Il dibattito tenutosi lo scorso 29 Novembre nell’Aula Magna dell’Università Luiss Guido Carli è stato il secondo momento di un ciclo intitolato dagli organizzatori “Incontri sulle riforme”. La scelta di tale titolo non risulta casuale dato che, come sottolineato dal Prof. Gian Candido De Martin nella introduzione alla giornata di lavori, tali occasioni si propongono di riflettere criticamente sullo stato dei processi di trasformazione che hanno interessato e tuttora interessano la Pubblica Amministrazione italiana mediante il confronto di studiosi ed esperti da un lato e di rappresentanti istituzionali e decisori politici dall’altro, al fine di proporre soluzioni e critiche ma anche di dibattere sullo stato dell’arte e sulle prospettive.
Il ricco parterre di accademici e la presenza del Ministro per le Riforme e l’Innovazione nella Pubblica Amministrazione Luigi Nicolais hanno consentito lo sviluppo di un dibattito interessante ed articolato, non esente anche da riflessioni critiche di metodo e di merito al lavoro di riforma svolto nell’ultimo quindicennio, ma lucido e costruttivo e che ha trovato uno dei riferimenti centrali nel disegno di legge approvato il 22 settembre 2006 dal Consiglio dei Ministri in tema di efficienza delle amministrazioni pubbliche e di riduzione degli oneri burocratici per cittadini e imprese, contenente tra l’altro importanti propose di intervento sulla legge n° 241/1990 in tema di procedimento amministrativo.
Dopo il saluto del Prof. De Martin, si è avuta la relazione introduttiva del Prof. Severi che ha fatto il punto delle riforme intervenute anche alla luce dei profondi cambiamenti che hanno interessato il nostro paese, come la modifica del Titolo V della Costituzione. Proprio da questa prende le mosse la relazione di Severi constatando che la valorizzazione del sistema delle autonomie locali che alla riforma del costituzionale del 2001 avrebbe dovuto conseguire, rischia di essere svuotata di contenuto e rimanere lettera morta a causa della disomogeneità delle strutture e della mancanza di risorse degli enti locali. Ma la relazione sottolineava anche altri segnali non incoraggianti della macchina ammninistrativa italiana. Anzitutto il c.d. “spacchettamento” dei Ministeri intervenuto all’inizio dell’attuale legislatura, provvedimento preso in contraddizione con i tentativi di razionalizzare l’organizzazione delle amministrazioni centrali, ma anche il non cogliere la necessità di “ripensare il centro” a fronte dell’ampliamento di compiti delle amministrazioni locali (emblematica la vicenda della Presidenza del Consiglio che da amministrazione di coordinamento dell’azione di governo troppe volte viene considerata una sorta di super-ministero da gravare di compiti non presi in carico da altre amministrazioni). Altre critiche sono state riservate all’utilizzo rozzo che in Italia si è fatto e si fa dell’istituto dello spoils system ed al fenomeno delle esternalizzazioni di funzioni pubbliche che spesso hanno permesso l’aggregazione di grumi di interessi opachi e sfuggenti ai controlli. Ancora punti dolenti in tema di gestione personalistica del potere locale (“centralismo regionale”), mancato utilizzo di strumenti normativi potenzialmente molto proficui (conclusione concordata del procedimento), digitalizzazione della P.A. che troppe volte si è risolta in una mera sostituzione delle macchine da scrivere con i computers, gestioni straordinarie e commissariamenti. Nelle conclusioni diverse le proposte di soluzione avanzate, ma tra le più meritevoli di attenzione quelle di sistema, in relazione all’importanza della attività valutative dei servizi erogati della P.A. e a quella della formazione dei quadri intesa non soltanto in senso tecnico ma anche come coscienza morale di servizio alla collettività.
A quello del Prof. Severi segue l’intervento del Ministro Nicolais che, lasciando in tal modo emergere il proprio background di uomo di scienza e di ricerca, ha posto l’accento sulle trasformazioni di scenario che interessano la nostra società e sull’importanza che ha per l’efficienza dell’amministrazione il cogliere tali trasformazione nel momento stesso del loro prodursi. Il Ministro ha sottolineato infatti come a fronte dei cambiamenti epocali che interessano i nostri sistemi-paese questi siano chiamati a tenere conto del fattore competitività. Orbene, tale fattore appare rilevante non solo per il settore privato ma anche per l’amministrazione pubblica poiché si pone come il momento conclusivo di due filiere, quella della conoscenza e quella della governance. Su tali filiere è necessario investire ed intervenire al fine di sviluppare una mentalità innovativa che consenta rimodulazioni organizzative efficaci. In particolare è necessario operare sulla filiera della conoscenza mediante investimenti in formazione e ricerca, e su quella della governance con dotazioni di risorse sufficienti a consentire una piena applicazione del principio di sussidiarietà al fine di confrontarsi efficacemente con sfide di portata globale. Insomma bisogna ripensare il sistema, anche e soprattutto quello della P.A. , e non sostituirne o riformarne occasionalmente singole porzioni a fronte del cambiamento delle condizioni complessive. Illuminante in tal senso è la vicenda dei processi di informatizzazione che hanno interessato le amministrazioni pubbliche nell’ultimo decennio. Si è attuata una mera operazione di sostituzione del mezzo cartaceo con quello digitale, mentre l’approccio è rimasto identico. È proprio questo l’aspetto su cui una riforma complessiva con pretesa di efficacia deve focalizzarsi, reingegnerizzazione di processi e procedimenti. Occorre attualmente, per non sprecare risorse, ripensare il sistema in digitale e non riprodurre il vecchio sistema digitalizzandolo per dargli un appeal modernista.
Altrettanto importante è anche l’esigenza di costruire un nuovo rapporto tra P.A. da un lato e cittadini ed imprese dall’altro. Emblematica a tal proposito è la mole di adempimenti richiesti ex ante ai soggetti che entrano in contatto con le amministrazioni. In tal modo si deresponsabilizza al massimo il decisore amministrativo creando spesso quelle condizioni per le quali il peso dell’adempimento burocratico si traduce in un costo. Sarebbe invece auspicabile l’introduzione diffusa di sistemi valutativi ex post che rendano più agili i rapporti con le amministrazioni accompagnati da sistemi sanzionatori che risultino deterrenti efficaci contro comportamenti illeciti o fraudolenti.
Un altro nodo fondamentale di intervento è, nelle parole del Ministro Nicolais, quello in relazione alla variabile tempo che, nonostante diversi interventi normativi succedutisi (l’istituto del silenzio-assenso ad esempio), risulta tuttavia ancora trascurata creando dei ritardi competitivi notevolissimi nell’era del “just in time”. In questa direzione si muovono le modifiche proposte nel disegno di legge approvatolo scorso 22 settembre, laddove prevedono meccanismi sanzionatori per le amministrazioni inadempienti rispetto ai tempi stabiliti per la chiusura dei procedimenti. Nella medesima direzione si muove la necessità di promuovere nel nostro paese una cultura della valutazione che appare mancante in Italia non solo all’interno della pubblica amministrazione. Tale cultura è un asset fondamentale per ogni paese che voglia confrontarsi seriamente con le sfide della modernità e produrre dei risultati, come insegna l’esperienza del mondo anglosassone. Il Ministro ha sottolineato la necessità urgente di promuovere strumenti adeguati di valutazione seria ed incisiva considerata l’esistenza nel nostro sistema amministrativo di meccanismi di valutazione meramente formali. Emblematica in tal senso la vicenda dei meccanismi di valutazione della dirigenza.
L’introduzione nei ranghi dell’amministrazione di “forze fresche” potrebbe risultare utile per la promozione e la diffusione nel corpo di questa di nuovi linguaggi e nuove culture. Le misure adottate nell’ultima finanziaria per la stabilizzazione dei lavoratori precari della P.A. muovono in questa direzione. Allo stesso modo potrebbe risultare opportuno, pur considerando i vincoli della finanza pubblica, un ripensamento del blocco del turn over.
Infine l’importanza della formazione intesa non solo come insieme di strumenti della conoscenza, ma anche come costruzione di un senso di appartenenza etico all’amministrazione dello Stato. Sotto quest’aspetto appare fondamentale una valorizzazione delle scuole di alta formazione amministrativa esistenti, e in prospettiva la creazione di un sistema organico di formazione che consenta l’aggiornamento permanente delle conoscenze proprie del pubblico impiegato.
A conclusione del proprio intervento il Ministro ha indicato gli obiettivi prioritari dell’azione riformatrice. Anzitutto una semplificazione normativa che però non si risolva in una mera riduzione quantitativa di norme, ma anche in una corretta interpretazione di quelle esistenti; modernizzazione degli strumenti e dei processi dell’azione amministrativa in tempi ragionevoli in modo da non ottenere risultati già obsoleti una volta realizzati; promuovere una cultura della conoscenza non settorializzata ma capace di interagire proficuamente con altri saperi critici al fine di stimolare il cambiamento.
Il successivo intervento del Prof. Franco Bassanini, uno degli artefici maggiori della stagione di riforme amministrative del 1997, ha ripercorso i punti fondamentali del percorso di quegli anni mettendo in evidenza gli obiettivi realizzati, gli insuccessi e le attuali prospettive.
L’intervento del Prof. Bassanini ha preso le mosse dal fatto che la spinta alla riforma amministrativa all’inizio degli anni 90 nella fase iniziale fu trainata da una esigenza pressante di riduzione dei costi date le necessità di riequilibrio della finanza pubblica. Occorre riconoscere che sotto tale aspetto si sono conseguiti dei successi, considerando, ad esempio, che il costo aggregato del personale delle pubbliche amministrazioni in Italia passa dal 12,5% del Pil nel 1990 al 10% nel 2001, sotto la media dei paesi OCSE. Superata la fase emergenziale dei conti pubblici, nella seconda metà dei 90 emerge un diverso approccio alle istanze di riforma dell’amministrazione, con un’attenzione rivolta non più esclusivamente all’aspetto economico di riduzione dei costi ma a due altri aspetti critici di fondamentale importanza nel gioco della competizione internazionale. Infatti nella seconda metà del decennio le riforme varate tendono a svilupparsi secondo due direttrici di intervento: il costo (inteso non esclusivamente in senso economicistico) dell’amministrazione per gli utenti (costo della burocrazia); l’attenzione alla qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.
Le linee d’azione fondamentali sono state molteplici; dalla ridefinizione del perimetro delle funzioni essenziali dell’amministrazione esternalizzando funzioni che i privati o il terzo settore potevano fornire con un mix migliore qualità-costi, all’implementazione del principio di sussidiarietà con una rimodulazione razionale dei compiti tra i vari livelli di amministrazione (c.d. “federalismo amministrativo”), dal riconoscimento dell’autonomia organizzativa nell’ambito delle dotazioni di budget, alla semplificazione amministrativa supportato dall’uso di tecnologie informatiche, all’introduzione di meccanismi di responsabilizzazione in relazione ai risultati (es. dirigenza) secondo i principi del “new public managment”. A fronte di tali, ambiziose, intenzioni si sono avuti casi di successo evidente (autocertificazione, informatizzazione dell’amministrazione finanziaria) e riforme che purtroppo hanno segnato il passo (implementazione della firma digitale, meccanismi di valutazione della dirigenza). Il motivo principale della riuscita solo parziale delle riforme varate è da ricercarsi nelle mancata “manutenzione delle riforme”. In pratica le misure adottate non sono poi state sufficientemente monitorate nella loro attuazione correggendone il tiro ove necessario, e ciò ha prodotto un fenomeno di obsolescenza delle riforme stesse causando la necessità di ulteriori interventi.
Dal 2001 poi la spinta riformatrice dell’amministrazione ha fortemente rallentato a causa di due fattori principali. Anzitutto una distorta interpretazione da parte della classe politica del meccanismo della democrazia maggioritaria, che ha portato a considerare questa come una condizione nella quale lo schieramento vincitore della competizione elettorale “prende tutto” ed ha la facoltà di rimettere il discussione dalle fondamenta gli interventi realizzati nella precedente stagione di governo (emblematico il caso delle riforme costituzionali del 2001 e del 2006, una realizzata ed una no); ma anche la diffusione di un’idea distorta di “Stato minimo” che si è risolta spesso come una riduzione secca di regolamentazioni la quale, in assenza di coordinamento normativo, ha prodotto vuoti legislativi e malfunzionamenti.
Il Prof. Bassanini ha concluso il proprio intervento con l’analisi dei segnali percepibili all’inizio dell’attuale legislatura, segnali purtroppo ancora una volta non incoraggianti. Anzitutto un giudizio molto negativo sull’avvenuto “spacchettamento” dei Ministeri che è stato realizzato in maniera contraddittoria (il ministero del Commercio Estero nei paesi OCSE è associato alternativamente a quello degli Esteri o a quello delle Attività Produttive, mentre in Italia con una scelta incomprensibile è stato accorpato a quello delle Politiche Comunitarie; la presenza di tre Ministeri che si occupano di welfare con una ovvia sovrapposizione di competenze; il vice-ministero delle Finanze che è un dicastero a tutti gli effetti) creando una pericolosa percezione di mutevolezza e precarizzazione delle strutture amministrative fondamentali; inoltre una prepotente ripresa della logica dello spoils system la quale finisce, per come attuata, per privilegiare maggiormente l’appartenenza politica rispetto alle capacità gestionali dei dirigenti.
Dopo la conclusione degli interventi dei relatori si è aperta la discussione che visto la partecipazione di diversi accademici, che nei propri interventi hanno discusso particolari aspetti delle riforme in atto oppure preso in considerazione aspetti generali del sistema dell’amministrazione italiana.
Così il Prof. Vincenzo Caputi Jamberlenghi aprendo il dibattito ha sottolineato l’importanza della formazione dei pubblici impiegati, soprattutto con riguardo alla dirigenza, sia in funzione dell’efficienza dei pubblici apparati, sia per consentire ai decisori amministrativi di resistere agli “assalti della politica” come quelli prodotti da scorrette applicazioni dello spoils system. In tale ottica il Prof. Caputi Jamberlenghi sottolineava l’importanza di una armonizzazione delle strutture Formez e Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione a fronte dei profondi mutamenti di scenario intervenuti.
A proposito del disegno di legge presentato dal Ministro Nicolais il Prof. Caputi Jamberlenghi rilevava come la previsione di sanzioni automatiche per i ritardi della P.A. nella conclusione dei procedimenti (art. 1, comma 1, lettera b), sganciando completamente queste da valutazioni sulla fondatezza della domanda proposta potrebbe creare effetti distorsivi ed abusi con intenti fraudolenti.
Anche il Prof. Marcello Clarich nel successivo intervento rilevava come nelle proposte di modifica alla l. 241/1990 l’intervento sui termini con la previsione di meccanismi sanzionatori contempli una azione esclusivamente sull’ultimo anello della catena procedimentale, circostanza questa che potrebbe minare l’efficacia dell’intervento normativo. Un altro rilievo mosso al testo del disegno di legge era il mancato intervento sugli strumenti di semplificazione (il problema di una chiara distinzione tra gli istituti del silenzio assenso e la dichiarazione d’inizio di attività).
Clarich sottolineava inoltre la necessità di politiche condivise di lungo respiro per una riforma efficace della macchina amministrativa, con orizzonti cronologici capaci di andare oltre quelli di legislatura. Il Prof. Clarich sottolineava come, a fronte di interventi e di nuova produzione normativa, fosse importante una corretta applicazione degli strumenti esistenti (controllo di gestione, valutazione della dirigenza) per promuovere la cultura del merito ed una premialità per i risultati raggiunti.
L’intervento del Prof. D’Alberti passava invece in rassegna gli aspetti positivi contenuti nel decreto Visco-Bersani e nella legge Finanziaria in discussione (accenni di liberalizzazione, interventi a favore della concorrenza, patto nazionale sulla salute) rilevando però la necessità di un disegno organico in materia e di interventi non parcellizzati.
Rilievi critici venivano invece mossi a quegli interventi generalizzati e non modulati, come ad esempio quello contenuto in Finanziaria che impone una riduzione generalizzata al 15% degli organici per il personale di supporto dei Ministeri. Il problema degli organici della P.A. nelle parole del Prof. D’Alberti non è quello di un down sizeing, quanto piuttosto quello di un right sizeing.
Il successivo intervento del Prof. Gianfranco D’Alessio sottolineava invece la disorganicità dei processi di riforma intervenuti e la disorganicità degli interventi di contenimento della spesa contenuti nella legge Finanziaia 2007. Veniva tuttavia espresso apprezzamento per le norme contenute nel disegno di legge Nicoalis con riferimento al rispetto dei termini di conclusione del procedimento da parte delle amministrazioni, poiché stante una esigenza di coordinare tali norme con altri momenti antecedenti della catena procedimentale, queste potrebbero tuttavia determinare effetti positivi.
Il Prof. La Spina ha posto l’accento sulla necessità di concreta implementazione delle riforme amministrative varate, per fare in modo che queste non rimangano lettera morta. Sottolineava La Spina che già nella seconda metà degli anni 90 erano emerse resistenze ai processi di riforma amministrative, e che il nostro paese, sotto questo punto di vista appariva (ed appare) interessato da due grandi divisioni, una interna ed una esterna. La prima è quella Nord-Sud, constatata la maggiore vischiosità emersa nelle regioni meridionali alle istanze di riforma amministrativa; la seconda divisione è quella tra il nostro paese ed altri dell’UE nei quali si sviluppano ormai nuove frontiere dell’amministrazione, come ad esempio gli istituti della democrazia deliberativa.
Gli interventi del Prof. Giulio Napolitano e del Cosigliere di Stato Patroni Griffi hanno invece sottolineato la necessità di una visione complessiva del processo di riforma amministrativa per la soluzione dei nodi irrisolti di tale processo piuttosto che di interventi slegati tra loro (continui interventi sulla l. 241/1990), e sul problema degli assetti istituzionali chiamati a governanare tali processi anche rispetto ai rapporti di quelli nazionali con quelli comunitari.
La conclusione dei lavori è stata del prof. DiGaspare il quale, tirando le fila della mattinata di lavori, ha messo in luce le tre maggiori prospettive ricostruttive emerse nel corso del dibattito. La prima, quella emersa dalla relazione del Prof. Severi, centrata sull’analisi dei punti nodali di crisi del sistema generale nel corso del cammino di riforme dell’ultimo quindicennio; quella del Ministro Nicolais tesa a spiegare gli intenti ed i progetti dell’azione riformatrice in corso d’opera, con particolare attenzione all’aspetto sistemico che le future azioni di riforma dovranno avere, e quella del prof. Bassanini che ha analizzato prospettive e difficoltà. Il prof. Di Gaspare ha rilevato come dalle relazioni esposte dai relatori emerga chiaramente la crisi del modello burocratico-legalitario che storicamente caratterizza l’impianto della P.A. italiana, e la difficoltà nella costruzione di un nuovo modello incentrato sulla responsabilità della P.A. che funga da volano per l’innesco di un processo di autoriforma.