L’attuazione della riforma costituzionale sulle autonomie: indirizzi e prospettive per il riassetto delle amministrazioni pubbliche – Resoconto convegno

02.02.2007

Il 23 ottobre 2006, si è tenuto presso la Luiss Guido Carli il primo “Incontro sulle Riforme” sul tema “L’attuazione della riforma costituzionale sulle autonomie: indirizzi e prospettive per il riassetto delle pubbliche amministrazioni”, organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno e con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale.
Il convegno è stato presieduto da Giorgio Berti, che nel presentarlo ha sottolineato come il lento eclissarsi della sovranità ha avuto una grande influenza sui rapporti tra il legislatore e il corpo amministrativo. Quest’ultimo sembra legittimarsi nel momento stesso in cui agisce, essendo meno condizionato rispetto al passato “dalle gabbie” e dal dominio del legislatore. L’amministrazione pubblica è una realtà operativa con una sua identità che ha più chances di successo nel concretizzare la sovranità della Repubblica. Per questo in essa si sta concentrando l’attività dello Stato, così come il rapporto dialettico tra unità e pluralità, che oggi il legislatore non riesce più a presidiare efficacemente.
La democraticità dell’ordinamento non si esaurisce nella rappresentanza parlamentare; deve essere democratico nel suo svolgersi, dunque, nell’esperienza amministrativa, dando attuazione a principi fondamentali, quale quello di sussidiarietà.
I rapporti tra gli elementi costitutivi dell’ordinamento non possono essere iscritti in un quadro definitivo e immutabile, ma si modellano attraverso forme più o meno avanzate di collaborazione e cooperazione, archiviato in tal modo il principio gerarchico. Da questa prospettiva, la storia prevale sul diritto.
I temi di riflessione sono stati introdotti da Gian Candido De Martin. Dopo un quinquennio di inerzie e di applicazioni riduttive, l’attuazione della l. cost. 3/2001 costituirà il baricentro del processo di costruzione della “Repubblica delle autonomie” e darà la possibilità di percorrere la via italiana al federalismo, e di assicurare la realizzazione del principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost.
Per implementare questo processo di riforma è indispensabile l’intervento del legislatore ordinario statale e di quello regionale e l’esercizio dell’autonomia normativa locale.
Si possono individuare, in via preliminare, alcuni elementi qualificanti il contenuto del nuovo quadro costituzionale:
1) Superamento di ogni visione gerarchica (statocentrica e regionocentrica) nei rapporti tra i soggetti dell’ordinamento (art. 114 Cost.).
2) Ridefinizione puntuale della potestà normativa tra Stato e Regioni, a garanzia dell’ambito dell’autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali.
3) Conferimento di centralità agli enti locali secondo le disposizioni di cui all’art. 118 Cost., semplificando l’assetto delle funzioni amministrative su due livelli, di base e di area vasta e ridimensionando l’amministrazione periferica dello Stato e quella delle Regioni.
4) Correlazione organica tra funzioni amministrative e risorse finanziarie (art. 119 Cost.)
I profili di metodo da considerare nell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione sono:
– assicurare alle autonomie una rappresentanza al centro del sistema, e dunque nel Parlamento;
– promuovere una maggiore responsabilizzazione dei diversi livelli di governo e forme equiordinate di relazione interistituzionale;
– applicare il principio della pari dignità istituzionale.
I principali nodi pendenti nell’attuale quadro costituzionale riguardano:
a) la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali;
b) il superamento del T.U. degli enti locali del 2000;
c) la disciplina quadro per le Città metropolitane;
d) una revisione profonda dell’amministrazione periferica statale;
e) attuazione dell’art. 119 Cost. e conseguente spostamento di risorse finanziarie dallo Stato e dalle Regioni agli enti locali;
f) rafforzamento della responsabilità dei soggetti di autonomia in ordine al rispetto del principio di buon andamento e del Patto di Stabilità e Crescita;
g) garanzia delle medesime condizioni istituzionali a tutti i Comuni e le Province della Repubblica.
Il convegno è proseguito con la relazione del Ministro Linda Lanzillotta. Dopo il 2001, il nuovo assetto della Repubblica è rimasto sospeso. E’prevalsa una logica conflittuale nei rapporti tra i soggetti di autonomia e lo Stato pertanto occorre favorire l’instaurazione di un modello relazionale di cooperazione per il perseguimento di soluzioni concertate e rivitalizzare la spinta verso la multilevel governance. Il Governo e il Parlamento non devono occupare spazi che non competono più loro, così come le Regioni devono accettare il nuovo ruolo degli enti locali.
Secondo la relatrice l’ordinamento si sta modernizzando secondo le seguenti direttrici:
– ammodernamento delle sedi di raccordo attraverso la riforma del sistema delle Conferenze; è necessario istituire una sede di sintesi del sistema policentrico, per interconnettere le decisioni delle Assemblee elettive dei differenti livelli, altrimenti si rischia la frantumazione delle politiche pubbliche;
– definizione di un Codice delle autonomie in cui si individuino le funzioni fondamentali degli enti locali, tenendo conto della necessità di semplificazione, e si fornisca la disciplina per l’istituzione delle Città metropolitane e di Roma Capitale. In particolare, per quanto concerne le Città metropolitane non si provvederà alla loro creazione secondo il principio di uniformità, ma orientandosi verso “modelli flessibili su parametri fissi”. A Roma Capitale, sarà attribuita una forte potestà regolamentare;
– riguardo all’attuazione del “federalismo fiscale”, sebbene l’obiettivo sia il finanziamento con entrate proprie delle funzioni di ciascun livello di governo, nel breve periodo, aumenterà la compartecipazione al gettito dei tributi erariali in sostituzione di una parte dei trasferimenti statali. Strettamente collegato al tema dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa è la possibilità di realizzare il “federalismo a geometria variabile”, come opportunità ammessa dall’art. 116 Cost. per le regioni di diritto comune;
– sul tema delle garanzie e dei controlli, si sta lavorando per istituire, al lato della Conferenza unificata, un soggetto che monitori le conseguenze finanziarie dell’attuazione di politiche concertate tra i livelli di governo. Inoltre è necessario che i dati sulla finanza pubblica e sulla gestione organizzativa siano condivisi.
Successivamente è intervenuto il Sottosegretario Alessandro Pajno che ha spiegato come nella ridefinizione del sistema delle istituzioni pubbliche si dovrà tenere conto del rapporto tra la qualità del sistema amministrativo e la sana gestione della spesa pubblica, nesso posto in evidenza per la prima volta con la l. 537 del 1993.
L’attuazione del nuovo Titolo V Cost. si compone di tanti tasselli. A tal proposito, il nuovo quadro costituzionale evidenzia il carattere sistemico e complesso che deve rivestire l’intervento legislativo diretto a definire il nuovo assetto-ordinamento degli enti locali.
Esso deve essere coerente con:
· la riforma dei “luoghi di decisione condivisa”
· il sistema regionale
· le funzioni statali
· la definizione complessiva del sistema amministrativo

Per la stesura della Carta delle autonomie il punto di partenza è l’art. 114 Cost. da cui discendono una serie di principi fondamentali: il principio di equiordinazione, il principio di diversità del ruolo delle autonomie nel sistema plurale, il principio di differenziazione e di non sovrapposizione delle funzioni tra i livelli di governo.
Per quanto riguarda l’istituzione delle Città metropolitane, quali enti di governo di area vasta, un aspetto problematico è rappresentato dalla necessità di assicurare l’adeguatezza del livello di esercizio delle funzioni. Si può ipotizzare che la loro costituzione derivi:
a) dall’espansione del Comune capoluogo;
b) dall’associazionismo comunale;
c) dalla sostituzione della Provincia, come ente alternativo della Città metropolitana.
E’indispensabile adottare una modello aperto e flessibile coerente con la storia del territorio.
Nell’implementare il nuovo assetto costituzionale, il legislatore e gli enti locali saranno chiamati, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza, a:
1) semplificare l’articolazione delle funzioni tra gli enti costitutivi della Repubblica;
2) assicurare la sana gestione finanziaria;
3) garantire la democraticità delle istituzioni e la partecipazione dei cittadini, sia come singoli che nelle formazioni sociali, alle decisioni pubbliche.
Il dibattito, che ha poi fatto seguito alle relazioni iniziali, è stato aperto dal Prof. Vincenzo Cerulli Irelli.
Considerata la disciplina contenuta nel nuovo Titolo V, per la redazione di un Testo unico o di un Codice delle autonomie residua uno spazio limitato. A tal proposito potrebbero anche evidenziarsi dei profili di incostituzionalità.
La definizione delle funzioni fondamentali, degli organi di governo e della legislazione elettorale dovrebbe essere contenuta in una normativa cedevole, capace di non ledere la potestà normativa degli enti locali, riconosciuta in Costituzione (artt. 114 e 117, VI comma). Le funzioni fondamentali non dovrebbero essere determinate in maniera uniforme, per livelli istituzionali, poiché vi è un importante vincolo costituzionale: il principio di differenziazione che presuppone un’articolazione per fasce dimensionali. Si potrebbe porre come condizione per ottenere l’attribuzione della funzione, da parte del piccolo comune, che si associ con altri comuni per raggiungere una dimensione adeguata (15000-20000 abitanti).
Per quanto riguarda la scelta dell’ente di governo di area vasta, si delinea l’alternativa tra la Città metropolitana e la Provincia, a seconda che la zona da amministrare coincida o meno con un’area metropolitana.
Il Presidente Francesco Staderini ha sottolineato che la legge n. 131 del 2003 ha attribuito alla Corte dei Conti il controllo sulla gestione nei confronti delle autonomie locali, attraverso le sezioni regionali e avvalendosi della collaborazione degli organi di revisione contabile degli enti territoriali. A tal riguardo si è riscontrata un’ampia adesione di questi ultimi alle misure correttive proposte dalla Corte dei Conti per rispettare i vincoli del Patto di Stabilità interno, come dimostrato dalle modifiche apportate ai bilanci preventivi.
Tuttavia si rilevano alcune criticità derivanti dalla esternalizzazione dei servizi locali a società partecipate, fenomeno che ha dato vita ad un intreccio tra i bilanci di queste società e quelli comunali. Le criticità più significative riguardano le difficoltà nel controllo dei conti e all’esistenza di debiti occulti. Si potrebbe far fronte a questi problemi con l’introduzione del bilancio consolidato dell’ente.
Il Prof. Giuseppe Di Gaspare ha evidenziato nel suo intervento che l’attuazione della riforma costituzionale dovrebbe, dal punto di vista metodologico, essere basata su un programma, costruito su una visione sistemica in auto-equilibrio, da attuare con leggi specifiche, che disegnino un sistema di ruoli definito, piuttosto che con una legge delega basata su principi generici.
La chiave di volta dovrebbe essere la responsabilizzazione, sia quale premessa per un’auto-organizzazione virtuosa che per l’autonomia tributaria. La responsabilità e l’innesco di meccanismi di concorrenza renderebbero, inoltre, meno penetranti i controlli a cui è necessario ricorrere quando il sistema non funziona correttamente.
Quanto alle funzioni fondamentali, nonostante il margine d’incertezza esistente, occorre tutelare la dimensione identitaria del piccolo comune separando la gestione patrimoniale e “proprietaria” dei beni dell’ente locale che dovrebbero rimanere all’ante locale dall’ esercizio delle funzioni amministrative e dalla gestione dei servizi che andrebbero invece riorganizzati secondo criteri di efficienza e di adeguatezza. In particolare per i comuni situati in aree a bassa intensità di popolazione si potrebbe senza innovazioni traumatiche per l’amministrazione delle funzioni e per la gestione ei servizi alla persona ( sociali e sociosanitari) valorizzare la comunità montana . Dalla gestione dei servizi vanno esclusi i servizi pubblici “industriali” : si tratta, infatti, di attività economiche che ormai solo in senso tecnico sono servizi che andrebbero invece regolati e strutturati per dimensioni di ambito anche in questo caso limitando l’innovazione nella modellistica organizzativa e valorizzando, come bacino territoriale ed ente di riferimento, la Provincia. .
L’area vasta, infine, dovrebbe essere definita a livello regionale sulla base di principi stabiliti a livello statale.
Per il Prof. Stelio Mangiameli in un ordinamento costituzionale decentrato le competenze non possono essere ridefinite se non con modifiche costituzionali. Oggi, il sistema non è più governabile in quanto, non si è avuta la forza di attuare la riforma del Titolo V: si sta vivendo un ritorno al centralismo statale. Una conferma di questa tendenza è che in gran parte le intese raggiunte in sede di Conferenze sono deboli.
Molte norme del Titolo V hanno un contenuto indeterminato, tra queste l’art. 119 che, lungi dal prevedere il federalismo fiscale, procede sulla linea della spesa storica piuttosto che su quella della redistribuzione dell’imponibile.
Quanto alle funzioni fondamentali, queste consistono in funzioni istituzionali, non amministrative.
A proposito delle due ipotesi di governo dell’area vasta il relatore ha rilevato che la provincia andrebbe valorizzata, come accade in tutti gli altri ordinamenti, e ad essa andrebbero conferite le funzioni il cui esercizio esige determinate dimensioni istituzionali, a meno che i comuni non si associno. Per quanto concerne la città metropolitana, bisognerebbe stabilire su quanti livelli debba essere organizzata e, nel realizzarla, andrebbe applicata la “teoria dei giochi” per far sì che tutti gli enti coinvolti ne traggano beneficio. Solo così si potrà superare, ad esempio, la “concorrenza” tra città metropolitana e regione.
Infine, il funzionamento del sistema delle Conferenze e del principio della leale collaborazione è inficiato dalla contrapposizione tra concertazione e semplificazione. A tal proposito va tenuto conto del fatto che, nel panorama comparato, il principio della leale collaborazione sta lasciando spazio ad una prevalenza degli stati membri in quanto la cooperazione è foriera di inefficienza. Nel nostro ordinamento, potrebbe rappresentare un elemento di riequilibrio l‘attuazione dell’art. 11 della l. Cost. 3/2001, che tuttavia, pare essere ancora lontana.
Successivamente il convegno ha offerto l’occasione per animare una tavola rotonda sul ruolo della formazione.
Il dott. Carlo Lombardi ha affermato che una pubblica amministrazione adeguata e un’architettura istituzionale funzionale alla crescita sono fattori essenziali per la competitività del sistema-paese. L’Italia, negli ultimi anni, nonostante gli interventi normativi volti a perseguire la semplificazione e la responsabilità ha comunque peggiorato la sua posizione all’interno della classifica redatta dall’Economist, collocandosi oltre la seconda metà.
Va, pertanto, modificato l’indirizzo politico complessivo: se molto è stato fatto sul versante dell’informatizzazione e della modernizzazione tecnologica, è necessario un impegno maggiore nell’ambito della formazione.
Per il dott. Carmine Russo, Se si procedesse all’attuazione del Titolo V le amministrazioni pubbliche sarebbero sottoposte a stress e costrette a ripensare i modelli formativi in quanto il nuovo quadro costituzionale disegna un’amministrazione aperta alla società, un’amministrazione-teatro secondo la definizione di Allegretti.
Negli ultimi anni si è registrata “stanchezza” nella formazione dei dirigenti e dei lavoratori. Quanto ai primi andrebbe recuperato l’equilibrio tra il formalismo giuridico e le tendenze manageriali e andrebbe limitata l’ingerenza politica; per i lavoratori un ostacolo è rappresentato dalla unicità di status a fronte di diversi ruoli professionali.
Altri aspetti problematici sono, infine, rappresentati dalle modalità di realizzazione delle progressioni verticali, dalla trasformazione delle quote di incentivazione in quote stabili e dalla riorganizzazione delle agenzie.
Il Prefetto Mauro Zampini, ha esposto i criteri e i temi di formazione che la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno ha prescelto: a) non perdere la tradizione del senso dello Stato; b) farsi carico delle riforme degli anni Novanta, nonostante sia ormai venuta meno la spinta innovatrice; c) interpretare la separazione tra politica e amministrazione; d) lavorare nell’ottica del risultato; e) valorizzare il ruolo del prefetto nell’attuazione della riforma costituzionale; f) coniugare la lealtà al governo (inteso come Stato) con l’equidistanza dalla politica locale.
Infine il Prof. Andrea Piraino ha sottolineato come un Testo unico degli enti locali sarebbe contraddittorio con la riforma costituzionale del 2001, in quanto costituirebbe una violazione dell’articolo 114 Cost. e una lesione della potestà statutaria delle regioni; è più opportuno parlare di “Carta”, richiamando anche la Carta europea delle autonomie.
La città metropolitana dovrebbe essere un’istituzione alternativa alla provincia, come era previsto nel testo originale della legge costituzionale 3/2001, nel governo dell’area vasta: la prima dovrebbe operare in aree ad alto tasso di urbanizzazione, l’altra in aree rurali.
Quanto alla formazione, si deve tenere conto che ci troviamo in un sistema sottoposto a continuo cambiamento nel quale, quindi, questa dovrebbe costituire una priorità per le politiche pubbliche. La realtà nazionale, inoltre, richiede un sistema di formazione dirigenziale innovativo, caratterizzato da più scuole, da riformare individualmente e da disciplinare in modo specifico, inserendole, tuttavia, in un contesto unitario.

CONCLUSIONI
Il convegno è stato concluso dal Prof. Luciano Vandelli, secondo il quale l’amministrazione è un corpo reso complesso dalla modernità che può far smarrire le logiche funzionali cui è necessario, tuttavia, ricondurre la sua attività. Costruire la “Repubblica delle autonomie” è una difficile sfida in quanto rappresenta una svolta epocale dopo 117 anni di uniformità. Di fronte a questa sfida il giurista dovrebbe smettere di guardare alle istituzioni “dal di fuori” e porsi al loro interno.

Gabriella Angiulli e Cristina Fasone