Un regolamento CE attuativo di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è di per sé sottratto al sindacato giurisdizionale

03.11.2008

Corte di giustizia, Sentenza 3 settembre 2008 (cause riunite C- 402/05 e C- 415/05, Kadi e Al Barakaat International Foundation c/ Consiglio dell’Unione europea e altri).

La sentenza in esame, pronunciata dalla Corte di Giustizia, interviene dopo due anni dalla sentenza del Tribunale di Primo grado che aveva respinto i ricorsi d’annullamento proposti avverso il regolamento CE del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, in forza del quale misure restrittive venivano imposte nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama Bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani, oltre al congelamento dei loro capitali. Tale regolamento comunitario si poneva come attuazione degli obblighi della Comunità nei confronti delle decisioni del Consiglio di Sicurezza che, in virtù del suo ruolo di responsabile principale del perseguimento della pace e sicurezza internazionale, aveva disposto una serie di misure restrittive contro i responsabili della rete terroristica mediante lo strumento della risoluzione.
Davanti alla Corte le parti argomentano tre motivi di censura della sentenza emanata dal Tribunale:
a) il fondamento normativo del regolamento controverso;
b) la violazione dell’art. 249 CE;
c) la violazione da parte del regolamento di taluni diritti fondamentali quali il diritto al contraddittorio, il diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo e il diritto di proprietà.
Esaminando il primo punto, la Corte concorda con il Tribunale sul fondamento normativo del regolamento controverso, costituito dagli artt. 60 e 301 CE, da un lato, e dall’articolo 308 CE, dall’altro, ma nello stesso tempo non ne condivide le motivazioni. Infatti, con il combinato disposto degli artt. 60 e 301 è prevista una competenza comunitaria ad imporre misure restrittive di natura economica allo scopo di porre in essere azioni decise nell’ambito della PESC. Il richiamo all’art. 308 CE, dall’altronde, non può giustificarsi per il fatto che tale atto perseguirebbe un obiettivo riconducibile alla PESC.
In conclusione la Corte ritiene che l’obiettivo della lotta al terrorismo rientra fra gli scopi della Comunità alla luce del Trattato CE e che gli artt. 60 e 301 CE, prevedendo una competenza comunitaria ad imporre misure restrittive di natura economica per porre in essere azioni decise in ambito PESC, sono l’espressione di un obiettivo implicito e soggiacente: vale a dire quello di rendere possibile l’adozione di misure di tal genere mediante l’efficace utilizzo di uno strumento comunitario. Inoltre, se misure economiche di tal fatta venissero applicate unilateralmente da ciascuno Stato membro, si comprometterebbe il funzionamento del mercato comune incidendo sulla concorrenza.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte afferma che il regolamento controverso soddisfa il requisito di portata generale di cui all’art. 249 CE, poiché si rivolge in maniera generale ed astratta all’insieme delle persone che possono detenere capitali appartenenti a una o più persone menzionate nell’allegato di tale regolamento.
Sulla terza censura, la Corte riforma la pronuncia del Tribunale, che ha ritenuto di non poter valutare la legittimità degli atti comunitari che attuino, senza alcun margine di discrezionalità, risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in materia di lotta al terrorismo internazionale, se non alla luce dello jus cogens. A tal proposito la Corte rammenta che la Comunità è una comunità di diritto nel senso che né i suoi Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo giurisdizionale dei loro atti per la verifica della conformità al Trattato CE e un accordo internazionale non può porsi contro tale sistema di garanzie costituzionali.
In questo particolare caso, in cui un atto comunitario che, come il regolamento controverso, mira ad attuare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adottata in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, non spetta quindi al giudice comunitario controllare la legittimità di una tale risoluzione; di contro, spetta al giudice comunitario il controllo della legittimità del regolamento quanto alla sua conformità ai diritti fondamentali, poiché non si può affermare un’assoluta prevalenza delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza fondata sugli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
Di fronte alle eccezioni sollevate dalle parti, la Corte risponde annullando le sentenze impugnate e affermando una lesione dei diritti di difesa, in particolare al contraddittorio e il diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, in quanto non è stato consentito ai destinatari delle misure restrittive di difendere i loro diritti nelle migliori condizioni possibili, sia dal punto di vista informativo sia dal punto di vista dei rimedi eccepibili.
Per quanto riguarda la lesione del diritto di proprietà, la Corte dichiara che dette misure di congelamento rappresentano una misura cautelare non intesa a privare le persone della loro proprietà; da non giudicarsi, inoltre, sproporzionata e inadeguata, considerando l’importanza degli obiettivi perseguiti dal regolamento comunitario. Tuttavia, secondo la Corte, è una misura sbagliata per la violazione di importanti principi nella procedura di adozione.

a cura di Ileana Boccuzzi