Uno Stato membro non può rifiutarsi di riconoscere il cognome di un figlio così come è stato registrato in un altro Stato

14.11.2008

Corte di Giustizia, sentenza 14 ottobre 2008, in tema di diritto di circolazione e soggiorno nel territorio degli altri Stati membri, diritto internazionale privato in materia di cognomi, collegamento, ai fini della determinazione della legge applicabile alla sola cittadinanza (causa C- 353/06 Stefan Grunkin, Regina Paul, Standesamt Niebull).

La domanda pregiudiziale, oggetto della sentenza, è volta all’interpretazione degli articoli 12 e 18 del Trattato CE (divieto di discriminazione in base alla cittadinanza e libertà di circolazione) nell’ambito di una controversia tra i due genitori ricorrenti e l’Ufficio dello stato civile della città di Niebull (Germania), in merito al rifiuto da parte di quest’ultimo di riconoscere il cognome del figlio, avente cittadinanza tedesca, così come è stato determinato e registrato in Danimarca, ove è nato e risiede sin dalla nascita.
In forza dell’articolo 10 delle disposizioni preliminari al codice civile tedesco, il cognome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui essa possiede la cittadinanza e il diritto tedesco non consente a un figlio di portare un doppio cognome composto da quello del padre e da quello della madre. Il giudice del rinvio constata che non è possibile ingiungere all’Ufficio dello stato civile di iscrivere un cognome non ammesso in base al diritto tedesco, ma nutre dubbi in merito alla compatibilità con il diritto comunitario del fatto che un cittadino dell’Unione sia costretto a portare un cognome diverso in diversi Stati membri alla luce del divieto di discriminazione e della libertà di circolazione garantita ad ogni cittadino dell’Unione.
La Corte adita risponde che, sebbene allo stato attuale le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono rispettare il diritto comunitario, a meno che non si tratti di una situazione interna che non presenta alcun collegamento col diritto comunitario. La Corte aveva già dichiarato che un siffatto collegamento con il diritto comunitario esiste nel caso di figli che siano cittadini di uno Stato membro e al contempo soggiornino legalmente nel territorio di un altro Stato membro.
Il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 TCE a causa dei seri e concreti inconvenienti che si possono presentare nella vita quotidiana. Il collegamento della determinazione del cognome di una persona alla cittadinanza è inteso a garantire un criterio oggettivo di determinazione del cognome in modo certo e continuo, l’unicità del cognome nell’ambito della fratria e a far sì che tutte le persone che possiedono la medesima cittadinanza siano trattate allo stesso modo; secondo la Corte siffatti motivi non meritano di essere considerati talmente importanti da giustificare che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio così come registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio è nato e risiede dalla nascita. Escludendo la possibilità di incorrere in discriminazione in base alla cittadinanza, la Corte dichiara che l’art. 18 TCE osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di conoscere il cognome di un figlio così come è stato registrato in un altro Stato membro.

a cura di Ileana Boccuzzi