Aiuti di Stato e servizi pubblici locali: la Corte di Giustizia condanna l’Italia – Corte di giustizia CE, Sez. I, 1/6/2006 n. C-207/2005.

06.06.2006

La Corte di Giustizia ha condannato l’Italia per il mancato adempimento di una decisione della Commissione (Decisione 5 giugno 2002, 2003/193/CE) concernente l’aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e ai prestiti agevolati concessi dall’Italia a società di capitali a prevalente capitale pubblico che forniscono servizi pubblici locali[1].
Nella sentenza viene ricordato come risulta da una giurisprudenza costante che la soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità e che tale conseguenza non può dipendere dalla forma in cui l’aiuto è stato concesso (v., segnatamente, sentenze 10 giugno 1993, causa C-183/91, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3131, punto 16; 27 giugno 2000, causa C-404/97, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-4897, punto 38).
Nello svolgimento del processo il Governo italiano aveva sostenuto che il recupero dell’aiuto controverso, quale imposto dalla decisione, era da considerarsi in contrasto con principi generali di diritto riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, rimettendo, in tal modo, in discussione la legittimità della decisione di cui si contestava l’inadempimento.
Sul punto, la Corte ha osservato che per contestare l’inadempimento che le è stato addebitato, la Repubblica italiana non poteva eccepire l’illegittimità della decisione, poiché il sistema dei rimedi giurisdizionali predisposto dal Trattato distingue i ricorsi di cui agli artt. 226 CE e 227 CE, che mirano a far accertare che uno Stato membro non ha adempiuto gli obblighi che gli incombono, dai ricorsi di cui agli artt. 230 CE e 232 CE, che mirano a far controllare la legittimità degli atti o delle omissioni delle istituzioni comunitarie.
Questi rimedi giurisdizionali perseguono scopi distinti e sono soggetti a modalità diverse.
Uno Stato membro, quindi, in mancanza di una disposizione del Trattato che lo autorizzi espressamente, non può eccepire l’illegittimità di una decisione di cui sia destinatario come argomento difensivo nei confronti del ricorso per inadempimento basato sulla mancata esecuzione di tale decisione (v., segnatamente, sentenze Commissione/Portogallo, cit., punto 34; 22 marzo 2001, causa C-261/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2537, punto 18, e 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6695, punto 40).
Il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione sulla base dell’art. 88, n. 2, CE è, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte, quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione che ordina il recupero (v., segnatamente, sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I-11965, punto 70, e 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3875, punto 35).
Tale condizione, osservano i giudici, non è soddisfatta quando il Governo dello Stato membro convenuto si limita a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna iniziativa presso le imprese interessate al fine di ripetere l’aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalità di esecuzione della decisione, che consentano di superare le difficoltà segnalate (v., segnatamente, sentenze 29 gennaio 1998, causa C-280/95, Commissione/Italia, Racc. pag. I-259, punto 14, 1° aprile 2004, Commissione/Italia, cit., punto 18, e 12 maggio 2005, Commissione/Grecia, cit., punto 43).
In tale linea di ragionamento, i Giudici comunitari hanno affermato che l’Italia non ha dimostrato l’impossibilità assoluta dell’esecuzione della decisione e che, di conseguenza, la mancata adozione entro i termini prescritti dei provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti ritenuti illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, costituisce una violazione degli obblighi imposti dagli articoli  3 e 4 dalla Decisione nonché dal Trattato CE.
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 1 giugno 2006, C-207/2005.

[1] Più in particolare, l’articolo 2 della Decisione aveva stabilito che “L’esenzione triennale dall’imposta sul reddito disposta dall’art. 3, comma 70, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, e dall’art. 66, comma 14, del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993, convertito con legge n. 427 del 29 ottobre 1993, e i vantaggi derivanti dai prestiti concessi ai sensi dell’art. 9 bis del decreto legge n. 318 del 1° luglio 1986, convertito con modifiche, con legge n. 488 del 9 agosto 1986, a favore di società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria istituite ai sensi della legge n. 142 dell’8 giugno 1990, costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato.
Detti aiuti non sono compatibili con il mercato comune”.
a cura di Luigi Alla


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