Il codice dell’amministrazione digitale alla luce del parere del Consiglio di Stato del 7 febbraio 2005

02.05.2005

L’approvazione del testo di decreto legislativo recante il “Codice dell’amministrazione digitale” (4 marzo 2005), redatto in attuazione della delega contenuta nell’articolo 10 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001), è stata preceduta dal parere del Consiglio di Stato (del 7 febbraio 2005), largamente disatteso in sede di definitiva approvazione.
Tale Codice costituisce uno dei provvedimenti della nuova fase di riassetto normativo, iniziata con il “Codice dei diritti di proprietà industriale” e con il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di consumatori Codice del consumo”.
Il parere, benché favorevole, ha rilevato diversi aspetti problematici nel testo del Codice, ciascuno dei quali è stato approfondito con argomentazioni di interesse davvero notevole.
Il Codice affronta per la prima volta in modo organico il tema dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni. In esso sono trattati pure i principi fondamentali giuridici applicabili al documento informatico e alla firma digitale.
Un primo rilievo critico, il Consiglio di Stato, lo riserva all’aspetto finanziario delle modifiche operate dal codice. Infatti, secondo il parere, il Ministero dell’economia dovrà nuovamente pronunciarsi, in via generale, sulla concreta fattibilità dei cambiamenti profilati dal nuovo codice senza alcuna contestuale previsione di risorse aggiuntive e di copertura finanziaria. Più in particolare, sembra necessario un ulteriore pronunciamento da parte della Ragioneria generale dello Stato sulla praticabilità della richiesta di impegno da parte del Governo per reperire le risorse finanziarie necessarie ad attuare il processo di digitalizzazione in atto.
Vediamo ora, nel dettaglio, le osservazioni sul testo del Codice. Una delle sue caratteristiche dovrebbe essere quello della sua esaustività e sistematicità, quantomeno in relazione agli strumenti portanti dell’innovazione digitale nelle pubbliche amministrazioni.
Esso, però, limita il suo raggio di azione al riordino di solo una parte della disciplina attualmente vigente, concentrandosi su poche fonti normative riguardanti l’informatizzazione dell’amministrazione pubblica, e non sfruttando appieno le potenzialità innovative della delega.
Per nulla considerata è la disciplina del sistema pubblico di connettività (SPC). A tal proposito, nel parere del Consiglio di Stato si legge che «un codice non può non contenere, al suo interno, una innovazione così recente e cruciale come quella di cui al richiamato schema».
Del tutto assenti sono, altresì, la disciplina dell’Indice nazionale delle anagrafi, (oggetto del parere del Consiglio di Stato, n° 6786/04 del 19 aprile 2004) e quella sull’utilizzo della posta elettronica certificata, (oggetto del parere del Consiglio di Stato n° 7903/04 del 14 giugno 2004).
In generale, mancano nel codice riferimenti alle recenti “misure telematiche” contenute nella stessa legge di delega n. 229 del 2003 al capo III e al Registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese. Manca, altresì, il recepimento dell’art. 19 della stessa legge n° 229, sulla accessibilità informatica dei dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi al giudice amministrativo e contabile.
Una seconda questione di tipo strutturale è quella della necessità di accompagnare alle enunciazioni di principio norme direttamente precettive, che non rimettano l’attuazione di tali principi esclusivamente alla volontà di attuarle da parte delle singole amministrazioni.
La norma di delega è tale da consentire di innovare la legislazione vigente allo scopo di garantire la più ampia disponibilità di servizi resi per via telematica dalle P.A. Il Codice non può limitarsi a ribadire tali finalità, ma deve darne concreta ed effettiva attuazione, prevedendo effetti giuridicamente rilevanti per le pubbliche amministrazioni e consentendo il ricorso da parte di cittadini e imprese agli ordinari strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale. In quest’ottica appare corretto, ma non sufficiente, inserire una serie di previsioni programmatiche e di principio, senza prevedere effetti concreti. Pertanto, andrebbe prevista una specifica normativa per l’effettiva messa in pratica delle finalità enunciate dal Codice, prevedendo la definizione in concreto di programmi di sperimentazione, di formazione e di graduale attuazione delle innovazioni annunciate.
Un terzo profilo problematico riguarda il rapporti tra la disciplina sulla digitalizzazione dell’amministrazione e quella sul procedimento amministrativo digitalizzato. Il Consiglio di Stato osserva che nel Codice non si prevede quali fasi del procedimento amministrativo (dalle fasi iniziali a quelle finali), possano avvenire con modalità telematiche. E, pertanto, non è agevole stabilire quali e quanti vantaggi possano derivare al cittadino dall’informatizzazione del procedimento.
Ancora, il parere del Consiglio di Stato sottolinea con preoccupazione il fatto che il Codice operi una mera estrapolazione della disciplina del testo unico sulla documentazione amministrativa (DPR. 445/2000), del quale, tra l’altro, vengono innalzate al rango di leggi le norme regolamentari.
Quest’ultima scelta legislativa può comportare un irrigidimento della disciplina, laddove sarebbe possibile, invece, integrare e rafforzare la precedente raccolta normativa organica, con un’opera di novella attraverso lo stesso Codice. Peraltro, si sarebbe potuto provvedere anche per il livello regolamentare, prevedendo eventualmente un distinto ma contemporaneo intervento anche sulle norme di rango secondario contenute nel testo unico sulla documentazione amministrativa.
Tutto ciò, inoltre, avrebbe condotto ad un ulteriore rafforzamento complessivo del Codice, relativamente ai rapporti tra i diversi livelli di fonti normative e in particolare tra legge e regolamento.
Se la nuova fase di codificazione (e di riordino) inaugurata dalla legge n. 229 del 2003 si caratterizza, rispetto alla tecnica legislativa dei testi unici misti, introdotti dall’abrogato art. 7 della legge n. 50 del 1999, per l’abbandono dell’inclusione di disposizioni di rango regolamentare e dalla capacità innovativa attribuita oggi al legislatore (primario) delegato, ciò non significa che il codice debba necessariamente operare la rilegificazione di molte norme ora previste al più flessibile livello regolamentare, come invece fa il Codice dell’amministrazione digitale. Dice, infatti, il parere del Consiglio di Stato: «la rilegificazione appare particolarmente controindicata proprio in una materia come quella in oggetto, in cui anzi alcune disposizioni tecniche, a rapidissima evoluzione, dovrebbero essere rese ancora più flessibili. Appare, infatti, limitativo volere codificare la fase attuale, mentre in un futuro potrebbero raggiungersi diverse e più efficaci modalità di esternazione degli atti o di apposizione di sigilli, etc».
Pertanto, si sarebbero potuti emanare (e nella legge 229/03 c’è uno specifico fondamento autorizzatorio), contemporaneamente al Codice, raccolte organiche di norme secondarie.
Così, si sarebbe garantita il più possibile non solo l’organicità della materia dell’amministrazione digitale ad un dato livello normativo (quello primario), ma anche la sua completezza. Invece, come dice il parere del Consiglio di Stato: «l’introduzione di un corpus normativo compiuto soltanto per la normazione di livello primario e non anche per quella di livello secondario può apparire un limite rilevante per la denunciata rilegificazione dei profili più strettamente connessi, ma anche per la stessa immediata operatività della disciplina, per la sua completezza, per la sua leggibilità, per la sua diretta applicabilità da parte degli operatori e degli interpreti».
La Sezione consultiva del Consiglio di Stato si è soffermata pure sulla mancata previsione di una dettagliata e credibile normativa transitoria per il progressivo abbandono del documento cartaceo. Tutto ciò potrebbe comportare possibili disuguaglianze sociali in relazione al diverso livello di dimestichezza con le tecnologie dell’informazione, nonché una perdita del ruolo di certezza e di testimonianza storica del documento amministrativo come sinora conosciuto. Inoltre, non bisogna trascurare un altro profilo, quello della sicurezza del nuovo assetto, anche per i casi estremi di crisi del sistema, in assenza di previsioni che consentano un funzionamento “non elettronico” della vita pubblica. E’ giusto, in questa sede, ribadire i rischi di una completa digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, in assenza di misure volte a bilanciare tale radicale innovazione. Uno dei pericoli principali è quello che un rilevante numero di cittadini possa risultare discriminato o addirittura socialmente emarginato da un passaggio brusco ad un’amministrazione esclusivamente digitale.
Perciò, e anche su questo il parere del Consiglio di Stato offre molti spunti di riflessione, il cospicuo numero di previsioni generali e programmatiche presenti nel codice dovrebbe essere accompagnato da interventi specifici di sostegno per i cittadini che non siano in grado di avvalersi delle nuove tecnologie dell’informazione. L’abbandono delle modalità tradizionali di azione amministrativa va necessariamente accompagnato da misure concrete che prevedano un’adeguata implementazione dei nuovi processi, sia dal punto di vista tecnico che da quello umano, nonché da norme transitorie e di raccordo che assicurino la continuità di azione pubblica e scongiurino possibili momenti di impasse nel passaggio da un sistema all’altro.
Il parere del Consiglio di Stato afferma che il documento amministrativo come oggi conosciuto non è tenuto in giusta considerazione e che «la sua funzione di certezza e di “evidenza probatoria” che esso ancora assolve nella vita dell’amministrazione e dei rapporti giuridici tra cittadini; il suo contenuto stabile e il suo ruolo di testimonianza storica». Viene, altresì, evidenziato che il Codice, stabilendo il principio di primarietà e originalità del documento informatico, non preveda misure di accompagnamento a proposito delle esigenze di conservazione, immodificabilità, sicurezza (di archiviazione), problemi tecnici, errori del sistema o dell’operatore umano degli atti informatici delle pubbliche amministrazioni.

Un ultimo elemento di perplessità riguarda il ruolo delle Regioni e delle autonomie locali, le quali sono i principali enti per l’effettiva erogazione on line dei servizi pubblici a cittadini e imprese. Il ruolo delle autonomie locali, infatti, appare fortemente mortificato dal tenore delle previsioni del codice, laddove, e anche le recenti innovazioni costituzionale (modifica del titolo V della Costituzione) lo confermano, è proprio sulle autonomie locali che si è deciso di puntare per una maggiore e migliore funzionalità della pubblica amministrazione italiana.

di Vincenzo Ruggiero Perrino