La Corte si pronuncia, in due sentenze del 12 settembre 2006, sulla titolarità del diritto di elettorato attivo e passivo

08.10.2006

Lo scorso 12 settembre la Corte di giustizia si è pronunciata su due ricorsi concernenti il diritto di elettorato attivo nelle elezioni dei membri del Parlamento europeo. Nel primo, che si deve ad una procedura di infrazione avviata dalla Spagna, si trattava di stabilire se il Regno Unito, contro cui il ricorso era diretto, avesse violato le pertinenti norme del Trattato nell’avere esteso l’elettorato attivo a cittadini di Stati terzi residenti a Gibilterra. La normativa inglese prendeva le mosse da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale il Regno Unito aveva violato l’art. 3 del Protocollo n. 1 alla CEDU per avere impedito ad una cittadina britannica residente a Gibilterra, la sig.ra Denise Matthews, di esprimere la sua opinione sulla scelta dei membri del PE. In effetti, l’allegato II (oggi I) all’atto relativo all’elezione dei rappresentanti del PE a suffragio universale, adottato con decisione del Consiglio del 20 settembre 1976, limita la propria efficacia al solo territorio del Regno Unito, ad esclusione dunque (anche) di Gibilterra. Per ottemperare alla sentenza della Corte di Strasburgo il Regno Unito ha adottato nel 2003 la legge relativa alla rappresentanza elettorale per l’elezione del PE: in essa si prevede che la circoscrizione elettorale di Gibilterra sia unita a quella dell’Inghilterra sud-occidentale e che nel relativo registro possano iscriversi i residenti a Gibilterra che siano cittadini dell’Unione o cittadini del Commonwealth titolari del diritto di circolazione e soggiorno a Gibilterra. Per la verità, il Regno Unito, in occasione della modifica dell’atto del 1976, aveva anche proposto la cancellazione del suddetto allegato I, per eliminare la restrizione territoriale che tuttora esclude Gibilterra. Tuttavia, a siffatta modifica si era opposta proprio la Spagna. L’unico risultato ottenuto in quella sede fu l’inserimento nel verbale della riunione del Consiglio del 18 febbraio 2002 di una dichiarazione del Regno Unito che rispecchia un accordo bilaterale tra questo e la Spagna. Secondo tale dichiarazione «il Regno Unito veglierà affinché siano apportate le modifiche necessarie per consentire agli elettori di Gibilterra di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo nel quadro di una circoscrizione esistente del Regno Unito e alle stesse condizioni degli altri elettori di tale circoscrizione».
Con la prima censura la Spagna sostiene che il Regno Unito abbia violato gli articoli 189, 190, 17 e 19 TCE: essi nel complesso escludono, secondo il governo spagnolo, che l’elettorato attivo per l’elezione dei membri del PE spetti anche ai cittadini di Stati terzi benché residenti nel territorio dell’Unione. Con il secondo motivo di ricorso la Spagna sostiene che la legge elettorale inglese del 2003 violerebbe l’allegato I dell’atto del 1976 nonché la dichiarazione del Regno Unito resa a margine del Consiglio del 18 febbraio 2002: ciò in quanto alcune norme della prima contengono degli espliciti riferimenti al solo territorio di Gibilterra, come p.e. l’art. 14 secondo cui la tenuta del registro degli elettori di Gibilterra grava sul cancelliere dell’assemblea legislativa di Gibilterra e non, come secondo la Spagna sarebbe corretto, su un agente della Corona britannica.
Quanto al primo motivo, la Corte, in accordo con le Conclusioni dell’Avvocato generale Tizzano, respinge gli argomenti messi innanzi dal governo spagnolo. I giudici di Lussemburgo rilevano come nessuna norma del Trattato restringe il diritto di elettorato attivo ai soli cittadini: non l’art. 189, il cui riferimento ai «popoli degli Stati riuniti nella Comunità» non consente di affermare un sicuro riferimento ai cittadini UE; neppure l’art. 190, che si limita a stabilire che le elezioni del PE si svolgano a suffragio universale; né, infine, le norme sulla cittadinanza europea, le quali riconoscono diritti, quale p.e. quello di presentare una petizione al PE, anche ai cittadini di Stati terzi residenti nell’Unione. La Corte, in definitiva, afferma che le norme del Trattato non consentono di stabilire un legame necessario tra diritto all’elettorato attivo e passivo e cittadinanza dell’Unione. Da ciò discende, secondo la Corte, che spetta agli Stati membri determinare i titolari del diritto di voto attivo e passivo, con l’unico vincolo derivante dal rispetto del diritto comunitario: p.e., come pure afferma l’Avvocato generale, l’estensione del diritto di voto ai non cittadini deve giustificarsi con un legame effettivo quale, come nel caso di specie, la residenza.
Quanto al secondo motivo, la Corte sostiene, con argomentazioni per la verità succinte, che le modalità con le quali il Regno Unito ha ottemperato alla sentenza Matthews siano conformi tanto all’allegato I che alla dichiarazione del 2002. I giudici di Lussemburgo fanno leva in particolare sull’espressione «alle stesse condizioni» contenuta nella dichiarazione del 2002. Meglio argomentate appaiono su questo punto le considerazioni dell’Avvocato generale Tizzano: egli sostiene, in primo luogo, che sia l’allegato I che la dichiarazione del 2002 devono essere lette alla luce delle norme che impongono il rispetto dei diritti fondamentali, le quali, peraltro, in caso di contrasto insanabile devono considerarsi prevalenti. Ma in effetti, come peraltro l’Avvocato generale non manca di rilevare, tale punto non è neppure in contestazione. La censura spagnola riguarda invece, come si accennava poc’anzi, le modalità attraverso cui il Regno Unito ha effettivamente attuato la sentenza Matthews e in particolare: l’avere creato una circoscrizione elettorale di Gibilterra unita a quella inglese sud-occidentale; l’avere consentito lo svolgimento concreto delle elezioni a Gibilterra; l’avere esteso il diritto di voto ai residenti non cittadini UE; l’avere istituito un registro elettorale autonomo, tenuto da un funzionario locale; l’avere riconosciuto una competenza in merito dei giudici locali. L’Avvocato generale Tizzano giunge a conclusioni parzialmente diverse da quelle contenute nella sentenza della Corte: infatti, egli suggerisce di accogliere il ricorso spagnolo limitatamente alla censura concernente l’estensione del diritto di voto ai residenti cittadini di Stati terzi. Egli rileva che per essi non esiste alcuna norma legata alla protezione dei diritti fondamentali che consenta di superare l’espressa lettera dell’allegato I e che dunque un’estensione siffatta vada oltre ciò che la sentenza Matthews chiede, violando però nel contempo le pertinenti norme comunitarie. La Corte, invece, come si diceva, non opera questa distinzione e respinge in toto il ricorso spagnolo.
La seconda sentenza riguarda un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice olandese, il quale chiede alla Corte se spetti un diritto di voto per le elezioni al PE anche ai cittadini UE residenti nei territori d’oltremare sottoposti al regime speciale previsto dall’art. 299 TCE. Il giudice a quo era chiamato a decidere sulla legittimità dell’atto con il quale era stata rifiutata a due cittadini olandesi residenti ad Aruba l’iscrizione nel registro elettorale per le elezioni dei membri del PE. La Corte afferma che, in primo luogo, la seconda parte del Trattato relativa ai diritti di cittadinanza si applica ai cittadini UE a prescindere dal luogo in cui essi abbiano la residenza o il domicilio. In particolare, la Corte, con argomentazioni simili a quelle contenute nella sentenza citata più sopra, sostiene non esservi un legame necessario tra il diritto all’elettorato attivo e la cittadinanza dell’Unione. E infatti essa ammette che la determinazione dei titolari del diritto di voto attivo e passivo spetta agli Stati membri, nel rispetto del diritto comunitario. In astratto, secondo la Corte, è legittimo che uno Stato membro restringa tale titolarità ai cittadini UE residenti nel territorio dell’Unione. Tuttavia, nel caso di specie, la legislazione olandese operava una scelta differente: essa in effetti riconosce il diritto di voto ai cittadini olandesi residenti in uno Stato terzo, senza però prevedere un analogo regime per gli olandesi residenti nelle Antille e ad Aruba. In conclusione, la Corte ritiene che siffatta esclusione sia illegittima in quanto viola la parità di trattamento concedendo il diritto di voto agli olandesi residenti all’estero, ma non a quelli residenti nei territori d’oltremare. Infine, la Corte, su richiesta del giudice a quo, afferma che spetta all’ordinamento nazionale determinare la forma di riparazione, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, dovuta nel caso in cui, in violazione del diritto comunitario, individui che pure hanno il diritto di voto non siano stati iscritti nelle liste elettorali. Nel caso pendente di fronte al giudice olandese, infatti, i due appellanti nella causa principale non avevano potuto votare giacché le elezioni dei membri del PE si erano ormai svolte nelle more del processo.
a cura di Francesco Cherubini