Corso di formazione superiore in diritto costituzionale, tenutosi presso l’Università di Siena (31 agosto-4 settembre), dedicato al tema: La tutela multilevel dei diritti fondamentali – Lezione magistrale: “I diritti umani nella prospettiva del diritto costituzionale”
prof. Paolo Caretti (Università di Firenze)
3 settembre 2004
Lo studio dei diritti umani dal punto di vista del diritto costituzionale si è storicamente articolato intorno ad una duplice modellistica: da un lato, il cosiddetto modello inglese, di impostazione storicista, secondo il quale la fonte dei diritti fondamentali non è rinvenibile in una Costituzione, né nella legge di rango ordinario, bensì nell’attività giurisprudenziale del giudice, attraverso la quale si individuano in definitiva sia le fattispecie tutelabili, sia la misura della tutela stessa, sia infine l’evoluzione del contenuto dei diritti stessi. È in definitiva la funzione creativa del giudice a “plasmare” in questo caso la categoria dei diritti umani.
Per altro verso, il secondo modello è quello, di impostazione positivista, presente nell’ordinamento francese, secondo il quale la fonte dei diritti è la Costituzione, rispetto alla quale il ruolo della legislazione ordinaria è esclusivamente di implementazione della disciplina costituzionale e, in coerenza con questo modello, il ruolo del giudice è di mera garanzia.
Entrambi i modelli legano il proprio sviluppo alla soluzione data al problema dell’“abuso” del legislatore a danno della disciplina costituzionale. Nel primo modello, tale dilemma viene risolto con la sentenza Marbury vs Madison, mentre nell’esperienza francese il potere costituente ed il potere legislativo vengono entrambi ricondotti al principio della sovranità popolare e pertanto non tollerano alcuna forma di eterocontrollo.
Sul piano della ricostruzione storica, le Costituzioni liberali (anche lo Statuto Albertino) fissano un determinato catalogo di diritti, dei quali il legislatore attua una disciplina parzialmente restrittiva. L’esperienza autoritaria, comune ad alcuni paesi europei, cancella, nel segno di uno statualismo disperato, alcuni diritti, anche se fissati in Costituzione. Sul piano teorico, viene sancita, attraverso la teorica dei diritti pubblici soggettivi, di matrice tedesca, una drastica limitazione della sovranità dello Stato in Italia (questo è ben presente nei lavori di Ruffini -1926).
Con l’affermarsi delle Costituzioni del secondo dopoguerra, comprese quelle di Grecia e Spagna, emergono alcuni elementi di novità: in particolare, si registra la valorizzazione della fonte costituzionale come fonte primaria dei diritti, con il coerente ampliamento del catalogo dei diritti fondamentali. In secondo luogo, in queste Costituzioni si afferma una dimensione di diritti, definibile come sociale, secondo la quale è lo Stato a farsi carico di obblighi di prestazioni nei riguardi dei cittadini.
Infine, per evitare che tali formule rimangano mere enunciazioni di principio, la Costituzione diviene rigida, ponendo a garanzia della rigidità il controllo di legittimità costituzionale delle leggi affidato ad un giudice speciale e centralizzato. Attraverso l’attività giurisprudenziale di tutela dei diritti da parte del giudice costituzionale, il contenuto stesso dei diritti fondamentali in primo luogo si arricchisce. Inoltre, frequente è il ricorso, nei giudizi costituzionali, al criterio di ragionevolezza in materia di eguaglianza, mentre si sviluppa la tecnica del bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti. Si afferma in definitiva il giudizio costituzionale per valori, sganciato dall’interpretazione letterale del testo.
Attraverso questo percorso, i due modelli di tutela dei diritti umani originariamente descritti presentano ad oggi maggiori affinità.
Venendo alle linee di sviluppo maggiormente interessanti, la prima è rappresentata dalla definizione di un modello alternativo per la tutela dei diritti che, a seguito dell’evoluzione dei rapporti socio-economici, sono ora minacciati non più dai pubblici poteri, bensì da altri poteri privati.
Ciò comporta, sul piano della definizione degli strumenti di garanzia, l’affermarsi del modello delle Autorità amministrative indipendenti (con tutti i limiti rappresentati dalla questione della legittimità che, nel caso di queste ultime, non è di tipo democratico, bensì esclusivamente di tipo tecnico); si determina poi una diversa configurazione nell’attività del legislatore, che sempre più si esprime attraverso una normazione di principi; si registrano inoltre l’arretramento del potere giudiziario ed una progressiva mutazione del ruolo stesso dell’amministrazione.
Un’ulteriore linea di tendenza è rappresentata dall’ingresso sempre più massiccio del diritto internazionale nell’ambito della tutela dei diritti umani. Sul piano positivo, essa si esprime attraverso l’adozione di documenti quali lo Statuto dell’ONU nel 1945 e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948. Il limite principale di tali atti risiede tuttavia nella loro natura pattizia, idonea a fissare obblighi in capo esclusivamente agli Stati, mentre non si prevedono meccanismi di tutela dei singoli.
Questo primo modello viene superato a partire dal 1950, dapprima con l’adozione della Convenzione europea sui diritti umani, il cui ambito soggettivo ricomprende gli Stati membri del Consiglio d’Europa e successivamente con la progressiva definizione del processo di integrazione comunitaria.
Il sistema strutturato intorno alla competenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo riconosce meccanismi di tutela direttamente azionabili dei singoli, ma operanti sulla base del principio sussidiario/integrativo: pertanto, l’effettiva azionabilità di tali istituti deve essere preceduta dall’esaurimento di tutti gli strumenti nazionali azionabili a tutela dei diritti. La prassi evidenzia come il principale limite denotato da tale sistema consista proprio nello scarso utilizzo del rimedio da parte delle giurisdizioni nazionali.
Il sistema comunitario invece si incentra, nel definire il modello di tutela dei diritti, sul ruolo del giudice comunitario che non ha avuto originariamente a propria disposizione nell’attività di interpretazione né un catalogo comunitario dei diritti, né un atto normativo. Egli sviluppa quindi una concezione funzionalistica dei diritti, svolgendo al contempo una funzione creatrice.
Rispetto a tale quadro, rappresentano una novità sia l’adozione della Carta dei diritti di Nizza sia quella del Trattato costituzionale. Le possibili conseguenze derivanti dall’emergere di questi nuovi elementi sono le seguenti: in primo luogo, si ridurrebbe gradualmente la funzione di individuazione delle fattispecie tutelabili da parte del giudice, come coerente conseguenza di una elencazione tassativa dei diritti fondamentali; in secondo luogo, la materia dei diritti è ricondotta all’organizzazione dei poteri comunitari, in particolare quella dei diritti sociali. La tutela dei diritti fondamentali è dunque una finalità perseguibile nell’ambito della organizzazione istituzionale della Comunità. Infine, alla luce di tali riconoscimenti, quello dei diritti umani pare essere il vero nucleo irretrattabile della Costituzione europea.