento della società con le istituzioni attraverso l’intervento diretto dell’una nei processi decisionali facenti capo alle altre. Esso, pertanto, si inscrive in un filone di studi coltivato con interesse crescente dalla dottrina giuspubblicistica, nella consapevolezza delle insufficienze ascrivibili al tradizionale modello della rappresentanza politica e della necessità di superare le equivoche concezioni inclini a risolvere nel momento elettorale, cui si affianca al più la mediazione partitica, l’essenza stessa della democrazia. Dal punto di vista metodologico l’opera che si recensisce esibisce due caratteristiche salienti. In primo luogo, emerge una spiccata propensione interdisciplinare che consente all’autore, seppure nel quadro di un’analisi dal taglio prevalentemente giuridico, di avvalersi degli apporti provenienti da altre scienze sociali, come la politologia, la dottrina dello stato, la storia delle dottrine politiche e la storia delle istituzioni politiche. In secondo luogo, la trattazione segue un andamento dal generale al particolare; Di Marco non si limita, cioè, alla disamina dei principali istituti partecipativi praticati a livello locale, ma tenta anzitutto di rinvenirne il fondamento, anche costituzionale, confrontandosi con le numerose e complesse questioni teoriche che tale scelta inevitabilmente comporta. Proprio alla stregua dell’osservazione da ultimo formulata si spiega in larga misura la struttura del lavoro che – premessi cenni introduttivi attorno alle nozioni di democrazia, sovranità popolare e partecipazione – si articola in due parti, concernenti rispettivamente il rapporto tra democrazia e autonomie locali e la democrazia partecipativa; seguono alcune considerazioni conclusive ove sono illustrati i risultati della riflessione.

2. Nelle note introduttive Di Marco sottolinea che la democrazia partecipativa non mira a sostituirsi a quella rappresentativa, né ad essa semplicemente si giustappone. Tra i due modelli, infatti, intercorre un rapporto di integrazione, nel senso che “Gli eletti, da governatori diventano facilitatori della partecipazione, e questa si manifesta come novello strumento della presenza del sovrano nelle pubbliche decisioni” (p. XXXVIII). Con specifico riguardo all’ordinamento italiano, la dimensione partecipativa trae origine da un’interpretazione del concetto di sovranità popolare alla luce del sistema costituzionale dei diritti riguardato in un’ottica promozionale e non puramente difensiva. In base a siffatta impostazione, l’intervento del popolo non è conchiuso entro i confini del diritto di voto e degli altri diritti politici, ma si dispiega in una pluralità di direzioni corrispondenti alle svariate posizioni giuridiche soggettive che la Carta repubblicana attribuisce ai consociati; sicché la figura dell’uomo elettore, “privo dei diritti di cittadinanza almeno per il tempo di una legislatura” (p. XL), cede il passo a quella dell’uomo individuo, il quale “contribuisce al formarsi – in virtù della massimizzazione delle libertà di pensiero, associazione, riunione, insegnamento etc. – di una molteplicità di momenti di controllo diffuso che sostanziano la sovranità popolare” (p. XLI). Coerentemente, osserva l’autore, l’art. 3, comma 2 Cost. assume tra i fini della repubblica la garanzia dell’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese, così ponendo le premesse per una ricostruzione dei diritti di partecipazione in chiave di diritti a prestazioni (come recentemente sostenuto da A. Valastro).   

3. Già nelle considerazioni introduttive è possibile rinvenire alcuni spunti in ordine al nesso tra democrazia e autonomie locali (pp. XXXVI-XXXVII, nonché pp. XLIV ss.). Tuttavia il tema è sviluppato compiutamente nei quattro capitoli che compongono la prima parte del volume, ove la propensione di Di Marco all’interdisciplinarietà si manifesta con maggiore evidenza. Sul piano storico egli rievoca alcune esperienze costituzionali a cavallo tra le rivoluzioni borghesi e il primo dopoguerra (pp. 3 ss.), rimarcando che l’autonomia è tanto più salda quanto più forte è il riconoscimento dei diritti (p. 4). Sul terreno del pensiero politico il riferimento è soprattutto alla riflessione di Tocqueville (pp. 43 ss.) che vede nelle società intermedie (ivi compreso il comune) e nella partecipazione associativa un baluardo contro il dispotismo democratico. Infine, sotto il profilo dell’analisi giuridica, l’autore, in linea di continuità con un consolidato indirizzo dottrinale (C. Esposito, F. Benvenuti, G. Berti, G.C. De Martin, F. Pizzetti, A. Pubusa), valorizza la scelta del costituente italiano di annoverare il principio autonomistico tra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ed opera un’interpretazione sistematica dell’art. 5 Cost. in combinato con gli art. 2 e 1 (pp. 48 ss). Di conseguenza, le autonomie non vanno intese solo “come organizzazioni dotate di pubblici poteri”, ma prima ancora come formazioni sociali all’interno delle quali devono essere garantiti i diritti inviolabili dell’uomo; inoltre, se le autonomie rappresentano una forma di esercizio della sovranità popolare – e questa consiste, secondo quanto in precedenza riferito, in un complesso di poteri partecipativi riconducibili alle posizioni soggettive riconosciute ai consociati – il cittadino si caratterizza per una posizione di libertà positiva anche nei confronti dell’ente locale di appartenenza.

4. In definitiva, lo schema teorico della democrazia partecipativa appare pienamente applicabile nel contesto dei governi locali. Per potersi affermare concretamente esso però esige che alle comunità territoriali sia attribuita la massima libertà possibile (p. 52), di talché l’impegno della repubblica al promovimento dell’autonomia diviene condizione imprescindibile “per la tutela dei cittadini nelle collettività locali e per l’esercizio del diritto di partecipazione” (p. 55). Ecco perché Di Marco, opportunamente, volge lo sguardo all’effettività con l’obiettivo di accertare se le avanzate indicazioni provenienti dalla prima parte della Carta fondamentale trovino riscontro nella realtà. In questa prospettiva l’autore, dopo aver ripercorso le difficoltà che hanno accompagnato la realizzazione del programma autonomistico contenuto nella Costituzione, si sofferma sulla riforma del titolo V (pp. 103 ss.), osservando criticamente che la pretesa equiordinazione dei soggetti costitutivi della repubblica (art. 114, comma 1 Cost.) è formula dotata di forza meramente dichiarativa e non scalfisce la supremazia dello stato (p. 105). A conferma della validità di simili assunti viene addotto l’esempio degli statuti locali i quali, ancorché previsti espressamente dalla Costituzione proprio in esito alla revisione del 2001, non si emanciperebbero da una condizione di subprimarietà e continuerebbero a collocarsi, come per l’innanzi, a metà strada tra fonti primarie e secondarie (p. 107). Le conclusioni cui Di Marco perviene non sembrano, tuttavia, incontrovertibili. Come è stato sostenuto subito dopo l’entrata in vigore della l.c. 3/2001, il principio del pluralismo istituzionale paritario, se da un lato stenta a tradursi in un sollen specifico, dall’altro offre la cifra complessiva della riforma (M. Olivetti) e chiama l’interprete a ricostruire il nuovo ordinamento costituzionale delle autonomie nel segno del massimo favor per le istituzioni infraregionali anche sul versante dei poteri normativi. Si profila, pertanto, l’opzione del sistema italiano per un assetto policentrico (G.C. De Martin) nel quale le relazioni tra gli enti territoriali non possono essere configurate in termini gerarchici. Significativamente la stessa Corte costituzionale, pur nel quadro di indirizzi non sempre del tutto sensibili alle ragioni delle autonomie, ha avuto modo di riconnettere all’art. 114 Cost. l’importante effetto di svelare la comune derivazione dello stato e degli enti locali dal principio democratico e dalla sovranità popolare (sent. 106/2002).

Un ulteriore aspetto da mettere in risalto è che Di Marco, nell’approccio al nuovo titolo V, si sofferma, oltre che sul principio del pluralismo istituzionale paritario e sulla potestà statutaria locale, sul cosiddetto federalismo fiscale (pp. 128 ss.), ma non sviluppa, al di là di qualche rapido cenno (pp. 35-36), i profili dell’amministrazione e della sussidiarietà; tutto questo benché la dottrina abbia rilevato come quest’ultima, fondandosi sulla preferenza per i livelli di governo più vicini agli interessati, rafforzi la partecipazione dei cittadini all’elaborazione delle decisioni che li riguardano e al controllo delle istanze che li rappresentano (A. D’Atena). A prima vista, la scelta parrebbe giustificarsi in considerazione del fatto che le logiche della sussidiarietà, specie orizzontale, non sono pienamente sovrapponibili a quelle della democrazia partecipativa (U. Allegretti); cionondimeno un maggiore approfondimento sarebbe stato auspicabile, sia per evidenziare le differenze tra i due concetti, sia perché il principio di sussidiarietà mira a sua volta ad una ricomposizione del rapporto tra poteri pubblici e società non limitato al solo momento elettorale.

 5. Esauriti i profili di diritto interno, il fuoco dell’indagine si sposta sulle conseguenze discendenti dalla globalizzazione e dall’integrazione sovranazionale che, in effetti, accentuano la crisi delle istituzioni rappresentative statuali e determinano nuove esigenze partecipative a partire dalle comunità locali, nelle quali più forte è il radicamento dei bisogni e degli interessi. In quest’ottica Di Marco dà conto, sul fronte internazionale, della conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e di alcune tappe successive, ove i temi della democrazia, della partecipazione e dell’autonomia si intrecciano con quelli della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile (pp. 152 ss.). Per quanto riguarda il vecchio continente, l’autore ricostruisce anzitutto l’esperienza del Consiglio d’Europa, esaminando la Carta europea dell’autonomia locale e le modifiche strutturali che la predetta organizzazione ha subito nella prospettiva della valorizzazione delle istituzioni territoriali infrastatuali (pp. 167 ss.); subito di seguito egli si dedica all’ordinamento comunitario rievocando il libro bianco sulla governance europea del 2001, la relazione della Commissione sulla governance europea del 2003 e il Trattato costituzionale del 2004 (pp. 184 ss.). Proprio con riferimento all’integrazione europea si rendono però necessarie talune aggiunte. Si deve infatti osservare che, a far data dal Trattato di Maastricht e parallelamente all’introduzione del principio di sussidiarietà, l’architettura istituzionale dell’unione  si è arricchita di un organo, il Comitato delle regioni, chiamato a rappresentare le posizioni dei governi locali all’interno dei processi decisionali comunitari. D’altronde, per effetto delle innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona, l’art. 10 del TUE, pur ribadendo l’opzione di fondo per un sistema rappresentativo, attribuisce il diritto di partecipare alla vita democratica dell’unione a tutti i cittadini e statuisce che le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai medesimi; mentre il protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità esige che le consultazioni effettuate dalla Commissione prima di proporre un atto legislativo tengano conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste.

6. La seconda parte del volume ha ad oggetto la democrazia partecipativa in ambito locale. Nel primo capitolo Di Marco risponde positivamente alla domanda se la partecipazione possa diventare strumento di controllo delle istanze rappresentative fino a prefigurare un tipo di rapporto tra poteri locali e cittadini imperniato sull’intervento diretto di questi ultimi. In particolare, la partecipazione inerisce al controllo di legittimità perché la violazione delle norme giuridiche che eventualmente la prevedano si traduce nell’invalidità dell’atto assunto; in questa ipotesi la misura sanzionatoria non si esaurisce nell’annullamento, potendo consistere anche nell’attivazione di ulteriori strumenti partecipativi (referendum, petizioni, ecc.) volti a stimolare la revoca o la riforma della decisione in via di autotutela (pp. 235-237). Ma essa integra altresì una nuova forma di controllo di merito, dal momento che la scelta delle amministrazioni locali di discostarsene può comunque essere fatta valere sia pure in sede elettorale e, pertanto, extragiuridica (pp. 237-241). Al riguardo si potrebbe obiettare che la configurazione della partecipazione in termini di controllo di merito non assume autonoma portata concettuale rispetto alla nozione di responsabilità politica, tradizionale corollario della teoria della rappresentanza; come sottolinea l’autore, però, la spiegazione sta ancora una volta nel fatto che la democrazia partecipativa non vuole sostituirsi a quella rappresentativa, ma rinvigorirne, per dir così, i meccanismi di funzionamento.

Nel secondo capitolo sono passati in rassegna gli istituti partecipativi previsti a livello locale, i quali hanno lungamente stentato ad affermarsi per via dell’inattuazione legislativa dei principi costituzionali sull’autonomia (pp. 211 ss). Profondi cambiamenti si determinano dapprima negli anni settanta, specie attraverso i consigli di quartiere, e successivamente con la l. 142/1990 (pp. 257 ss). E proprio alla disamina degli strumenti introdotti dalla legge di riforma dell’ordinamento comunale e provinciale Di Marco si dedica diffusamente, senza trascurare figure di più recente conio come il bilancio partecipativo (che però l’autore richiama con esclusivo riguardo all’esperienza di Porto Alegre, omettendo riferimenti alle ormai numerose applicazioni che esso conosce anche nel nostro paese, pp. 305 ss.).

 7. In conclusione, Di Marco offre certamente spunti significativi su un tema di grande attualità e complessità. Egli risulta efficace nel mettere in luce l’ampiezza degli orizzonti partecipativi inscritti nella Costituzione repubblicana e il ruolo cruciale degli enti locali anche in prospettiva globale ed europea. Restano però nell’ombra i nodi problematici riconducibili alla partecipazione. Nell’impossibilità di affrontare con la dovuta ampiezza l’argomento, ci si limita in questa sede ad evocare un aspetto che maggiormente si connette all’impostazione del volume, consistente nelle ricadute ambivalenti che la democrazia partecipativa è in grado di produrre sul sistema dei diritti di libertà. La questione si pone soprattutto qualora questi ultimi siano ricostruiti, secondo un’impostazione assai ricorrente ma non incontestata, alla stregua di pretese all’astensione da contegni di disturbo opponibili erga omnes, con la conseguenza che per l’ordinamento è indifferente che il titolare assuma un comportamento attivo o inerte. Ora, sembra possibile affermare che la democrazia partecipativa è suscettibile di alterare l’equilibrio tra profilo attivo e negativo delle libertà perché, da un lato, ne stimola l’esercizio allo scopo di incidere su decisioni politiche generali destinate a ricadere anche nella sfera dei non partecipanti; dall’altro, e proprio per questo, accresce i “costi” della mancata partecipazione. Si tratta allora di precisare a quali condizioni siffatti costi siano tollerabili. Chi scrive ritiene che la soluzione debba essere individuata nell’irrinunciabilità del ruolo di una rappresentanza politica che agisca nella selezione degli interessi pubblici senza vincolo di mandato. L’impossibilità di abbandonare il modello rappresentativo, sulla quale Di Marco conviene largamente, non discende dunque solo dalla complessità delle società contemporanee, ma si collega alla necessità di tutelare quelle stesse posizioni soggettive che pure rappresentano, per l’autore, il fondamento della democrazia partecipativa.       

recensione di Marco Di Folco