La “variabile qualificazione giuridica” del nome di dominio tra segni distintivi e libertà fondamentali – Tribunale di Bergamo, Sez. I, sentenza 3 marzo 2003

03.03.2003

Con la sentenza 3 marzo 2003, emessa dalla prima sezione civile del Tribunale di Bergamo nella causa che vedeva contrapposti il noto stilista Giorgio Armani ed un incisore di nome Luca Armani, che tramite il dominio “armani.it” pubblicizzava i propri servizi e prodotti, un altro tassello si aggiunge alla giurisprudenza di merito in tema di nomi di dominio dopo la pronuncia del Tribunale di Napoli sul caso Playboy del 26 febbraio 2002. Dagli atti delle parti ancora una volta emergono i diversi orientamenti giurisprudenziali formatisi sulla qualificazione giuridica dei domain name: la parte attrice, richiamando il prevalente orientamento dei giudici e rifacendosi alla funzione del nome di dominio, che sarebbe quella di consentire l’accesso alla rete Internet contraddistinguendo sulla rete l’attività d’impresa, i prodotti o il marchio del suo titolare, equipara il domain name ad un segno distintivo; pertanto, tale essendo la sua funzione, l’utilizzo del dominio “armani.it” da parte del Timbrificio del Sig. Luca Armani è idoneo a generare nel pubblico degli utenti di Internet confusione, con conseguente pregiudizio per la nota casa di moda e/o un indebito vantaggio per il convenuto, trattandosi di un marchio celebre. Il convenuto contesta, invece, la qualificazione del domain name alla stregua di un segno distintivo equiparandolo piuttosto ad un mero indirizzo alfanumerico che identifica un certo sito o un server sulla rete. Nella comparsa il Sig. Luca Armani sostiene che la domanda formulata con riferimento alla tutela del marchio è infondata in quanto l’uso di un domain name su Internet, riproducente un marchio registrato da altra società, per fornire a sua volta dei servizi sulla rete telematica può integrare la fattispecie della contraffazione del marchio solo in quanto attività idonea a creare confusione tra gli utenti, che, nel caso di specie, è da escludere data l’evidente differenziazione tra i prodotti ed i servizi resi dalle due società. Il tribunale in assenza di una normativa che regolamenti le modalità di risoluzione dei conflitti tra titolari di nomi di dominio e titolari di altri diritti sui segni corrispondenti prende in considerazione per la soluzione della controversia unicamente la funzione del nome di dominio “ … in ragione della quale può pervenirsi alla successiva qualificazione giuridica dello stesso e alla conseguente individuazione della normativa ad esso applicabile”. Il giudice non riconosce alle regole dettate dalla Naming Authority, cioè quelle che stabiliscono la procedura per l’assegnazione dei nomi di dominio, alcuna cogenza giuridica esterna al sistema operativo: le regole di naming “…costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del sistema di comunicazione della rete Internet, di carattere amministrativo interno, che non possono essere utilizzate dal giudice atteso che l’autorità giudiziaria è chiamata ad applicare la legge e non una normativa amministrativa interna”. Quindi, poiché il nome di dominio è uno “… strumento che concorre all’identificazione di un sito e dei beni e/o servizi offerti per il suo tramite non è contestabile che ad esso vada per lo più riconosciuta una funzione non limitata alla stregua di un mero indirizzo che consente tecnicamente all’utente l’accesso al sito contrassegnato bensì anche di segno distintivo perché volto ad attirare l’attenzione degli utenti ed a invogliarli a visitare il sito”. Il Tribunale collega, però, la funzione distintiva del nome di dominio alla natura commerciale del sito Internet: l’uso del segno distintivo in Internet deve essere ritenuta una prerogativa del titolare del segno in quanto tale uso non costituisce null’altro che esplicazione delle diverse e molteplici forme di uso commerciale del nome riservate al titolare della privativa. Si soggiunge, però, che al nome di dominio non si possa attribuire una qualificazione unica: ove “esso sia utilizzato non già per accedere ad un sito commerciale e, quindi, non in funzione di individuazione di un’attività economica bensì, di trasmissione di opinioni e di idee verrà certamente a mancare la ratio sottesa all’equiparazione del nome di dominio ai segni distintivi di impresa, con conseguente e del tutto legittima diversa qualificazione del nome di dominio”. Da tale principio sembrerebbe derivare, quindi, la possibilità dell’uso lecito di un nome di dominio corrispondente ad un segno distintivo ove tale uso non sia collegato ad un’attività economica e concorrenziale. Un precedente è rinvenibile nella causa n. D2001-0537 decisa dal Wipo Arbitration and Mediation Center in data 21 giugno 2001 nella quale la GiorgioArmani Modefine S.A contestava l’uso del dominio “ARMani” da parte di un graphic design/illustrator di nome Anand Ramnath Mani che aveva registrato come nome di dominio il suo acronimo. Nell’administrative panel decision si legge: “The domain name is identical to the “Armani” trademark. … The Panel accepts that the name “Armani” is a very widely recognized name, registered world-wide in respect of various classes of luxury goods. Given the identical correspondence between the domain name and this trademark, the Respondent’s detailed analysis of the test for determining confusion between trademarks under Canadian law is not relevant to these proceedings. This is, of course, not the only criterion that Complainant has to satisfy. It also needs to show that the Respondent has no legitimate interest in the domain name and that the domain name has been registered by him in bad faith. … The Respondent has un right to and/or a legitimate interest in the domain name by virtue of the domain name corresponding to the Respondent’s first two initials and his surname”. In modo eguale nel caso dorsetpolice.com, che vedeva contrapposti la Dorset police, polizia ufficiale della contea di Dorset, ed un certo Mr Coulter, che aveva registrato il nome di dominio contestato per criticare le attività dell’agenzia governativa, l’arbitro rilevando che il richiedente non aveva fornito la prova della mancanza di un legittimo interesse né della malafede ha rigettato la richiesta: “there has been no evidence that domain name has been used for any commercial purpose; therefore the Panel find that the Respondent does have a legittimate interest in the domain name”. Un domain name, quindi, non necessariamente viene in rilievo dal punto di vista dell’utilizzazione commerciale, anzi crescente è l’affermazione del dominio come luogo di manifestazione del pensiero e come modalità d’esercizio di libertà fondamentali come dimostra il caso del sito www.mpsclientidelusi.it, nel quale venivano raccolte le testimonianze dei clienti delusi dal servizio del Monte dei Paschi di Siena. Il tribunale di Siena con un’ordinanza del 22 luglio 2003 ha disposto, però, la chiusura del sito e ha condannato l’uso nel nome di dominio della sigla mps stabilendo che “l’uso del segno mps o MPS, tanto piu’ unito all’espressione clienti delusi, certamente ha il potere di captare l’attenzione di chi naviga in Internet (magari alla ricerca di uno dei numerosi siti della Banca ricorrente), sia esso un cliente della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia esso un qualsivoglia consumatore, mentre lo stesso potere attrattivo certamente non deriverebbe dall’utilizzo di un sito privo di segni così distintivi”. Il Tribunale ha ravvisato una possibile contraffazione del marchio Mps, un’ipotesi che era, invece, stata esclusa dal Tribunale de Grande Instance di Parigi  in una vicenda analoga che ha visto coinvolto il gruppo Danone contro il quale erano stati registrati ed utilizzati a scopi polemici i domini “jeboycottedanone.com” e “jeboycottedanone.net”. Nelle successive pronunce del tribunale di Siena vedremo se nella giurisprudenza italiana l’uso contestato di un nome di dominio sarà deciso unicamente alla luce della legge sui marchi o considerando anche l’esercizio di una libertà fondamentale come la libertà d’espressione.

a cura di Donatella Proto