Roma, 22 maggio 2008
Giovedì 22 maggio 2008, presso la Luiss Guido Carli, Sala delle Colonne, si è tenuto il seminario dal titolo “Governance e democrazia nell’Unione europea”, organizzato dal Centro studi sul Parlamento.
Il prof. Nicola LUPO ha introdotto i relatori, ringraziandoli per la loro partecipazione, ed ha invitato il prof. Manzella a mettere in risalto gli aspetti salienti della governance dell’Unione europea, anche al fine di proporre alcuni quesiti agli altri relatori.
Il prof. Andrea MANZELLA, in apertura del suo intervento, ha sollevato tre questioni atte a sollecitare la riflessione sul tema. In primo luogo si è chiesto quale sia il rapporto tra il nuovo assetto istituzionale configurato dal Trattato di Lisbona e la società civile europea. In secondo luogo ha analizzato la connessione tra lo status della cittadinanza europea e l’ordine giuridico dell’Unione. Infine, ha messo in evidenza la questione dell’incontro dell’ordine giuridico europeo con quello della “non-Europa”. Rispetto alla prima questione, il professore si è soffermato sulla presunta “decostituzionalizzazione” del Trattato costituzionale ad opera del Trattato di Lisbona, esortando a una riflessione sulla possibile interpretazione di questo processo come “ricostituzionalizzazione nascosta”. A tal riguardo, ha richiamato l’attenzione sulla mancata inclusione della Carta dei diritti dell’Unione nel Trattato, pur sottolineando che ad essa è riconosciuto il medesimo valore giuridico dei Trattati, ai sensi dell’art. 6 TUE. Una sorte simile è toccata ai simboli dell’Unione europea, esclusi dalle disposizioni del Trattato ma ricompresi nella Dichiarazione n. 52, sottoscritta da 18 Stati membri. Il relatore, ipotizzando che l’euro faccia parte dei simboli, ne ha evidenziato il suo “status rafforzato” quale elemento costitutivo del Trattato in base all’art. 30 TUE. Analogamente, il principio del primato del diritto dell’Unione, formalmente escluso, riemerge preponderante grazie al richiamo costante alla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ha rilevato, quindi, l’incertezza dell’opinione pubblica nei confronti del ruolo e delle competenze delle istituzioni dell’Unione, citando, a titolo di esempio, la confusione esistente circa le funzioni del Presidente del Consiglio europeo, quelle dell’Alto Rappresentante PESC e quelle del Presidente della Commissione europea. Dopo aver introdotto tali questioni di ordine generale, il relatore ha affrontato il tema della governance europea in termini istituzionali. Secondo l’art. 121 TUE, gli Stati membri considerano le loro politiche economiche come una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio. Questo coordinamento non esclude che vi sia uno spazio di autonomia delle politiche nazionali, perché, per definizione, il meccanismo di coordinamento non può funzionare senza autonomia. Il sistema delle Banche centrali europee, che costituisce un esempio di tale coordinamento, è retto dal principio base del mantenimento della stabilità dei prezzi. Una volta raggiunto questo obiettivo, la governance economico-finanziaria può rivolgersi anche alla promozione e al sostegno della politiche economiche generali dell’Unione. Il Trattato evidenzia un altro principio fondamentale: all’art. 130 TFUE viene esaltato il carattere indipendente della BCE, che non può accettare né sollecitare istruzioni dagli Stati. Prendendo le mosse da questo quadro generale, ha chiesto al prof. Fitoussi quale sia il rendimento di un tale sistema giuridico di pesi e contrappesi. Il prof. Manzella ha poi delineato l’attuale situazione economica dell’Unione, avvalendosi delle variabili macroeconomiche: in maniera inattesa il PIL ha registrato una crescita dello 0,7 %, mentre l’inflazione si è stabilizzata al 3,3 %, superando la soglia del 2,2 % fissata dalla BCE. Dalle osservazioni circa il rapporto tra Unione europea e ordine giuridico non europeo, il relatore ha dedotto la presunta esistenza di un “protezionismo europeo”. Questo fenomeno è desunto dalla lettura dell’art. 64 TFUE, dalla previsione di una politica energetica “solidale” tra gli Stati (soprattutto nei confronti di quelli con maggiori difficoltà di approvvigionamento) e, infine, dal rilancio di una politica spaziale europea, in concorrenza con quella degli Stati Uniti. In aggiunta a ciò, il professore si è interrogato sulla possibilità di rinvenire l’esistenza di un’idea globale di difesa europea. A tal proposito, la Francia si è battuta per l’inclusione nel Trattato della cooperazione strutturale, che non è da includere nella categoria delle cooperazioni rafforzate, su basi volontaristiche, ma rappresenta una forma di cooperazione istituzionale. In conclusione, il relatore, data tutta questa vitalità europea, ha domandato al prof. Lazar se sia possibile ravvisare uno spazio di diritto pubblico europeo e, di conseguenza, un patriottismo europeo. Quest’ultimo concetto può svolgere un ruolo decisivo nel contrastare il malessere democratico nell’Unione, rispetto al quale il Trattato di Lisbona propone alcuni strumenti di risoluzione: 1) l’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo; 2) l’introduzione del principio della democrazia partecipativa; 3) il potenziamento del ruolo dei Parlamenti nazionali; 4) la valorizzazione della dimensione regionale in Europa in tutte le manifestazioni delle iniziative legislative; 5) la modificazione della nozione di rappresentanza politica. All’ultimo punto è possibile ricondurre le rivendicazioni dell’Italia relative alla ripartizione dei seggi nel Parlamento europeo: e pretese italiane possono essere considerate corrette da un punto di vista formale, ma, sul piano sostanziale, emerge la necessità di una rappresentanza non più legata alla cittadinanza, bensì alla popolazione residente.
Il prof. Jean Paul FITOUSSI, dopo aver ringraziato gli organizzatori del convegno per l’invito, ha richiamato i dati e le considerazioni presenti nel volume pubblicato due settimane or sono dalla Banca centrale europea sui primi 10 anni di attività. Dall’inizio della sua attività il tasso di inflazione medio è stato del 2%; nel 2007 il disavanzo pubblico della zona euro è stato del 0,6%, il più basso disavanzo pubblico di tutti i paesi sviluppati. La Banca centrale europea ha raggiunto la stabilità dei prezzi, l’equilibrio del bilancio e l’aumento della concorrenza. Il relatore ha commentato questi dati affermando che ciò non è avvenuto per caso: infatti, questi obiettivi federali sono stati conseguiti con l’ausilio di strumenti ad hoc. Tuttavia, in questo stesso periodo, il tasso di crescita in Europa è stato tra i più bassi del mondo, attestandosi sull’1,4%. Secondo il relatore, il tasso di crescita è particolarmente rilevante per la popolazione, perché è condizione del miglioramento del tenore di vita e dell’aumento del reddito pro capite. La mancanza di un’apposita istituzione federale non ha consentito il raggiungimento di questo obiettivo. Il professore ha delineato, dunque, la fisionomia di un governo europeo, che consta di tre Ministri: 1) il Ministro delle attività, la Banca centrale europea, che fissa il tasso di interesse e, di conseguenza, il grado di attività dei Paesi dell’Unione. Questo Ministro è completamente indipendente anche se alcuni hanno sostenuto che sia accountable, in base al parere espresso dal Parlamento europeo sulla sua attività. Invero, per accountability il prof. Fitoussi intende il potere in capo all’Assemblea di intervenire sullo Statuto della Banca centrale europea. Di fatto ciò non avviene; di conseguenza il relatore ritiene che la Banca centrale europea sia la sola Banca centrale al mondo a non essere accountable. 2) Il Ministro della concorrenza, la Commissione, che ha un potere federale, sia legislativo che sanzionatorio. 3) Il Segretario di Stato alla sorveglianza fiscale, il quale ha un potere enorme in un contesto dove la reputazione dei governi è fondamentale perché condiziona la loro capacità di negoziazione. Questi tre Ministri hanno raggiunto i loro rispettivi obiettivi: il Ministro delle attività, la stabilità dei prezzi; il Ministro della concorrenza, l’aumento della concorrenza; il Ministro della sorveglianza, l’equilibrio fiscale. Il professore ha mostrato come non ci sia un Ministro dello sviluppo e, confrontando i dati europei con quelli statunitensi, ha spiegato le ragioni della scarsa crescita europea nell’ultimo quarto di secolo. In particolare, ha imputato questo fenomeno al fatto che l’Europa abbia soltanto un sistema di governance e non un governo. Ciò ha trovato conferma nella differente reazione dell’Europa e degli Stati Uniti di fronte alla recente crisi finanziaria: in Europa la politica monetaria è rimasta costante, così come il tasso di interesse al 4%; negli Stati Uniti la Federal Reserve ha abbassato il tasso di interesse dal 5,25 al 2%. Inoltre, il Governo americano ha sostenuto il reddito delle famiglie attraverso una politica fiscale espansiva. In Europa, invece, il Patto di Stabilità e Crescita può causare, se rigidamente osservato, degli effetti perversi. Il rispetto dell’equilibrio di bilancio nel lungo periodo azzera il debito pubblico, la cui assenza non consente un buon funzionamento dei mercati finanziari, perché i titoli di Stato costituiscono il punto di riferimento per questi mercati. Oggi, peraltro, si discute sulla possibilità di inserire il principio dell’equilibrio di bilancio nelle Costituzioni, possibilità, secondo Fitoussi, “sognata” solo da Friedman nel 1947. Il professore, rinviando a quanto precedentemente detto, ha rilevato che il problema dell’Europa è la sua scarsa reattività, non disponendo di un governo vero e proprio e scontando la dissociazione tra potere e legittimità. I tre Ministri del governo europeo hanno poteri federali, ciò nonostante non sono accountable; sono agenzie indipendenti che hanno il potere, ma non la legittimità per usarlo. Al contrario, i Governi nazionali hanno la legittimità democratica, ma non hanno gli strumenti necessari per agire. Ogni Stato può ricorrere solamente a riforme strutturali che garantiscano la concorrenza fiscale e sociale. Il relatore, rispondendo ad una delle domande del Prof. Manzella, ha criticato la retorica con cui si affronta il problema del protezionismo nell’ambito della globalizzazione degli Stati-Nazione, considerando proprio la protezione della popolazione come funzione preminente di questi. In conclusione ha rilevato che l’Unione europea dovrebbe diventare un sistema di governo in cui la valutazione sia basata non soltanto sulla gestione, ma anche sui risultati raggiunti. Riprendendo le considerazioni finali del Prof. Manzella, il relatore ha collegato il deficit democratico all’esistenza di un vuoto di potere, in altre parole alla mancanza sia di una sovranità nazionale piena che di una sovranità federale. L’acquisizione di quest’ultima da parte dell’Unione rappresenta la sola via di uscita da questo vuoto di potere.
Successivamente ha preso la parola il Prof. Marc LAZAR, il quale ha evidenziato, sessant’anni dopo la Conferenza dell’Aia del 10 maggio del 1948, che esistono ancora tre paradossi all’interno del sistema comunitario: 1) nonostante si riscontri un’accettazione dell’Unione europea da parte dell’opinione pubblica, la forza propulsiva del processo di integrazione si è un po’ esaurita. 2) Se, da una parte, l’Europa è riuscita a costruire uno spazio democratico, in particolare insistendo sull’elemento della democrazia sociale, dall’altra, è opinione diffusa che essa non sia stata capace di organizzare a pieno questo spazio democratico. 3) Sebbene l’Europa abbia promosso il benessere economico e sociale, oggi questa costruzione non è più una garanzia né per lo sviluppo economico né per la crescita sociale. Il relatore ha indicato quattro caratteristiche fondamentali dell’Unione europea: 1) I cittadini percepiscono l’Unione europea come lontana, nonostante la natura democratica del processo di integrazione. 2) Questo malessere democratico è presente anche all’interno degli Stati membri sotto forma di sfiducia verso le istituzioni nazionali. 3) L’opinione pubblica risulta disorientata non soltanto di fronte alla limitazione della sovranità degli Stati a vantaggio dell’Unione, ma anche per il progressivo decentramento delle funzioni di questi verso le periferie. 4) Il rafforzamento della globalizzazione ha determinato, all’interno delle società europee, la nascita di aspirazioni e spinte di ripiegamento verso l’interno. Il professore si è domandato quale sia lo stato di salute della democrazia in Europa ed ha constatato che, in realtà, più che di tentazioni autoritarie, si dovrebbe parlare di disinteresse e distacco verso la democrazia. In seguito ha indicato tre tendenze contraddittorie: 1) L’emergenza della democrazia dell’opinione, teorizzata da Bernard Manin come “democrazia del pubblico”. Tale fenomeno ha preso le mosse in Italia con l’avvento in politica di Berlusconi. 2) Il tentativo di rinnovare le forme della democrazia rappresentativa, anche a livello nazionale, per esempio con il tentativo della Commissione Balladur, che ha elaborato un progetto di riforma costituzionale. Il relatore ha rimandato all’articolo del Prof. Manzella “Partiti politici e le forme di governo nell’Unione Europea” evidenziando, in particolar modo, le tre direzioni di aggiornamento della democrazia rappresentativa (verso le nuove categorie dei lavoratori, verso gli “esclusi”, verso una società informata). 3) Il tentativo di inventare una nuova democrazia partecipativa in risposta a fenomeni di “contro-democrazia” (Pierre Rosanvallon) caratterizzati dalla volontà dei cittadini di creare nuovi canali di partecipazione politica anche al di fuori del contesto elettorale. Concludendo il Prof. Lazar ha ripreso, come gli altri relatori, il problema del malessere democratico dell’Unione e ha segnalato quattro possibili sfide da affrontare: 1) “rifare la politica” a livello nazionale ed europeo; 2) far vivere lo spazio pubblico europeo tramite il potenziamento del ruolo dei partiti politici ed attraverso il riconoscimento delle aspirazioni volontaristiche della società; 3) assumere la responsabilità, da parte delle classi dirigenti, delle decisioni prese in sede comunitaria; 4) “dopo l’Europa, fare gli europei” anche attribuendo un significato più forte ai simboli. Al termine del primo ciclo di interventi ha preso nuovamente la parola il prof. MANZELLA, che ha colto alcune sollecitazioni emerse dalle relazioni del prof. Fitoussi e del prof. Lazar. Del discorso del primo relatore ha sottolineato il ben strutturato quadro costituzionale europeo ed ha condiviso con lui le preoccupazioni per l’assenza di un Ministro della crescita, anche in relazione alla promozione della strategia di Lisbona. In quest’ambito ha evidenziato le differenze semantiche del termine “accountability” nel gergo politico francese (come responsabilità politica) e in quello italiano (come semplice trasparenza). Un altro punto nodale del dibattito, secondo il prof. Manzella, riguarda i vincoli del Patto di stabilità e crescita, in particolare la proposta, a suo tempo avanzata e forse ancora attuale, di esclusione delle spese di investimento dal computo del saldo. Venendo, quindi, alle osservazioni del prof. Lazar, il relatore ha ripreso la questione della mancanza di legittimità del governo europeo, delineandosi l’esistenza di un interesse generale europeo senza la previsione di una corrispondente titolarità. A parere del prof. Manzella, la costruzione europea non è soltanto apicale, ma dipende dall’orientamento delle classi dirigenti nazionali e dall’apporto della società civile.
Successivamente sono state rivolte alcune domande ai relatori: la prof.ssa Gloria BARTOLI, pur condividendo l’obiettivo finale della creazione del governo federale, ha suggerito di prendere in considerazione una tappa intermedia; ha giustificato l’introduzione dei parametri di Maastricht con i gravi disavanzi pubblici di tutti gli Stati europei all’inizio degli anni Novanta. Analizzando la situazione attuale, ha proposto una modificazione delle regole del Patto perché, ad oggi, troppo restrittive. Infine, esaltando la considerevole crescita economica spagnola e il ruolo della Germania, quale primo esportatore al mondo, ha domandato al prof. Fitoussi come possono spiegarsi queste anomalie rispetto alla situazione di scarso sviluppo europeo e come possono essere utilizzate a favore dell’Europa.
Il prof. Luigi DANIELE si è soffermato sul rapporto tra deficit democratico e rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo. A tal riguardo, ha evidenziato come con le riforme dei Trattati non sia stato sanato il deficit di democrazia e che il Parlamento è percepito tuttora come istituzione lontana dai cittadini. A questo proposito, ha fatto risaltare l’urgenza di una riforma per l’elezione dei membri italiani al Parlamento europeo e dell’introduzione di mezzi che garantiscano maggiore trasparenza e responsabilità nelle attività degli stessi. Dopo queste riflessioni sul tema, ha chiesto ai relatori di esprimersi sugli effetti dell’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo determinati dal Trattato di Lisbona.
In seguito, il primo a prendere la parola è stato il prof. LAZAR, che ha condiviso il quadro esposto dal prof. Daniele, ricordando, da un lato, la decisione n. 2002/772 CE sull’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo, dall’altro, il rifiuto dell’idea simbolica di tenere le elezioni in tutti gli Stati membri nel medesimo giorno. Il professore ha rilevato che attualmente viviamo in una fase di transizione caratterizzata dall’incertezza e dall’inquietudine. Non si tratta, tuttavia, di una situazione unidirezionale, ma di una condizione che può evolvere in positivo grazie alla presa di coscienza della classe dirigente europea e all’invenzione di forme di democrazia partecipativa che acquisiscano una rilevanza nazionale.
Quindi è intervenuto il prof. MANZELLA, che ha evidenziato la dicotomia tra coloro che riescono ad “afferrare” le opportunità che offre l’Europa e coloro che restano esclusi e, rispetto all’interrogativo del prof. Daniele, ha considerato come punto cruciale quello del rapporto tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo. Il nuovo Trattato crea la possibilità di un contatto diretto delle rappresentanze locali e nazionali con le istituzioni europee, ma rappresenta anche un elemento di rottura, perché si possono così moltiplicare i poteri di veto.
Il prof. FITOUSSI, prendendo spunto dal suo libro “Il dittatore benevolo”, ha risposto al quesito posto dalla prof.ssa Bartoli, considerando un duplice profilo: 1) dal punto di vista strutturale risulta difficile modificare le regole del Patto di stabilità e crescita perché è richiesta l’unanimità; 2) dal punto di vista dottrinale si riscontra una certa ritrosia a discostarsi da principi sanciti dal Trattato di Maastricht. Infine, il relatore, facendo riferimento al suo primo intervento, ha ribadito come la mancanza degli strumenti non garantisce il raggiungimento degli obiettivi, fissati, in questo caso, dalla strategia di Lisbona e dal programma ambientale europeo. In conclusione, rispetto al problema dell’accountability della Banca centrale, ha suggerito di conferire al Parlamento europeo il potere di definire il tasso di inflazione, come già accade nell’ordinamento britannico.