Per la prima volta la Corte di giustizia accerta che un Commissario europeo ha violato gli obblighi relativi alla propria carica: sentenza dell’11 luglio 2006, causa C-432/04, Commissione c. Édith Cresson

06.09.2006

La Corte di giustizia si è pronunciata per la prima volta su una richiesta della Commissione volta a far accertare la violazione da parte di un Commissario europeo dell’art. 213 par. 2 del Trattato CE, ai sensi del quale “[n]ell’adempimento dei loro doveri”, i membri della Commissione “non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni”. Inoltre, fin dal loro insediamento, “essi assumono l’impegno solenne di rispettare, per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste, gli obblighi derivanti dalla loro carica, ed in particolare i doveri di onestà e delicatezza per quanto riguarda l’accettare, dopo tale cessazione, determinate funzioni o vantaggi. In caso di violazione degli obblighi stessi, la Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della Commissione, può a seconda dei casi, pronunciare le dimissioni d’ufficio […] ovvero la decadenza dal diritto a pensione dell’interessato o da altri vantaggi sostitutivi”.
Secondo la Commissione, i doveri richiamati dall’art. 213 par. 2 CE sarebbero stati violati dalla sig.ra Édith Cresson, membro della Commissione dal 24 gennaio 1995 all’8 settembre 1999, con un portafoglio relativo a scienza, ricerca e sviluppo, risorse umane, educazione, formazione e gioventù. In particolare, la Commissione contestava alla sig.ra Cresson alcuni episodi di favoritismo consistenti nell’aver assunto un suo conoscente in grave violazione delle regole interne vigenti in materia e, per tali ragioni, ricorreva alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 213 par. 2 CE.
Nella sentenza che qui si segnala, in primo luogo la Corte di giustizia precisa alcuni aspetti salienti del contenuto dell’art. 213 par. 2 CE. In tal senso, gli obblighi indicati in tale disposizione sono in essa menzionati a titolo solo esemplificativo. Essi “non possono essere limitati al divieto di cumulo di attività durante il mandato di membro della Commissione e ai doveri di onestà e delicatezza in occasione dell’accettazione di funzioni al termine di tale mandato” (punto 69). Per contro, poiché nella disposizione citata non figurano elementi che limitino la nozione di “obblighi derivanti dalla loro carica”, la Corte ritiene di poter interpretare tale nozione estensivamente: considerate le “alte responsabilità conferite ai membri della Commissione” è importante, com’era stato precisato dall’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni, che tali membri rispettino “i più alti standard di comportamento”. Conseguentemente, oltre agli obblighi espressamente menzionati, l’art. 213 par. 2 terzo comma CE comprende anche “il complesso dei doveri derivanti dalla carica di membro della Commissione”, tra i quali figura l’obbligo, sancito dall’art. 213 par. 2 primo comma CE, “di agire in piena indipendenza e nell’interesse generale della Comunità” (punto 70).
Quest’ultimo interesse dev’essere fatto prevalere dai Commissari europei “in ogni momento” e “non solo sugli interessi nazionali, ma anche sugli interessi personali” (punto 71). Anche episodi di favoritismo possono dunque essere oggetto dell’accertamento della Corte in base all’art. 213 par. 2 CE, purché corrispondano a violazioni “di una certa gravità” (punto 72).
Inoltre, la scadenza del mandato del Commissario interessato dalla violazione e la conseguente impossibilità di pronunciarne le dimissioni d’ufficio non ostano alla condanna per una violazione commessa nel corso di tale mandato, “ma scoperta o provata dopo la scadenza di quest’ultimo” (punto 74).
In secondo luogo, la Corte accerta il rispetto di alcune garanzie nell’ambito del procedimento di cui all’art. 213 par. 2 CE. Quanto all’assenza di un termine specifico per l’avvio dell’azione prevista da tale disposizione, la Corte ricorda che la Commissione “deve preoccuparsi di non ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri al fine di rispettare l’esigenza fondamentale della certezza del diritto” e l’esigenza di salvaguardare l’esercizio dei “diritti della difesa” (punto 90), esigenza soddisfatta, nel caso di specie, nel procedimento amministrativo, segnato dal contraddittorio tra la sig.ra Cresson e la Commissione (punti 103 – 110). Nello stesso senso, viene precisato dalla Corte che l’assenza di un doppio grado di giurisdizione nella procedura di cui all’art. 213 par. 2 CE non rappresenta una violazione del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, poiché l’art. 2 par. 2 del protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali stabilisce che il diritto di impugnare una sentenza con cui una persona è stata dichiarata colpevole o condannata in primo grado può essere oggetto di eccezioni, “in particolare quando l’interessato è stato giudicato in prima istanza da un tribunale della giurisdizione più elevata” (punto 112).
In terzo ed ultimo luogo, dopo aver ricordato che il procedimento di cui all’art. 213 par. 2 CE è autonomo e distinto sia rispetto ai procedimenti disciplinari relativi ai dipendenti ed agenti delle Comunità europee (punto 118), sia rispetto ad eventuali procedimenti penali instaurati in sede nazionale (punti 119 – 125), la Corte accerta che gli episodi di favoritismo contestati dalla Commissione rappresentano una violazione di una certa gravità dei doveri di cui all’art. 213 par. 2 CE (punti 132 – 146).
Tuttavia, la Corte non accoglie la richiesta della Commissione di pronunciare la decadenza parziale o totale della convenuta dal suo diritto a pensione o dagli altri vantaggi sostitutivi, ritenendo che la constatazione della violazione dell’art. 213 par. 2 CE “costituisca, di per sé, una sanzione adeguata” (punti 149 – 151).

a cura di Giacomo Gattinara