Corte di Giustizia, sentenza 26 marzo 2009, in tema di inadempimento di uno Stato, statuti di imprese privatizzate, criteri di esercizio dei poteri speciali dello Stato

09.04.2009

(C-326/07, Commissione della Comunità europea c/ Repubblica italiana).

La sentenza in esame si pone a seguito del ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione nei confronti dell’Italia, con cui la Corte di Giustizia stabilisce che lo Stato convenuto è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 43 e 56 del Trattato CE, concernenti la libertà di stabilimento il primo, e la libera circolazione di capitali il secondo. L’inadempimento si è verificato in virtù dell’adozione delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 giugno 2004 (recante la definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali di cui all’art. 2 del D.L. 31 maggio 1994, n. 332, conv., con modifiche, nella L. 30 luglio 1994, n. 474, in tema di accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni), nella misura in cui le predette disposizioni si applicano ai poteri speciali, attribuiti al Ministro dell’economia e delle finanze, previsti dall’art. 2, comma 1, lett. a), b) e c) del citato decreto legge (come successivamente modificato dalla L. n. 350/2003), con riguardo a determinate clausole inserite negli statuti di talune imprese privatizzate ed inerenti, in particolare, l’opposizione all’assunzione, da parte degli investitori, di partecipazioni che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto, l’opposizione alla conclusione di patti o accordi tra azionisti che rappresentino almeno il 5% dei diritti di voto ed il veto all’adozione delle delibere di scioglimento, trasferimento, fusione, scissione di tali società.
La Corte ha osservato che il decreto del 2004 non può ritenersi compatibile con la normativa comunitaria, perché, in primo luogo, non contiene elementi precisi in ordine alle circostanze concrete in cui può essere esercitato il potere di veto riguardo ad aspetti importanti della gestione della società, non rispettando, altresì, il principio di proporzionalità; in secondo luogo, perché non risultano fondati i relativi criteri sulla base di condizioni oggettive e controllabili, con la conseguenza che le situazioni che consentono l’esercizio di tale potere sono potenzialmente numerose, indeterminate e indeterminabili, tali da lasciare alle autorità italiane un ampio potere discrezionale.
Quindi, sebbene il potere di veto possa essere esercitato soltanto in situazioni di pericolo grave ed effettivo o di emergenze sanitarie, a norma dell’art. 1, comma 2, di detto decreto, e nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 1, comma 1, di questo stesso testo, ossia segnatamente per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica e di difesa, in mancanza di precisazioni sulle circostanze concrete che consentono di esercitare il potere in parola, gli investitori non sanno quando tale potere di veto possa trovare applicazione.


a cura di Ileana Boccuzzi