Corte di Giustizia, sentenza 16 luglio 2009, in causa C-254/08 – Gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità in merito alla determinazione delle modalità di calcolo della tassa sui rifiuti

26.07.2009

Corte di Giustizia, sentenza 16 luglio 2009, in tema di mancata ripartizione dei costi dello smaltimento dei rifiuti in funzione della loro effettiva produzione, compatibilità con il principio “chi inquina paga” (causa C-254/08 Futura Immobiliare, Hotel Blanc ed altri, c/ Comune di Casoria).

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 15, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti e, in particolare, al cosiddetto principio “chi inquina paga”. Tale domanda é stata presentata nell’ambito di una controversia tra alcune società alberghiere e il Comune di Casoria in ordine alla determinazione delle tariffe della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni dovuta da tali società per gli anni 2006 e 2007.
In virtù del sesto considerando della direttiva, ai fini di un’elevata protezione dell’ambiente è necessario che gli Stati membri, oltre a provvedere in modo responsabile allo smaltimento e al recupero dei rifiuti, adottino misure intese a limitare la formazione dei rifiuti promuovendo in particolare le tecnologie “pulite” e i prodotti riciclabili e riutilizzabili, tenuto conto delle attuali e potenziali possibilità del mercato per i rifiuti recuperati. La parte dei costi non coperta, invece, dal recupero dei rifiuti dovrebbe essere ripartita secondo il principio “chi inquina paga”.
Con la questione pregiudiziale il giudice a quo chiede se l’art. 15 della direttiva debba essere interpretata nel senso che il costo sostenuto dal detentore dei rifiuti, che li conferisce ai fini del loro smaltimento, debba essere proporzionato alla quantità di rifiuti effettivamente conferita.
In forza dell’art. 8 della direttiva 2006/12, ogni detentore di rifiuti è tenuto a consegnarli ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua tali operazioni, oppure a provvedere egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva stessa. Pertanto, in una situazione come quella su cui verte la causa principale, in cui i detentori di rifiuti li consegnano ad un raccoglitore, l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12 stabilisce che, conformemente al principio “chi inquina paga”, il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto dai detentori dei medesimi a motivo del loro contributo alla produzione dei rifiuti.
Come ha rilevato la Commissione nelle sue osservazioni, allo stato attuale del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità. Sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12.
In relazione alla differenziazione tributaria lamentata dalle aziende alberghiere rispetto ai privati, la Corte afferma che essa non deve andare al di là di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di finanziamento. Spetta pertanto al giudice a quo accertare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto che gli sono stati sottoposti, se la tassa sui rifiuti su cui verte la causa principale non comporti che taluni detentori, nel caso di specie le aziende alberghiere, non si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili.

a cura di Ileana Boccuzzi