Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 aprile 2003 n. 1774
La pronuncia in esame riforma in parte una sentenza del TAR Toscana (n. 2370/2002).
Quest’ultima ha annullato un’aggiudicazione per una gara di progettazione, in seguito all’accertamento della mancanza dei requisiti di partecipazione in capo alla ditta aggiudicataria.
Nel riconfermare l’annullamento dell’aggiudicazione sancita in prime cure, il Consiglio di Stato analizza approfonditamente i singoli passaggi della sentenza oggetto di gravame ed affronta alcuni problemi, rilevanti e meritevoli di approfondimento.
In primis occorre segnalare che, nel caso in cui in relazione alla medesima procedura di evidenza pubblica vengano presentati ricorso in via principale del partecipante pretermesso (che contesti l’aggiudicazione alla ditta vincitrice) e ricorso incidentale del controinteressato (avente ad oggetto i requisiti di partecipazione alla gara della ditta ricorrente) il T.A.R., solitamente, esamina quest’ultimo in via preliminare.
Infatti, un ipotetico accoglimento del ricorso incidentale paralizzerebbe la pretesa avanzata con quello principale, facendo venir meno l’interesse a ricorrere che, costituendo una delle condizioni dell’azione, deve sorreggere in ogni momento il ricorso introduttivo.
Il profilo di merito verte sull’interpretazione dell’articolo 66, lett. d), del D.P.R. n.554 del 1999 recante il regolamento di attuazione della legge quadro in tema di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109 e successive modificazioni.
Tale norma fissa i criteri di individuazione di determinati requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, ritenuti indefettibili ai fini di un corretto espletamento dell’appalto da parte del potenziale aggiudicatario della gara.
Alla lett. d) si fa riferimento al criterio del numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni (comprendente i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua), in una misura variabile tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell’incarico.
L’espressione ‘numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni’ va interpretata, secondo il Consiglio di Stato (che in parte qua conferma il provvedimento impugnato), nel senso che il requisito è soddisfatto mediante il calcolo di un numero medio del personale tecnico su base annua per ciascun anno del triennio, e non già mediante calcolo del numero medio su base triennale poi suddiviso per i tre anni.
Ciò si evincerebbe sia alla luce del dato letterale sia alla luce della ratio della norma in esame.
Per quanto riguarda il dato letterale, la norma si riferisce al numero medio annuo del personale, e quindi richiede una media annuale, autonoma e distinta di personale tecnico per ciascun anno del triennio.
Sotto il profilo della ratio, l’interpretazione seguita dal Giudicante dà maggiori garanzie dell’effettiva capacità tecnico-organizzativa delle ditte partecipanti, meglio soddisfacendo lo scopo perseguito dalla norma.
Occorre precisare però che si tratta di posizione assai rigorosa che, se da un lato favorisce i concorrenti dotati di elevato numero di dipendenti già da almeno tre anni e di capacità tecnica stabile nel tempo, dall’altro lato può determinare posizioni dominanti nel mercato e ostacolare la massima concorrenza, creando difficoltà alle ditte da poco affacciatesi sul mercato e che non posseggono ancora certi livelli dimensionali.
Il Consiglio di Stato si mostra di parere contrario nei confronti del TAR Toscana, censurandone le relative statuizioni, in merito alla valutazione dei punteggi attribuiti alle ditte rispettivamente ricorrente e controinteressata.
Sostiene, infatti, che la doglianza deve essere ritenuta inammissibile poiché attiene al merito amministrativo, insindacabile da parte del Giudice Amministrativo.
Si tratta di questione molto importante, recentemente venuta alla ribalta sia nei numerosi arresti giurisprudenziali succedutisi sul tema, sia nel dibattito dottrinale, in quanto la categoria del merito amministrativo investe il problema del potere sindacatorio che l’AGA può esercitare nei confronti dell’incedere dei pubblici poteri e dei corrispondenti limiti.
Il caso in esame riguarda la valutazione e l’attribuzione di punteggi ai concorrenti ai fini della composizione della graduatoria finale: si è in presenza di una classica ipotesi di discrezionalità tecnica della P.A., in cui la stazione appaltante deve utilizzare, ai fini delle proprie determinazioni finali, norme, non giuridiche, di carattere tecnico e scientifico.
Secondo la dottrina tradizionale la discrezionalità tecnica rientrerebbe nel merito amministrativo, dal momento che vengono in rilievo norme non giuridiche concernenti, oltre che aspetti di opportunità e convenienza dell’agire amministrativo,
profili tecnico-scientifici relativi a discipline specifiche e settoriali.
Ma la tesi più recentemente enucleata dalla giurisprudenza (vedi ex pluribus TAR Lazio, sent. 5 giugno 2002, n.6264, in Guida al Diritto, n.39/2002, Cds, sez. VI, sent. 28 maggio-6 settembre 2002 n.4561, in Guida al Diritto, n.40/2002, Cds, sez. VI, sent. 28 maggio-4 settembre 2002 n.4429, in Guida al Diritto, n.42/2002, Cds, sez. VI, sent. 20 gennaio 2003 n.204, in diritto2000.it , Cds, sez. IV, sent 29 ottobre 2002 n.5942, in giust.it, Cds, sez. IV, sent. 9 aprile 1999 n.601, in Foro It., III, 1999) ritiene fuorviante parlare di discrezionalità tecnica.
Ciò perché nei casi esaminati manca l’aspetto saliente del momento discrezionale dell’azione amministrativa, e cioè la sintesi, la ponderazione e la valutazione degli interessi in gioco, (cosiddetto momento della volontà), residuando esclusivamente il momento del giudizio circa una corretta applicazione di norme extragiuridiche di ordine tecnico.
Lo stesso sintagma ‘discrezionalità tecnica’ è un controsenso, si sostiene, laddove sarebbe meglio parlare di valutazioni tecniche rientranti nell’alveo dei vizi di legittimità, pienamente sindacabili dall’AGA.
Riconosciuta l’esistenza di margini al sindacato del Giudice Amministrativo nei confronti delle valutazione tecniche della P.A., la giurisprudenza amministrativa (cfr. sent. Cds 4429/2002 cit., sent. Cds 2334/2002, in Corr. Giur., n. 7/2002, sent. Cds 5287/2001, in Foro It., III, 2002) ha chiarito che l’unico sindacato ammissibile è intrinseco e di tipo debole in merito all’attendibilità delle scelte dell’Amministrazione.
Si deve infatti respingere la tesi che, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 205/2000 (estensiva dello strumento della consulenza tecnica anche al giudizio di legittimità, cfr.art. 16), ritiene che al Giudice Amministrativo spetti un sindacato di tipo forte e, conseguentemente, il potere di giustapporre le proprie valutazioni tecniche a quelle opinabili della P.A., sindacandone anche la cosiddetta ‘condivisibilità delle scelte’.
Il vizio di legittimità che si può far valere è quello dell’eccesso di potere per manifesta illogicità, incongruità od irragionevolezza della motivazione, per travisamento dei fatti e/o per violazione dei canoni di imparzialità e correttezza nelle valutazioni tecniche operate dalla P.A.
Con riguardo al caso in commento, il Consiglio di Stato, nonostante la motivazione, sbrigativa sul punto e aderente alla tesi tradizionale (ascrivibilità delle questioni sui punteggi al merito amministrativo), riconosce un certo margine di sindacato in capo all’AGA, nei limiti che si sono appena riferiti.
Un altro aspetto degno di nota riguarda il profilo del risarcimento in forma specifica da accordare al ricorrente, qualora il T.A.R. accolga la domanda di annullamento dell’aggiudicazione in favore del concorrente sprovvisto dei necessari requisiti.
A tale aspetto è legata una serie di problemi che ancora non hanno avuto soluzione certa in giurisprudenza: qual è la sorte del contratto stipulato con il concorrente che ha ottenuto l’aggiudicazione successivamente annullata? Quali i poteri del Giudice Amministrativo? Può disporre con la sentenza di accoglimento del ricorso l’aggiudicazione del contratto alla ditta ricorrente seconda classificata in seno alla procedura concorsuale, o deve rimettere la scelta nelle mani della stazione appaltante? Quali sono i criteri di liquidazione dell’eventuale risarcimento del danno per equivalente in via equitativa, qualora non sia possibile in tutto od in parte il risarcimento in forma specifica?
Circa la sorte del contratto, la tesi prevalente nella giurisprudenza della Cassazione (vedi Cass. Civ. 4269/1996, in Nuova Giur. Civ., 1997, 518) propende per la sua annullabilità, in quanto gli atti amministrativi che precedono la formazione dei contratti della P.A. mirano ad integrare la capacità e la volontà dell’ente pubblico.
Eventuali vizi della procedura concorsuale, traducendosi in vizi della volontà e capacità della P.A., rientrano nell’orbita dell’art.1427 c.c. e concretizzano il vizio di annullabilità del contratto deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto dalla P.A.
Altro orientamento, accolto in parte dalla giurisprudenza amministrativa (vedi TAR Campania, sent. 29 maggio 2002 n.3177, in Urb.App., 2002, 1212, con nota di Caputo) sostiene la tesi della nullità del contratto, dal momento che la violazione delle norme sull’evidenza pubblica integrerebbe il caso dell’art. 1418, primo comma, c.c. in tema di nullità virtuale, posto a presidio di valori di rango comunitario (tutela della concorrenza e della par condicio) e costituzionale (principi di imparzialità e buon andamento).
Altri ancora parlano di invalidità derivata, secondo lo schema dell’atto presupposto, mentre non manca chi applica al contratto la disciplina dell’invalidità delle delibere delle associazioni o delle fondazioni (art. 23 c.c.), nel senso che il contratto non può essere annullato nei confronti dell’aggiudicatario in buona fede.
Quanto ai poteri del giudice Amministrativo, alcune pronunce ritengono che la sentenza di accoglimento del ricorso possa contestualmente disporre l’aggiudicazione a favore del ricorrente secondo classificato od unico offerente oltre l’aggiudicatario pretermesso.
Altri arresti, più ossequiosi nei confronti della riserva di amministrazione, sostengono invece che la scelta tra l’esecuzione del contratto stipulato con il concorrente che si sia vista annullare l’aggiudicazione e la stipula di un nuovo contratto con il ricorrente vittorioso spetti alla stazione appaltante, la quale dovrà tener conto dello stato di avanzamento dei lavori o della integrale esecuzione del contratto eventualmente intervenuta, facendo uso dei criteri previsti dall’art. 2058 c.c.
Nella vicenda in esame, il Consiglio di Stato non entra nel merito del vizio che inficia il contratto, essendo stato quest’ultimo già interamente eseguito, e ritiene non percorribile la strada dell’esecuzione in forma specifica.
Infatti, l’appalto di servizi ha avuto integrale esecuzione mediante la realizzazione del servizio, concretizzatasi nella consegna del progetto; in tal modo opinando questa sentenza si allinea a quel consolidato orientamento che esclude la risarcibilità in forma specifica a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione (cfr., ex pluribus, Cds, sez. VI, 18 giugno 2002, n.3338, in giust.it, TAR Puglia, sent. 4 aprile 2000, n.1401, in Foro It., 2000, III, 479).
Si accoglie, infine, la domanda di risarcimento del danno per equivalente; ai fini della determinazione del quantum il Collegio utilizza il criterio di cui all’art. 345, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, liquidando a titolo di ristoro del lucro cessante del concorrente pretermesso, cui sarebbe spettata l’aggiudicazione, il 10% del prezzo offerto.
Tale criterio, previsto per l’appalto di lavori, viene ritenuto atto a garantire la determinazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 2056 c.c. (vedi, per analoga soluzione, TAR Lazio, sent. 13 febbraio 2001 n.962, in giust.it, TAR Abruzzo, sez. Pescara, sent. 3 aprile 2003 n.368, in giust.it, TAR Molise, sent. 11 febbraio 2003 n.188, in giust.it, TAR Veneto, sent. 15 aprile 2003 n.2401, in giust.it).